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Nella scorsa recensione, ci siamo allontanati un attimo dal semplice commento della puntata e abbiamo optato per uno stile maggiormente mirato all’approfondimento e all’introspezione dei problemi di fondo della serie. Tali problemi, come volevasi dimostrare, nella puntata in questione si sono manifestati in tutta la loro potenza. C’erano dei puntini sulle i da mettere e dei concetti, riguardo al modus operandi del serial, da illuminare con il Bat-Segnale: concetti che qui ritornano con disinvolta prepotenza, facendo apparire la nostra recensione come un lungimirante “ve l’avevamo detto”.
Senza star qui a riprendere tutto il discorso fatto nella scorsa recensione, sappiate solo che in “Legacy” RecenSerie si è chiesta: “Perché Under The Dome è così… Under The Dome?”. La risposta è stata che tutta la crew (dagli attori principali, ai semplici tecnici incaricati di controllare la comodità degli sgabelli) ha perso ogni speranza di cavar fuori qualcosa di buono dal telefilm, ma che, mossa da un contratto con la CBS, cerca di adempiere al suo dovere buttandoci dentro le prime soluzioni narrative grazie al Metodo Griffin. È un po’ come se avesse fatto coming out e, dopo aver interiorizzato il fatto di essere un telefilm diversamente bello, festeggiasse la presa di coscienza con una pesante dose di CoseACaso™. Ecco: “Legacy” era il coming out, la messa a nudo del proprio segreto, mentre “Love Is A Battlefield” sono i festeggiamenti, nonché conferma di tutte le osservazioni sollevate nella precedente recensione.
In teoria, l’undicesimo episodio della terza stagione dovrebbe essere una sorta di “puntata di riposo”, una “calma prima della tempesta” che prepara trama e spettatore ai promettenti(?) eventi degli ultimi due episodi finali di questa stagione (e speriamo anche della serie, per nostra e vostra salute), nonché ponte che collegherà gli eventi conclusivi a quelli già narrati in precedenza. Ma, alla fine, quest’ultimo si presenta più come l’elogio/trionfo del camp, per tutte le uscite pescate dall’almanacco delle cretinate viste nella puntata, nate sempre per il problema meglio spiegato in “Legacy“. Nessuno ormai ci crede più e nessuno ha ormai più voglia/forza di crederci e quindi quando la lucidità creativa viene offuscata da un infame Stordiraggio di uno Zubat, o qualche altro Pokémon fastidioso, le cose da fare sono sempre due: riprendere le redini della puntata, oppure far ingoiare ai propri personaggi la stessa pillola di “Italiano Medio“. E Under The Dome si colpisce da solo, molto forte e a ripetizione, e di pillole che abbassano le funzioni cerebrali al 2% di attività ne prende come se fossero caramelle.
Ad essere totalmente onesti, Under The Dome va però premiato su un paio di aspetti: pur con i suoi tanti scivoloni, nella trama della terza stagione non c’è solo molta più azione e sequenze di scontri, armati e non, rispetto alle precedenti stagioni – che risollevano sempre l’umore, unite alle molte più morti di molti più personaggi fastidiosi – ma c’è anche un lampante desiderio di condurre l’intera storia e i suoi protagonisti ad una conclusione e verso un punto di arrivo; attualmente, non ci è concesso sapere se quel “punto di arrivo” è più verso il series finale fatto e finito, oppure un “punto di arrivo” più simile ad episodi come “My Name Is Oliver Queen“, dove il Season Finale della terza stagione di Arrow si poneva come una sorta di conclusione ad un primo, grande capitolo della vita dell’arciere DC Comics. Certamente questo non salva il telefilm dallo stesso problema di sempre: il come ci stia arrivando a questo “punto di arrivo”.
La costruzione di “Love Is A Battlefield” ricorda un po’ un midseason/season finale di The Walking Dead, dove per una manciata di puntate succedeva il nulla e nelle ultime battute si da il via libera ai colpi di scena. L’unica differenza è che sono più dei colpi di scena generati dagli sceneggiatori del calibro della serie Boris, o al massimo dallo stesso autore di “Urla A Caso“. Tralasciando il cerebralmente leso Joe, che balla e canta in gaio modo “Love Is A Battlefield” (citando ruffianamente la canzone da cui prende il nome l’episodio e oltraggiando così Pat Benatar), la puntata ci offre degli svolgimenti che rendono difficile la sospensione dell’incredulità causa scontatezza, prevedibilità e bassezza qualitativa, rafforzando al contrario la Teoria del Cigno Nero, con risultati più tendenti verso lo sconcertato sdegno: insomma “un giretto di parole vuote, ma doppiate”, avrebbe detto Samuele Bersani. Tra questi: una nuova sequenza di Barbie Ostetricia, per tutti quelli che volevano un bis dopo la prima volta; il modo in cui la bambina-aliena-sort of viene fatta nascere, come se Julia e Barbie stessero schiacciando una valigia troppo grossa che non vuole chiudersi; la provvidenziale scoperta di un altra razza aliena quando non si sa nemmeno il nome di quella che tormenta i domers sin dalla prima stagione; le ingenue e inspiegabili generosità d’animo di Barbie e Big Jim verso Eva e Junior, con successive e meritatissime defenestrazioni.
Dulcis in fundo, ritorna la solita incapacità di costruire dei dialoghi seri e credibili, qui in una forma peggiore del solito. Un esempio? Prendiamo la scena del parto e ciò che accade dopo. Ad un certo punto Barbie cerca di giustificare le sue azioni dicendo che voleva “salvare la Eva che conosceva”. Esattamente qual era l’Eva che conosceva? Quella del Dreamworld? La donna in quella dimensione in cui non era vero niente e in cui sono stati manipolati da Christine per i suoi scopi e per nutrire la Forza Vitale o qualsiasi cosa fosse? La “Eva che conosce” è stato solo un frutto delle macchinazione di Christine e il loro legame è più finto di una banconota da 2€, trasformando quindi il dialogo in una barzelletta del Cucciolone.
C’è indubbiamente molta confusione nella mente dei personaggi e una poca chiarezza degli eventi che loro stessi hanno vissuto. Bene. Pure l’Alzheimer ci mancava.
Ad essere totalmente onesti, Under The Dome va però premiato su un paio di aspetti: pur con i suoi tanti scivoloni, nella trama della terza stagione non c’è solo molta più azione e sequenze di scontri, armati e non, rispetto alle precedenti stagioni – che risollevano sempre l’umore, unite alle molte più morti di molti più personaggi fastidiosi – ma c’è anche un lampante desiderio di condurre l’intera storia e i suoi protagonisti ad una conclusione e verso un punto di arrivo; attualmente, non ci è concesso sapere se quel “punto di arrivo” è più verso il series finale fatto e finito, oppure un “punto di arrivo” più simile ad episodi come “My Name Is Oliver Queen“, dove il Season Finale della terza stagione di Arrow si poneva come una sorta di conclusione ad un primo, grande capitolo della vita dell’arciere DC Comics. Certamente questo non salva il telefilm dallo stesso problema di sempre: il come ci stia arrivando a questo “punto di arrivo”.
La costruzione di “Love Is A Battlefield” ricorda un po’ un midseason/season finale di The Walking Dead, dove per una manciata di puntate succedeva il nulla e nelle ultime battute si da il via libera ai colpi di scena. L’unica differenza è che sono più dei colpi di scena generati dagli sceneggiatori del calibro della serie Boris, o al massimo dallo stesso autore di “Urla A Caso“. Tralasciando il cerebralmente leso Joe, che balla e canta in gaio modo “Love Is A Battlefield” (citando ruffianamente la canzone da cui prende il nome l’episodio e oltraggiando così Pat Benatar), la puntata ci offre degli svolgimenti che rendono difficile la sospensione dell’incredulità causa scontatezza, prevedibilità e bassezza qualitativa, rafforzando al contrario la Teoria del Cigno Nero, con risultati più tendenti verso lo sconcertato sdegno: insomma “un giretto di parole vuote, ma doppiate”, avrebbe detto Samuele Bersani. Tra questi: una nuova sequenza di Barbie Ostetricia, per tutti quelli che volevano un bis dopo la prima volta; il modo in cui la bambina-aliena-sort of viene fatta nascere, come se Julia e Barbie stessero schiacciando una valigia troppo grossa che non vuole chiudersi; la provvidenziale scoperta di un altra razza aliena quando non si sa nemmeno il nome di quella che tormenta i domers sin dalla prima stagione; le ingenue e inspiegabili generosità d’animo di Barbie e Big Jim verso Eva e Junior, con successive e meritatissime defenestrazioni.
Dulcis in fundo, ritorna la solita incapacità di costruire dei dialoghi seri e credibili, qui in una forma peggiore del solito. Un esempio? Prendiamo la scena del parto e ciò che accade dopo. Ad un certo punto Barbie cerca di giustificare le sue azioni dicendo che voleva “salvare la Eva che conosceva”. Esattamente qual era l’Eva che conosceva? Quella del Dreamworld? La donna in quella dimensione in cui non era vero niente e in cui sono stati manipolati da Christine per i suoi scopi e per nutrire la Forza Vitale o qualsiasi cosa fosse? La “Eva che conosce” è stato solo un frutto delle macchinazione di Christine e il loro legame è più finto di una banconota da 2€, trasformando quindi il dialogo in una barzelletta del Cucciolone.
C’è indubbiamente molta confusione nella mente dei personaggi e una poca chiarezza degli eventi che loro stessi hanno vissuto. Bene. Pure l’Alzheimer ci mancava.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Forse non la puntata più scema e ignobile dello show (difficile togliere il primato a “Ejecta“), ma poco ci manca. L’alto tasso di idiozie presenti in “Love Is A Battlefield” hanno trasformato un verso dell’omonima canzone di Pat Benatar in un mantra che si è ripetuto per quaranta minuti, quasi per infondersi coraggio: “why do you hurt me so bad?“. Si premia la bontà d’intenti nel porre una fine, dignitosa o meno, alla serie e di non trascinare ulteriormente i segreti e i misteri dello show (a cui non è stata ancora trovata una risposta soddisfacente) ad oltranza.
Legacy 3×10 | 4.04 milioni – 0.8 rating |
Love Is A Battlefield 3×11 | 4.60 milioni – 0.9 rating |
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Ma del capello di Christine trovato in un fienile (un fienile!!!) dove mezz'ora prima c'era mezzo mondo non ne vogliamo parlare?
Ciao Alan! Dobbiamo proprio? Abbiamo volutamente estromesso la cosa perché, ogni volta che ci provavamo, RecenSerie.exe crashava e smetteva di funzionare 😛 ahahah
in effetti immagino che se si dovessero elencare tutte le scemenze (guardie che sparano contro il giubbotto antiproiettile di colleghi presi in ostaggio, tanto per dirne una) il programma si rifiuterebbe; peccato, perché nonostante tutto penso che con uno o due autori seri under the dome avrebbe potuto comunque essere un telefilm carino; adesso è un incrocio tra Goldrake, alien e una telenovela sudamericana.a caso.
Riguardo a questo, giusto per spingere il pedale delle coincidenze al massimo, il telefilm era in effetti carino, finché dietro la mente dietro tutto era Brian K. Vaughan: sceneggiatore famoso sopratutto nel campo dei fumetti e autore di Figate™ come Y: The Last Man, Ex Machina, Runaways e Saga (magari ne hai sentito parlare, attualmente Saga è il suo lavoro più recente e sta facendo il pieno di plausi da parte di pubblico e critica). Casualmente, Vaughan abbandona all'inizio della seconda stagione: quando tutto comincia ad andare male. Coincidenza? Noi di RecenVoyager ci crediamo poco.
no, coincidenza no; però l'hanno sostituito con topo gigio, perché va bene che vaughn è forte ma bastava qualcuno appena decente per restare sui binari almeno della decenza.
Mammagari l'avessero sostituito con Topo Gigio! Scommetto che sarebbe riuscito a tirar fuori qualcosa di decente come showrunner. E invece ci hanno messo una delle cacche senzienti di Dr. Slum & Arale.