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Narcos 1×02 – The Sword Of Simòn BolivarTEMPO DI LETTURA 5 min

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Come un’altalena lanciata a grandissime altezze da un lato e dall’altro, così il primo episodio è partito ab ovo con il golpe in Cile del 1973 fino al flashforward (che tecnicamente non sarebbe nemmeno un flashforward) del 1989. La 1×02 è l’altalena che ha perso velocità ma che, tuttavia, prosegue con la sua oscillazione avanti e indietro. In questo caso, però, tale oscillazione è determinata esclusivamente dal racconto del protagonista, reso forse volontariamente più presente in qualità di narratore che in scena. Gli eventi mostratici, infatti, si stabilizzano così nel 1981, con Pablo Escobar ormai conclamato boss.
La frenata, iniziata già in questo secondo episodio, è stata troppo brusca? Ancora non ci è dato saperlo ma l’incontinenza narrativa della voce fuori campo di Steve – che ci anticipa diversi aspetti – si riflette anche nello scorrere delle immagini. Se questo aspetto può destare preoccupazioni (speriamo infondate) sulla prosecuzione della serie, così non accade nell’immediato. Il vero e proprio “piacere visivo” prosegue inarrestabile durante la visione: le atmosfere latine, caratterizzate da inquadrature del luogo e musiche sempre azzeccate, unite all’oscurità e al continuo senso di pericolo delle strade colombiane, lasciano lo spettatore rapito e trasportato in quella che potrebbe sembrare a tutti gli effetti un’opera di finzione. Così, però, non è.
Nella coscienza comune, un pensiero superficiale spesso sopraggiunge, anche dettato da un certo tipo di educazione storica: il tempo si divide radicalmente tra un prima e un adesso. Per distaccare in maniera radicale questi due concetti temporali, spesso, si tende a pensare il prima come un lontanissimo “prima”. Tanto è vero che qualsiasi concezione del passato richiama ad epoche lontane. Se si pensa, infatti, ad un’opera di finzione storica, in costume, verranno evocati altri secoli. Oppure, se proprio ci si vuole spingere in avanti, i conflitti mondiali rappresenteranno un’ultima tappa di passato e di epoca potenzialmente concepibile come “storica”. Per questo motivo non è così scontato asserire che Narcos sia una serie puramente storica, una rappresentazione in costume.
Ciò che viene raccontato, manco a dirlo, da parte di scrittori statunitensi, è una parte di storia degli Stati Uniti. Ma come? Ma se tre quarti di episodio sono in spagnolo? Si potrebbe giustamente obiettare. La voce narrante ci porta a capire come l’ascesa di Escobar sia andata ad influire direttamente con le vite della potenza nordamericana, in particolare con quella del protagonista. Lo stravolgimento che il Cartel di Medellin porta nella quotidianità (uso della cocaina) e nella legalità USA è il vero dettaglio storico che ci viene mostrato (tanto è vero che dettagli biografici su Pablo vengono saltati a piè pari). Per questo motivo la proclamazione di Pablo a tavola con i neo-soci assume una valenza didascalica e giustamente non portata per le lunghe. Non viene focalizzato l’evento del ritrovamento dei guerriglieri del M-19 (rappresentati, secondo la concezione nordamericana, come dei fanatici fuori di testa). Ci viene mostrato il semplice effetto delle azioni di Escobar. In sostanza: nella narrazione divisa in due parti, abbiamo le azioni di Steve – degli Stati Uniti – presentate in divenire; abbiamo poi quelle di Pablo, fotografate da un elemento esterno (anche letteralmente: sono presenti ogni tanto fotografie del vero Escobar, mischiando realtà con finzione), mostrate nel loro effetto e nella loro risoluzione, mai nel loro sviluppo (il matrimonio, il riciclaggio di denaro, l’occultamento del denaro, l’estensione di potere anche alle autorità aeroportuali…).
Se da un lato l’accuratezza storica non mostra falle (almeno ai non esperti dell’argomento), ciò che può indurre verso una riflessione più o meno accurata è la gestione della descrizione estera. In Italia si tende spesso a ridere quando il nostro bel paese viene rappresentato dalle produzioni USA. Ci capita di sentir parlare con accenti sbagliati, vengono usate frasi poco verosimili, eccetera eccetera. Ad accorgersene, in quel caso, sarà una piccola penisola. Che succede, però, quando più di metà continente (centro e sud America), nel godersi questa avvincente serie, noterà incongruenze linguistiche ed accenti sballati? Il bravissimo Moura riesce a nascondere l’accento brasiliano con grande maestria, ma tale maestria è notata da noi. Sono sottigliezze, almeno per il pubblico italiano, che non vanno assolutamente a sminuire un’opera che potrebbe rivelarsi come una delle migliori di questo anno televisivo. È tuttavia la dimostrazione di come la percezione dell’impeccabilità renda questa virtù meno “assoluta” di quanto possa sembrare. Esempio di ciò: l’introduzione (dopo la breve apparizione di “Descenso“) di Pedro Pascàl. Si può dire con una certa dose di sicurezza che uno, nato in Cile, emigrato in Danimarca, cresciuto in California, attualmente residente a New York, potrebbe non avere questo accento latino così naturale.
Detto ciò, la sua introduzione è fondamentale nel delineare il carattere e lo schema di Narcos. Basta con sottili operazioni di polizia, infiltrazioni alla The Wire, ciò che emerge è la pura guerra tra due eserciti, come poi dirà Steve. Le esecuzioni da parte degli uomini di Javier per recuperare l’informatrice rapita è qualcosa di poco visto nell’ambito del poliziesco. D’altronde nell’episodio precedente ci era stato mostrato come la carriera di Escobar abbia visto l’esecuzione di numerose forze dell’ordine. Ci si va e ci si andrà giù pesante, quindi. Chiedere al povero gatto.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Disordine narrativo che lascia incollati allo schermo
  • Guerra senza esclusione di colpi
  • Narcos, con questo secondo episodio, si pone a conferma di una nuova – e rinnovata – tendenza del genere storico (ne abbiamo avuto esempi anche da noi, con 1992, Romanzo Criminale, ecc.)
  • Poca prolissità nel non mostrare eventuali schemi criminali già visti e rivisti
  • Nessuna pietà per gli animali in questo episodio
  • La velocità narrativa che abbiamo elogiato, per alcuni aspetti, può far temere improvvisi rallentamenti futuri

 

L’episodio si mantiene sulla stessa positiva linea del precedente, cambiando molto meno di quanto ci si potesse aspettare dallo schema di documentario/presentazione della première. Da qui in avanti dovremo aspettarci l’altalena che proseguirà la sua oscillazione, oppure una sua improvvisamente frenata e stabilizzazione?

 

Descenso 1×01 ND milioni – ND rating
The Sword Of Simòn Bolivar 1×02 ND milioni – ND rating

 

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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.

1 Comment

  1. Bella recensione!

    Ho visto (solo) ieri le prime due puntate della serie e mi è saltato all’occhio un’ incongruenza temporale che adesso provo a spiegare. Nella prima puntata Murphy sembra andare in Colombia solo nel 1988, un anno prima cioè di quando tenderanno l’agguato a Poison. Nella seconda puntata, invece, Murphy si trova già a Medellin quando nasce il famoso cartello, nel 1981/1982: scatta infatti le foto dell’incontro. Dove sbaglio?

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