Che il prodotto The Walking Dead sia stato sfruttato, spremuto, riutilizzato e spremuto di nuovo è cosa nota e i recensori che hanno preceduto tale recensione lo hanno già sottolineato al meglio.
Ora la grande, grandissima, domanda che sorge è un’altra: cosa è scattato nella mente delle alte sfere della AMC per decidere di rilasciare questa stagione proprio la domenica sera, in contemporanea con un gigante, che nulla ha a che fare con The Walking Dead, se non la stessa tematica apocalittica di fondo, come The Last of Us?
LA CITTÀ DESOLATA
Da New York in versione post apocalisse ci si aspettava qualcosa di meglio, ma questa è storia vecchia, che risale già alla prima stagione dello show. La sensazione è che per tutto il tempo gli attori abbiano girato a vuoto tra grandi pannelli verdi e, purtroppo, le scarse capacità attoriali di gran parte del cast non rendono credibile in alcun modo Dead City.
Del resto, non si può di certo caricare sulle spalle di pochi (e in questo caso di uno solo) la riuscita di un’intera serie. Il problema di Dead City è sempre lo stesso: Negan e Maggie, due anime in eterno conflitto che non fanno che rincorrersi ma che, di fatto, annoiano. C’era davvero bisogno, ancora, di assistere a questa dinamica? C’era davvero bisogno di un Hershel cresciuto che non ha preso neanche un’unghia del talento del padre per sfuggire ai vaganti e che si fa salvare da tutti?
La città desolata, poi, così desolata non è. Gli unici a crederlo sono i pochi malcapitati della Confederazione che sperano di recuperare il tanto agognato metano (ma poi per trasportarlo come?!) e assicurarsi così una migliore sopravvivenza nel continente. E qui ci si chiede perché mai nessuno abbia pensato di prendere l’intera isola e eliminare i vaganti a tappeto, con tutte quelle risorse e quella protezione naturale assicurata dal mare circostante.
COMPRIMARI E PRINCIPALI
Uno dei grandi problemi di questi spin-off, come anche delle ultime stagioni della serie madre, è il rapporto tra i personaggi principali e i comprimari che non sempre riesce a convincere lo spettatore. Veder morire un personaggio conosciuto cinque minuti prima non può dare di certo pathos.
Se nelle prime stagioni di The Walking Dead questo meccanismo funzionava non dipendeva esclusivamente dal fatto che si trattava della novità, della prima volta che gli spettatori assistevano a queste crudeltà, ma dalla migliore costruzione di quei singoli personaggi, dalla maggiore attenzione che veniva dedicata loro e dallo scopo che avevano nel percorso narrativo e di crescita dei personaggi principali.
Qui la povera ragazza vestita di pellicce non comunica nulla; la sua morte è inutile ai fini narrativi e non regala alcuna emozione agli spettatori.
LOTTARE PER TORNARE INDIETRO
Una tematica che potrebbe essere interessante che viene fuori da “Feisty Friendly” è quella della percezione dei giovani nati durante l’apocalisse del vecchio mondo. Per loro effettivamente il mondo conosciuto è solo quello di morte, distruzione e lotta per le risorse e non conoscono altro. La figura dello storico interpretato da Keir Gilchrist, più giovane di Maggie e compagnia e più vecchio di Hershel, forse doveva servire da raccordo tra generazioni e dare una linea sul futuro immaginabile.
Questa figura, se gestita bene, poteva essere molto interessante, ma così non è stato. Il ruolo dello storico si è limitato, al momento, a quello dell’ostaggio improprio, dato che la Confederazione crede che sia morto durante l’assalto di Negan alla loro imbarcazione.
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The Walking Dead: Dead City è terribile e la convinzione per cui solo qualche sfortunato recensore stia assistendo a questo declino si è fatta sempre più importante.

