The Undoing 1×06 – The Bloody TruthTEMPO DI LETTURA 5 min

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Ci si può definire profondamente soddisfatti per questo viaggio di sei ore insieme all’ormai ex famiglia Fraser. Un viaggio relativamente conciso, ricco di domande, carico di supposizioni ma mai nemmeno una volta volutamente chiaro sulla colpevolezza di qualcuno. Esattamente come un buon giallo dovrebbe fare, e qui va ammesso che David E. Kelley ci ha messo lo zampino.
Premettendo che è caldamente consigliato leggere il romanzo da cui è tratta la serie HBO e di cui si eviteranno spoiler, a posteriori va constatato come le differenze tra You Should Have Known scritto da Jean Hanff Korelitz e The Undoing siano veramente tante. Se da un lato questo lascia i lettori del romanzo in un territorio inesplorato vista la totale assenza del processo e quindi anche dell’avvocato (magistralmente interpretato da Noma Dumezweni), dall’altro permette a David E. Kelley di cambiare prospettiva alla narrazione cucendo addosso a Hugh Grant e Nicole Kidman due ruoli e due personalità decisamente forti e mai scontate, seppur non prive di alcune sbavature.
La scelta di trasformare un libro dalla forte impronta femminista in un “murder mistery” può aver lasciato perplessi, con dovute ragioni, ma la mole di cliffhanger ed il continuo instillare dubbi hanno ripagato in quanto ad intrattenimento e ritmo narrativo. The Undoing è riuscito a mantenere i dubbi sull’innocenza di Jonathan fino alla fuga definitiva che non lascia spazio ad ulteriori dubbi: Jonathan Fraser ha ucciso Elena Alves.

Jonathan:I knew how it looked. I knew how it looked then, as I know how it looks now: if not me, then who? Well, it’s not me. I might be the easy answer but I’m not the right answer.

“The Bloody Truth” rappresenta il tanto atteso momento della verità ed è una verità che sorprende per la sua banalità, eppure, proprio per questo motivo, non era stata presa in considerazione visti i molteplici dubbi e moventi fatti risaltare nelle cinque puntate precedenti. Kelley è stato molto bravo nel nascondere la vera natura di Jonathan, una natura che si manifessta a sprazzi e che, regolarmente, viene subito nascosta da un’interpretazione carismatica di un Grant in stato di grazia. Il pubblico non può biasimare la confusione di una Grace che, di fatto, è plasmata da informazioni, esperienze e da (letteralmente) una recitazione del marito che non lasciano spazio a certezze. A posteriori, tra le tante prove, la chiamata con la madre di Jonathan e la rivelazione della sociopatia del figlio erano il campanello d’allarme.
Lo spettatore vive in prima persona il dubbio e ripercorre costantemente ogni singolo elemento, si infogna in teorie del complotto (è stata Grace ad uccidere Elena e ha rimosso il ricordo; è stata Sylvia a causa della gelosia visto che in realtà è un’altra amante di Jonathan; è stato semplicemente Fernando Alves come reazione al tradimento di Elena) ed alla fine continua a confutare le prove e a ricominciare da capo il processo investigativo. Questo era chiaramente l’obiettivo di Kelley perchè, specie in questo tipo di prodotti e grazie alla fruibilitá settimanale degli episodi, viene lasciato germogliare il seme della curiosità in un pubblico ormai assuefatto che brama semplicemente la risposta ed è disposto a chiudere un occhio di fronte ad alcune pecche. E si, si sta parlando sia dell’utilizzo privato dell’elicottero come se fosse normale amministrazione, sia del doppio lavaggio in lavastoviglie del martello.
Alla luce di ciò, si capiscono i tentennamenti di Grace e, per diretta conseguenza, non si può che amare lo stratagemma molto tecnico con il quale incastra il marito durante il processo. Una scelta che ha avuto sicuramente più impatto sul pubblico americano piuttosto che su quello internazionale vista la scarsa conoscenza dello spettatore internazionale per quanto riguarda i cavilli legali del processo. L’impatto teatrale del processo è e rimane comunque il momento in cui “The Bloody Truth” dà il proprio meglio, specie alternando i momenti di pressione di una Grace alla sbarra con inquadrature di un Jonathan in stato di shock (e qui sia la regia che i due attori hanno fatto la differenza).
Lo stesso non si può però dire dell’inseguimento finale, interessantissimo plot twist che però viene archiviato fin troppo velocemente e che nel libro rappresenta invece la parte centrale della storia. Pur assistendo a dei momenti molto forti dove Grant e la sua mimica facciale fanno venire i brividi, il finale molto veloce e la parziale banalità del piano di fuga lasciano un po’ di stucco, in senso negativo e nel momento in cui due minuti in più avrebbero fatto la differenza. Invece il pubblico ha assistito ad una conclusione ma è stato privato di quel momento catartico dopo l’arresto che avrebbe potuto portare un po’ più di pace a ciò che rimane dei Fraser.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Interpretazione da brivido di Hugh Grant, una spanna sopra la Kidman, comunque sempre ottima
  • Noma Dumezweni sempre superlativa nel ruolo dell’avvocato della difesa
  • Grace e lo stratagema della confessione
  • Regia molto curata come al solito
  • Tensione, ritmo e qualità: questo series finale ha tutto
  • La caccia all’uomo in elicottero è decisamente esagerata, anche per una famiglia ricca dell’Upper East Side
  • Il piano di fuga di Jonathan
  • Troppa velocità nel finale
  • Il martello in lavastoviglie

 

Premettendo che la serie è stata ottima e che il finale ripaga appieno della visione di queste sei puntate, rimane comunque da appuntare l’impatto delle tante aspettative e di qualche cagata fuori dal vaso elemento troppo eccessivo che ha viziato la conclusione della storia. Ed è il motivo per cui il Bless Them All, sfortunatamente, questa volta non può essere dato.

 

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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.

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