American Crime Story: The Assassination Of Gianni Versace 2×09 – AloneTEMPO DI LETTURA 4 min

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La lapide di Andrew Cunanan si perde tra mille altre, in un anonimo corridoio di un cimitero americano.
Il suo nome è uno dei tanti sulla parete, in mezzo a persone qualunque, rendendo vano ogni suo tentativo di salire nell’olimpio della gloria di chi ce l’ha fatta, nella vita e anche nella morte.
Si chiude così la seconda di stagione di ACS, con un amaro senso di ineluttabilità. Una stagione che ha volutamente deciso di focalizzarsi su una sorta di profiling dell’assassino di Gianni Versace, tentando di analizzare (riuscendoci) cosa potrebbe portare un ragazzo a diventare un efferato serial killer, quale ambiente possa produrlo. Una stagione coraggiosa anche nella sua struttura; una narrazione a ritroso che mostra vari momenti, fondamentali, nella breve vita di Andrew.
In quest’ultimo episodio si torna al punto iniziale, quella mattina di metà Luglio del 1997, e si mostrano gli ultimi giorni di vita dell’assassino, ormai braccato dalla polizia e sempre più soffocato da quel piccolo mondo, quasi escapista, che si era creato fin dall’infanzia per dare un senso alla sua vita.
La tragedia è inevitabile e ormai nessun piano può funzionare laddove il grande castello di carta è ormai crollato.
La scrittura sfrutta la possibilità offerta dalla struttura dell’episodio (la ricerca del nascondiglio dell’assassino da parte della polizia) per mostrare le reazioni e i sentimenti di tutti i sopravvissuti al “ciclone” Cunanan, intervistati o citati come fosse un documentario o un talk show d’annata. Ogni personaggio ha l’opportunità di mostrarci un lato diverso di Andrew, nell’intento di presentarcelo per quello che è, tutto sommato: un semplice ragazzo, vittima della sua condizione di ‘principe predestinato’ che non ha mai trovato riscontro nel mondo reale. Da un lato un mostro per gli atti compiuti, dall’altro un essere umano che ha subito un mondo troppo crudele e complicato con cui relazionarsi.
Questa carrellata di testimonianze aiutano ad evidenziare un aspetto importante di tutta la stagione: la possibilità di mostrare agli occhi del mondo l’umanità che c’è dietro alle persone che vengono emarginate, spesso migliori di chi le ha giudicate solo per i loro orientamenti sessuali. Questo si affianca all’altro tema centrale di questa stagione: la percezione dell’omosessualità negli anni ’90. Murphy e soci optano per un approccio lontano da facili patetismi, opzione narrativa spesso usata nel parlare di omosessualità al grande pubblico, per raccogliere facili consensi senza andare oltre la superficie.
La grande rivelazione che si ha è che tutte le vittime di Cunanan, nonostante siano considerate “depravate” e indegni di considerazione anche dalle autorità (polizia) risultino essere semplicemente umane. Diverse tra di loro e quindi non facenti parti di una categoria legata solo al loro orientamento sessuale. Quest’ultimo non è il centro del loro essere e del loro agire ma diventa il limite entro il quale la società ha imposto di rimanere. Non conta quindi che si possa essere un magnate degli affari molto generoso o un architetto di talento o un militare che ha salvato vite o anche solo l’amore importante per qualcuno. Alla fine conta solo la tua “perversione” e l’unica via di scampo è diventare famoso per essere in qualche modo accettato e normalizzato. Andrew non ha mai avuto la pazienza di sviluppare il suo talento (se mai l’avesse avuto), perché troppo schiacciato dalla necessità di essere accettato per quello che è, perdendo però lentamente il contatto con la realtà e la parte vera di sé.
Quella carrellata finale sulle due diverse sepolture non fa altro che sancire come neanche nella morte sia possibile riscattarsi da una vita ai margini, soprattutto se si è privi di talento e della tenacia, così forti da rompere certe barriere.
Un grande lavoro, quello svolto in questa stagione, per far empatizzare il telespettatore con uno dei più pericolosi serial killer d’America, per nulla scontato sulla carta. Complice, oltre al reparto narrativo, anche una recitazione di Darren Criss al limite del fenomenale. Si può quindi dire che il risultato è stato raggiunto, offrendoci un altro spaccato della società americana tremendamente importante e basilare.
THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Darren Criss, sempre mutevole ed efficace
  • L’estetica eccessiva e decadente a completamento di una storia tragica
  • Le testimonianze dei sopravvissuti che aiutano a far vedere i diversi lati della personalità di Cunanan
  • Il dialogo tra Versace e Cunanan, forse mai avvenuto ma tremendamente esemplificativo delle differenze tra i due
  • Mancano i dettagli di come la polizia riesca a scovare Cunanan ma in fondo non sono poi così importanti

 

American Crime Story conferma di essere una serie antologica di ottima qualità. A differenza della sua gemella horror, mantiene un livello di scrittura e di messa in scena coerente e di alto livello, permettendosi anche di sperimentare approcci narrativi non sempre convenzionali.

 

Creator/Destroyer 2×08 1.00 milioni – 0.3 rating
Alone 2×09 1.20 milioni – 0.3 rating

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Dopo miliardi di ore passate a vedere cartoni giapponesi e altra robaccia pop anni ’80 americana, la folgorazione arriva con la visione di Twin Peaks. Da allora nulla è stato più lo stesso. La serialità è entrata nella sua vita e, complici anche i supereroi con le loro trame infinite, ora vive solo per assecondare le sue droghe. Per compensare prova a fare l’ingegnere ma è evidentemente un'illusione. Sogna un giorno di produrre, o magari scrivere, qualche serie, per qualche disperata tv via cavo o canale streaming. Segue qualsiasi cosa scriva Sorkin o Kelley ma, per non essere troppo snob, non si nega qualche guilty pleasure ogni tanto.

2 Comments

  1. Peccato che nessuno si sia accorto della “torre Unicredit” in quella ripresa della Milano del 1997, o di quell’interno del Duomo più finto di una moneta da 3 euro.

    Quando gli americani tentano di scimmiottare l’Italia, purtroppo, il risultato si vede. E sottolineo purtroppo.

  2. Beh, dettagli del genere possono anche sfuggire. Credo che abbiano rispettato abbastanza l’italianità dei fratelli Versace nonostante tutto.

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