American Horror Story: Apocalypse 8×06 – Return to Murder HouseTEMPO DI LETTURA 4 min

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Suonerà quasi fin troppo sensazionalistico, ma è incredibile come questa stagione stia crescendo in termini di qualità e ritmo; dove tutto acquisisce senso e allo stesso tempo risulta anche appassionante.
Sta diventando ripetitivo ma è bene ripetere che il rischio che tutto andasse “in vacca” è sempre stato il timore di chi segue questa serie fin dall’inizio, a meno che non si faccia parte di quella parte di fan completamente focalizzati sul puro e becero fan-service. Paradossalmente questo episodio ne è pieno poiché si ritorna nella “Murder House”, dove tutto ebbe inizio, e si ritrovano tutti quei personaggi, amatissimi dal pubblico, che hanno contribuito alla creazione del longevo brand di AHS. Allora, cosa rende questo episodio qualcosa di più di un un semplice esercizio di compiacimento del mito, da dare semplicemente in pasto ai propri fan?
Beh, innanzitutto, un senso di linearità generale e un tema centrale ripreso con coerenza e ben focalizzato: il senso della famiglia. Ri-analizzando le varie storie presentate, sia in questa stagione ma, volendo, anche nelle precedenti, risulta evidente il ruolo centrale che ha avuto la famiglia nella formazione di ogni singolo individuo e di come questo possa condizionare la scelta di perseguire o meno il male (o il bene) nella nostra esistenza.
Se in Coven la famiglia disfunzionale, rappresentata della congrega di streghe, andava a sostituire quella canonica, per intraprendere un percorso di crescita personale, è evidente come invece nella Murder House tutto ruoti intorno a quella che si considera come “famiglia tradizionale”, alle scelte che i suoi componenti fanno in base ai propri bisogni e desideri. Tra i molti aspetti, uno emerge in particolar modo: che peso dare all’educazione data alla propria discendenza; quale ruolo si desidera ricoprire come genitore e quale in realtà si assume nel corso del tempo.
La storia di Constance funge perfettamente da esempio. La sua presunta predestinazione alla maternità le fa compiere scelte fallimentari, non avendo mai perfettamente chiaro che tipo di prole si ritrovi davanti ma preferendo nascondersi dietro l’idea di Madre di tutti i “figli” che le capitano nel corso della sua vita. Non bastano i matrimoni falliti o quattro figli “mal riusciti”. Il suo desiderio la porta ad investire aspettative verso suo nipote, ignorando come questi sia stato concepito nel male, all’interno di quella casa maledetta e quindi destinato ad essere portatore dello stesso. La sua colpa o, meglio, la sua responsabilità non sta nel non aver curato Michael dal suo male innato quanto più nel non essersi mai posta come una madre vera, pronta a dedicarsi semplicemente ai propri figli, mancando della capacità di mettersi in discussione, per non lasciare mai la possibilità di contraddire la sua idea di madre predestinata. Risulta quindi come una conseguenza che Michael erediti questa modalità e la applichi quindi anche contro lei stessa, arrivando quasi ad ucciderla. A Constance non resta quindi che tornare indietro, nell’unico modo possibile, suicidandosi, andando verso quel suo mondo ideale, in realtà mai esistito se non nella sua testa, dove i suoi figli possono esserle devoti senza mai portarla ad analizzare le sue scelte. Ecco quindi che Moira deve essere fatta sparire, trattata come merce di scambio, poiché è l’unica, all’interno del mondo degli spiriti nella casa, a ricordarle quanto le sue azioni siano state meschine e discutibili.
Al contrario, il resto dei personaggi, rimasti con una trama appesa fin dalla prima stagione, in qualche modo fanno i conti con le loro colpe e riescono a raggiungere la redenzione: Moira che si ricongiunge con la madre, Ben che riparla con Vivien della loro perdita e soprattutto Tate che riesce a ritrovarsi con Violet. Tutti raggiungono un finale forse troppo consolatorio che sfiora la banalità ma molto funzionale per quanto espresso finora. Soltanto prendendosi le proprie responsabilità si riesce a raggiungere un equilibrio, che per quanto precario, permette di andare avanti ed avere una nuova possibilità con se stessi e con gli altri.
In ultima analisi, la tristezza di Constance, veicolata attraverso la splendida interpretazione della Lange in questo brevissimo ritorno nella serie, arriva incisivamente a spiegare la ragione del reale pericolo rappresentato da Michael più che la sua componente strettamente demoniaca. Un risultato coerente ed efficace che si lega molto bene con quanto raccontato finora, arricchendolo di spunti e profondità. Veramente un buon risultato se si pensa che banalmente si sta introducendo “solo” il figlio di Satana.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Il ritorno della Lange/Constance. Intenso, coinvolgente, perfetto
  • La coerenza che non sfiora mai la didascalia
  • Tutti i ritorni ben orchestrati così come il senso di nostalgia, mai troppo abusato.
  • La Roberts perfetta nel suo essere odiosa, tranchant e, in fondo, empatica
  • Dylan McDermott non è troppo malaccio ma anche come psicologo si dimostra un fallimento


Il giudizio non può che essere un “grazie” poiché questo tipo di serie deve appassionare lo spettatore e coinvolgerlo e in questa stagione sta avvenendo. Si può solo esserne lieti e sperare che gli ultimi quattro episodi siano di livello.

Boy Wonder 8×05 2.12 milioni – 1.0 rating
Return to Murder House 8×06 2.01 milioni – 0.9 rating

 

 

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Dopo miliardi di ore passate a vedere cartoni giapponesi e altra robaccia pop anni ’80 americana, la folgorazione arriva con la visione di Twin Peaks. Da allora nulla è stato più lo stesso. La serialità è entrata nella sua vita e, complici anche i supereroi con le loro trame infinite, ora vive solo per assecondare le sue droghe. Per compensare prova a fare l’ingegnere ma è evidentemente un'illusione. Sogna un giorno di produrre, o magari scrivere, qualche serie, per qualche disperata tv via cavo o canale streaming. Segue qualsiasi cosa scriva Sorkin o Kelley ma, per non essere troppo snob, non si nega qualche guilty pleasure ogni tanto.

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