Adesso è tutto chiaro. La AMC dopo aver letto le nostre critiche recensioni di The Walking Dead ha voluto porre rimedio. Tanto credono alla loro gallina dalle uova d’oro opera kolossal che, piuttosto che cambiare registro, hanno deciso di farci venire una terribile nostalgia e attesa per TWD, creando uno spin-off molto più debole.
Che la storia di Fear sarebbe stata indirizzata verso una dimensione familiare era abbastanza chiaro, così come era chiaro che l’approccio con l’epidemia zombie sarebbe stato centellinato e graduale. Tutto quanto giusto. Cioè, è normale: prima dell’apocalisse zombie, cui assistiamo nella serie madre, dovrà pur esserci un insieme di disordini e uno stravolgimento nella vita quotidiana delle persone. A livello narrativo, quindi, non vi è nulla di sbagliato, di storto, di incoerente. Ciò che veramente colpisce (e qui si ritorna al discorso della nostalgia verso TWD) è il distillato di genere puro, l’apocalisse zombie, preso ed annacquato da una serie di sotto-caratteri televisivi che spesso e volentieri scansiamo prepotentemente. “So Close, Yet So Far” è a tutti gli effetti un cocktail annacquato dove delle pallide imitazioni delle famiglie di The Leftovers corrono da un lato all’altro della città, suggerendo quindi un tema survival, ma senza mai affermarlo pienamente. Vediamo, infatti, Maddie correre per il corridoio di una scuola deserta per procurarsi delle medicine (in pieno stile TWD), ma poi la vediamo rincasare normalmente mettendosi a piangere. Ripeto: a coerenza narrativa ci siamo, non potrebbe essere diversamente. Ma ci è consentito domandarci se ciò possa effettivamente interessare il pubblico?
The Walking Dead non fa della profondità dei dialoghi il suo punto di forza, così come le interpretazioni dei suoi attori non rappresentano certo la carta vincente per cui sbancano puntualmente con gli ascolti. Ciò che funziona, anche nei peggiori episodi, è quel concentrato tra silenzio, zombie, buona regia, zombie, disagio e zombie. Se noi guardiamo Fear, vediamo solo lontanamente evocate queste virtù, mentre distrattamente seguiamo le dinamiche familiari di personaggi che ancora faticano ad entrare totalmente nei nostri cuori. E questo è forse il punto intero della faccenda. Si vuole raccontare del disagio all’inizio dell’epidemia su dimensione familiare? Nel 2011 uscì una miniwebserie, costituita da miniwebepisodi, chiamata “Torn Apart” dove veniva ricostruita la vicenda di una donna risvegliatasi dopo un incidente stradale che, per proteggere la famiglia, si sacrifica. Diventerà poi lo zombie senza gambe che Rick incontrerà nel primo episodio di TWD. Non esattamente una novità quindi mostrare il mondo durante la crisi.
Eppure si è deciso di estendere il discorso ad una prima stagione, già rinnovata, di sei episodi. Pensiamo, poi, alla sinossi di Fear e rapportiamola agli Upfronts che ogni anno ci portano a leggere di nuove serie TV, più o meno originali. Una trama come quella del nostro spin-off non avrebbe molte possibilità, in quanto, appunto, ad originalità. Gli zombie popolano già diversi show, in diversi canali. Ma se tale show è lo spin-off di uno dei casi mediatici più imponenti del decennio, sotto l’esclusivo punto di vista degli ascolti, come non gli si potrà dare incondizionata fiducia? La qualità e l’originalità narrativa diventano così un dettaglio, in quanto, solo per il nome che porta, verrà comunque abbondantemente guardato. Ricapitolando: rimanendo fuori dall’originale cartaceo, se, quando TWD si affacciava nei palinsesti, già si aveva avuto l’idea di rappresentare il mondo durante le prime fasi dell’epidemia sotto forma di mini serie nel web, quando invece la serie ha toccato il traguardo delle cinque stagioni, con ascolti record, tale idea viene tranquillamente riproposta sotto forma di puro ed indefinitivamente lungo spin-off. In mancanza di idee migliori si va sul sicuro: una famiglia problematica. Che poi sarebbe l’equivalente narrativo del “basito” degli sceneggiatori di Boris.
Insomma, il correre da un lato all’altro della città, che caratterizza, per la quasi totalità, questo secondo episodio, non suscita granché interesse per due motivi: intanto noi spettatori già sappiamo cosa sta succedendo, quindi tirarla per le lunghe è inutile; poi il genere survival è ovviamente snaturato, se gli ostacoli incontrati sono manifestanti, polizia, traffico e barbieri diffidenti.
A dimostrazione che ci si voglia andare più leggeri, degna di nota è la mancata inquadratura della testa di Artie-zombie (prima apparizione di un walker dopo ben 25 minuti) mentre viene colpita dall’estintore. Non abbiamo dubbi che nella serie madre avremmo avuto un bel dettaglio sul processo di spappolamento.
L’ultima considerazione è un po’ antipatica, ma le coincidenze sono troppe per non riportarla. La scrittrice Alessia Barbieri, nel suo libro “Settimo Potere, Come Le Serie TV Influenzano La Vita Sociale E Politica”, riporta una distinzione: le serie sui vampiri possono essere ricondotte ad un tipo di scrittura di estrazione democratica, mentre quella sugli zombie vira sul repubblicano. Non volendo addentrarci in simili digressioni (anche se abbastanza automatiche: vampiri parlanti e/o vampiri buoni/cattivi = dialogo con il diverso; zombie = impossibile comunicarci, sono pericolosi, quindi tutti da sterminare), è impossibile non notare alcuni aspetti, forse tendenziosi, ma sotto gli occhi di tutti. Il preside divenuto walker è nero; il senzatetto freddato dalla polizia è nero; il fidanzato di Alicia che ad inizio episodio giace sofferente, prossimo all’infezione, è nero; l’amico di Nick, apparso nel “Pilot“, che si rivelava uno spacciatore omicida, nonché neo-zombie, nero anche lui; in questo secondo episodio si intravede una poliziotta che spara alla testa di un’altra zombie, bianca questa volta, ma trasandata, con una ciocca di capelli blu, verosimilmente una tossica. Per non parlare poi della famiglia del barbiere – assolutamente diffidente nell’ospitare estranei in un momento in cui sarebbe difficile fare altrimenti – con gli altarini tipici di una stereotipata famiglia latina cattolica. Si arriva così, a fine episodio, ad una separazione che potrebbe essere il tema di questa prima stagione: le due famiglie di Travis, una da un lato, una da un altro. I bianchi (Maddie, Nick e Alicia) a casa, i meticci (Travis, Liza e Chris) barricati con la suddetta famiglia latina (il barbiere è Ruben Blades, noto musicista salsa e politico panamense, oltre che attore). Non si vuole, in questo modo, andare a cercare nella serie chissà quale lettura discriminatoria, si è cercato semplicemente di riportare quanto visto in questi primi due episodi, e questo è quanto. Forse un po’ troppe coincidenze per essere nel 2015.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Pilot 1×01 | 10.1 milioni – 4.9 rating |
So Close, Yet So Far 1×02 | 8.2 milioni – 4.1 rating |
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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.
INIZIO SERIE FANTASTICO . UNA DELLE POCHE PRODUZIONI CHE TI FA ENTRARE NEL MONDO ZOMBI UN PO ALLA VOLTA MOSTRANDO IL CAMBIAMENTO NELLA VITA NORMALE DEI PROTAGONISTI E DELL INTERA CITTA’ DI LOS ANGELES . SE QUESTO ACCADESSE VERAMENTE LE COSE ANDREBBERO PROPRIO COSI , LA GENTE TENUTA ALLO OSCURO DI TUTTO FINO A QUANDO NON SI RIUSCIREBBE A NOSCONDERE PIU’ LA VERITA’,
LA SCENA DEL POLIZIOTTO CHE RIEMPE LA MACCHINA DI ACQUA LA DICE TUTTA.
Sfortunatamente poi peggiora in maniera impressionante…