La terza stagione di Tulsa King prosegue spedita e, con gli episodi “The G and the OG” e “Staring Down the Barrel”, segna un momento cruciale nella guerra tra Dwight Manfredi e i Dunmire.
Le due puntate, complementari tra loro, mettono in luce il doppio volto della serie: da un lato l’azione, dall’altro la fragilità dei legami che reggono l’intero impero criminale di Tulsa.
Ciò che unisce questi due episodi è il tema della famiglia. Dwight, infatti, continua a incarnare il paradosso dell’uomo d’onore in un mondo senza onore, mentre i personaggi più giovani (Tyson, Cleo, Mitch) rappresentano l’incapacità di sostenere un codice morale coerente.
Il risultato è un ritratto amaro ma affascinante: Tulsa King non è solo una serie crime, ma anche una riflessione sulla solitudine e sulla lealtà, due concetti che per Dwight sono ormai indistinguibili.
TRA IMPULSIVITÀ E CAOS
“The G and the OG” mette in scena il caos generato dal furto del “Fifty”, ma ancor di più esplora la fragilità delle relazioni all’interno del gruppo di Dwight.
Tyson, impulsivo e imprevedibile, si lascia trascinare in un gesto che mette tutti in pericolo, riportando in auge le solite pecche del personaggio e dimostrando quanto sia ancora lontano dal raggiungere quel controllo glaciale che il suo ruolo ora richiede. Allo stesso tempo, Mitch e Cleo si trovano a dover scegliere tra lealtà e sopravvivenza, mentre i Dunmire fanno emergere un rapporto padre-figlio tossico e violento, che arricchisce la complessità degli antagonisti.
L’episodio è costruito come un mosaico di tensioni e scelte sbagliate: Dwight tenta di mantenere il controllo, ma il suo mondo comincia a sgretolarsi. La regia sfrutta bene i contrasti tra violenza e introspezione, anche se alcune svolte risultano forzate, quasi a voler mantenere alto il livello di drama ad ogni costo.
RALLENTARE PER RICOSTRUIRE
Il quarto episodio rallenta il passo e si concentra sui rapporti umani, tra questi, quello tra Tyson e suo padre Mark. La rivelazione su Serenity, in realtà legata ai Dunmire, non sorprende, ma sottolinea ancora una volta la fragilità di Tyson, ancora manipolabile.
Nel frattempo Dwight cerca di rimettere insieme i pezzi e stringe un’alleanza strategica con Bevilaqua, confermando che la sua forza non è solo fisica, ma soprattutto politica.
“Staring Down the Barrel” si occupa più dei dialoghi e della costruzione emotiva, risolvendo in modo troppo rapido le tensioni lasciate aperte dal precedente episodio.
FAMIGLIA, VENDETTA E NUOVI EQUILIBRI
In entrambi gli episodi emerge con chiarezza il tema portante di Tulsa King: la famiglia. Dwight resta il perno morale della serie, mentre i personaggi più giovani oscillano tra il desiderio di appartenere e la paura di perdersi. Il contrasto tra la brutalità del mondo criminale e la vulnerabilità dei protagonisti è il vero punto di forza di questi due episodi.
Tuttavia, la serie sembra ancora cercare il giusto equilibrio tra introspezione e azione, dato che a volte la trama corre e si risolve in maniera troppo veloce, rischiando di bruciare l’intera costruzione.
Da sottolineare, come sempre, la capacità di Sylvester Stallone di reggere la serie con carisma, mentre il cast di contorno riesce a dare vita a personaggi credibili e contraddittori.
Alla fine si assiste a due episodi complementari: il primo più movimentato e disordinato, il secondo più riflessivo e umano. Un equilibrio precario ma affascinante, che consegna il giusto mix a quella che rimane un’ottima serie.
| THUMBS UP 👍 | THUMBS DOWN 👎 |
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Nonostante qualche passaggio prevedibile e alcune scelte narrative frettolose, la serie conferma di avere ancora molto da dire, mantenendo viva la curiosità sul fragile equilibrio che unisce tutte le dinamiche.
