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A pochi episodi dal finale, The Undoing accompagna all’interno dell’aula di tribunale il proprio pubblico. Lo fa accomodare e decide di mettere in scena uno scontro giurisprudenziale di una verve ineccepibile che innalza nuovamente il prodotto della HBO, accasciatosi al più che valido “ringraziamento”, verso una “benedizione”. La puntata tuttavia non si circoscrive alla pura e semplice sequenza in tribunale: c’è spazio per il riavvicinamento (e poi nuovo allontanamento) tra Grace e Jonathan; per ulteriori misteri svelati; per nuovi scontri verbali carichi di sentimentalismo; e c’è spazio anche per l’ennesimo colpo di scena.
Forse il punto di maggior critica potrebbe essere proprio questa dipendenza di The Undoing dal colpo di scena in quanto tale, indipendentemente dal fatto che poi si tratti di un vero sconvolgimento narrativo. Si prenda ad esempio le riprese stradali di Grace: in retrospettiva se ne percepisce la reale inutilità visto e considerato che, a parte il semplice utilizzo intimidatorio, non sono state prese in esame. Eppure il finale del terzo episodio lasciava adito a qualsiasi tipo di riflessione. Cosa più che giusta, ma senza un seguito narrativo il tutto perde di potenza e si rischia di rendere il pubblico totalmente assuefatto, votato allo scalpore e disinteressato alla narrativa.
Un pericolo in particolar modo per questa tipologia di storia nella quale, ormai a ridosso del finale, si è alla ricerca del colpevole da incriminare.
È attorno all’elemento della rabbia che la difesa di Jonathan cerca di costruire la propria barriera: impossibile che l’uomo, perdutamente innamorato della giovane Elena Alves, abbia compiuto uno scempio tale al cranio della ragazza. Ecco allora che il dito d’accusa si rivolge al marito, carico di rabbia per i tradimenti della moglie e quindi più avvicinabile alla brutalità fisica che ha ucciso Elena. Eppure l’incontro tra Jonathan e Fernando avvenuto nelle precedenti puntate aveva tolto ogni minimo dubbio al pubblico allontanando quest’ultimo dai possibili sospetti. Così come i molteplici monologhi-dialoghi avevano in precedenza già allontanato il personaggio di Hugh Grant dalla possibile colpevolezza. Tuttavia è da tenere presente che Jonathan viene mostrato come un bugiardo patologico: con la moglie, con il figlio, con gli altri, con i propri genitori. Le bugie di Jonathan si sedimentano e rendono complicato non inquadrare il personaggio quanto meno come sospetto: perché mentire (specialmente sui fatti passati riguardanti la sorella morta) se non si ha effettivamente qualcosa da nascondere? La paura potrebbe aver giocato un ruolo fondamentale anche perché la successiva fuga, a cui è seguito un immediato ritorno, di Jonathan non sarebbe giustificabile in altro modo. E, a questo punto, l’essere associato ad un profilo da sociopatico non è poi così sbagliato.
L’apertura del processo e le successive arringhe (di difesa ed accusa) risultano votate alla rievocazione di una violenza visiva non pervenuta all’interno dei precedenti episodi: del volto ridotto in poltiglia di Elena erano stati concessi solo pochi frame, mentre in “Trial By Fury” il volto smembrato della ragazza diventa un leit motiv a tratti nauseante mentre i due avvocati cercano di attrarre acqua al proprio mulino tentando di stordire la giuria. Un approccio violento e diretto che scuote l’episodio e si lascia apprezzare tanto da rendere la puntata, di circa un’ora, più scorrevole e magnetica di quanto si potesse inizialmente presagire.
Poi, nel finale di puntata, il colpo di scena: Grace mettendo in ordine la camera del figlio si imbatte nel martello (incrostato di sangue) rievocato durante il processo come possibile arma del delitto. Possibile che il piccolo Henry sia in qualche modo implicato? D’altra parte il giovane aveva percepito il legame tra Elena e Jonathan fuori dalla scuola e parte dei suoi dialoghi (quelli che spingono ad una riunificazione della famiglia) sembrano essere volutamente costruiti come prove di questo pensiero (come per esempio quel fantomatico “I’m sorry” proferito da Henry al povero figlio degli Alves). Eppure un ragazzino può tramutarsi in un animale a tal punto da reggere il confronto fisico con una persona adulta e, soprattutto, non lasciar trapelare alcun tipo di sentimento successivamente? Comunque questo sembrerebbe essere un elemento cardine della famiglia considerata la reazione di Jonathan dopo la morte della sorella.
Il mistero si infittisce, The Undoing cala l’ennesimo colpo di scena ed il pubblico può solo prepararsi all’imminente finale.
Forse il punto di maggior critica potrebbe essere proprio questa dipendenza di The Undoing dal colpo di scena in quanto tale, indipendentemente dal fatto che poi si tratti di un vero sconvolgimento narrativo. Si prenda ad esempio le riprese stradali di Grace: in retrospettiva se ne percepisce la reale inutilità visto e considerato che, a parte il semplice utilizzo intimidatorio, non sono state prese in esame. Eppure il finale del terzo episodio lasciava adito a qualsiasi tipo di riflessione. Cosa più che giusta, ma senza un seguito narrativo il tutto perde di potenza e si rischia di rendere il pubblico totalmente assuefatto, votato allo scalpore e disinteressato alla narrativa.
Un pericolo in particolar modo per questa tipologia di storia nella quale, ormai a ridosso del finale, si è alla ricerca del colpevole da incriminare.
È attorno all’elemento della rabbia che la difesa di Jonathan cerca di costruire la propria barriera: impossibile che l’uomo, perdutamente innamorato della giovane Elena Alves, abbia compiuto uno scempio tale al cranio della ragazza. Ecco allora che il dito d’accusa si rivolge al marito, carico di rabbia per i tradimenti della moglie e quindi più avvicinabile alla brutalità fisica che ha ucciso Elena. Eppure l’incontro tra Jonathan e Fernando avvenuto nelle precedenti puntate aveva tolto ogni minimo dubbio al pubblico allontanando quest’ultimo dai possibili sospetti. Così come i molteplici monologhi-dialoghi avevano in precedenza già allontanato il personaggio di Hugh Grant dalla possibile colpevolezza. Tuttavia è da tenere presente che Jonathan viene mostrato come un bugiardo patologico: con la moglie, con il figlio, con gli altri, con i propri genitori. Le bugie di Jonathan si sedimentano e rendono complicato non inquadrare il personaggio quanto meno come sospetto: perché mentire (specialmente sui fatti passati riguardanti la sorella morta) se non si ha effettivamente qualcosa da nascondere? La paura potrebbe aver giocato un ruolo fondamentale anche perché la successiva fuga, a cui è seguito un immediato ritorno, di Jonathan non sarebbe giustificabile in altro modo. E, a questo punto, l’essere associato ad un profilo da sociopatico non è poi così sbagliato.
L’apertura del processo e le successive arringhe (di difesa ed accusa) risultano votate alla rievocazione di una violenza visiva non pervenuta all’interno dei precedenti episodi: del volto ridotto in poltiglia di Elena erano stati concessi solo pochi frame, mentre in “Trial By Fury” il volto smembrato della ragazza diventa un leit motiv a tratti nauseante mentre i due avvocati cercano di attrarre acqua al proprio mulino tentando di stordire la giuria. Un approccio violento e diretto che scuote l’episodio e si lascia apprezzare tanto da rendere la puntata, di circa un’ora, più scorrevole e magnetica di quanto si potesse inizialmente presagire.
Poi, nel finale di puntata, il colpo di scena: Grace mettendo in ordine la camera del figlio si imbatte nel martello (incrostato di sangue) rievocato durante il processo come possibile arma del delitto. Possibile che il piccolo Henry sia in qualche modo implicato? D’altra parte il giovane aveva percepito il legame tra Elena e Jonathan fuori dalla scuola e parte dei suoi dialoghi (quelli che spingono ad una riunificazione della famiglia) sembrano essere volutamente costruiti come prove di questo pensiero (come per esempio quel fantomatico “I’m sorry” proferito da Henry al povero figlio degli Alves). Eppure un ragazzino può tramutarsi in un animale a tal punto da reggere il confronto fisico con una persona adulta e, soprattutto, non lasciar trapelare alcun tipo di sentimento successivamente? Comunque questo sembrerebbe essere un elemento cardine della famiglia considerata la reazione di Jonathan dopo la morte della sorella.
Il mistero si infittisce, The Undoing cala l’ennesimo colpo di scena ed il pubblico può solo prepararsi all’imminente finale.
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The Undoing è la voce fuori dal coro di una serialità andatasi ad appiattire negli ultimi anni: non è mai ciò che ci si aspetta, ma con un’eccessiva propensione per i colpi di scena, forse. Non percepirne l’unicità sarebbe un errore madornale.
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.