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American Horror Story: Delicate 12×08 – Little Gold ManTEMPO DI LETTURA 3 min

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AHS 12x08Come da tradizione, verso la fine di ogni stagione di American Horror Story, le cose precipitano e la comprensione dei fatti (e l’appassionarsi ad essi dello spettatore) cala inesorabilmente. Sembra quasi una cosa voluta e che nutra una sorta di masochismo dello spettatore nel continuare a seguire, rendendo questo atteggiamento parte della componente “horrorifica” della serie stessa.

FINALMENTE L’OSCAR


Lungi dall’aver mai dubitato che Anna non vincesse il tanto agognato Oscar per la miglior interpretazione di questo fantomatico “The Auteur“, il punto dolente di questa serie è (ma ce ne sarebbero molti altri, in realtà) l’idea confusa che sta dietro l’impianto narrativo. Ad oggi si è capito come il culto che imperversa nei secoli si nutra letteralmente dei feti e del loro sangue per perpetuare la propria immortalità.
Nel cold opening si scopre come anche Mia Farrow sia stata contattata dal culto durante le riprese di Rosemary’s Baby, cercando di creare quel legame pop utile a dare valore ad una storia che fatica ad avere un senso. Peccato che rimane una cosa messa lì tanto per fare volume, ma non sostanza. Anna quindi sceglie volontariamente di voler vincere la tanto ambita statuetta, andando però sicuramente a rinunciare al figlio così a lungo voluto.

TUTTO CIÒ PERCHÈ?


Giusto per mettere in file alcuni eventi di questo episodio e cercare di capire il senso degli avvenimenti. In questo episodio Anna segue la matta Preecher nell’ospedale dopo il discorso fatto al funerale di Virginia. Lì incontra Cora, l’infermeria del dottore che la segue per la gravidanza, e scopre che Dex la tradisce con lei mentre Preecher viene rapita dal culto.
Lascia Dex e si dirige alla notte degli Oscar dove non sa se lo vincerà. Siobhan la tenta, e lei, nonostante tutti i segnali poco rassicuranti che le avvengono intorno, non ci pensa due volte a mettere la sua vittoria davanti a tutto, continuando a fidarsi ancora di tutti.
Il grande difetto quindi non è la verosimiglianza degli avvenimenti, bensì il mancato legame logico azione/conseguenza degli stessi. In sostanza, si susseguono scene – anche visivamente interessanti – che però non hanno senso tra loro o, se ce l’hanno, ad un episodio dalla fine, non si è ancora capito quale sia.

QUINDI DOVE SI STA ANDANDO?


La risposta breve è: boh.
Onestamente, il rammarico derivante da questa confusione narrativa è legato al fatto che l’esplorazione della maternità e di tutte le paure legate ad essa, anche con derivazioni orrorifiche, poteva essere sfruttato meglio, anche in relazione all’idea di vederlo utilizzato lungo l’intera storia, come teoricamente sembrava essere attraverso l’utilizzo di tutti questi flashback. Probabilmente il tutto è legato all’approccio usato dal romanzo da cui è tratta la storia di questa stagione (quello di Danielle Rollins, intitolato “Delicate Condition“), che ha vincolato la sceneggiatrice Halley Feiffer, che ha sostituito ufficialmente Ryan Murphy come showrunner e produttore esecutivo di AHS. Di certo è che si dovesse basare il giudizio su quanto fatto fin qui, questo non risulterebbe positivo.
Una cosa evidente che pesa tantissimo sulla qualità della serie è la scelta del cast, composto in modo da riuscire a compensare la situazione, quando già lo script è già di suo debole. Infatti, non è un caso che l’episodio migliore visto finora è stato quello precedente anche grazie ad Annabelle Dexter-Jones. Praticamente la sola protagonista, mentre negli altri come questo ci si deve accontentare della Kardashan e della Roberts, evitando volontariamente di parlare di Czuchry. Strano, perché Murphy in passato riusciva molto bene in questo.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Il cold opening con Frank Sinatra e Mia Farrow
  • La scena semi-splatter del finale, respingente al punto giusto
  • La storia non sembra andare in una direzione precisa. 
  • Troppi spunti narrativa senza svilupparli e mancanti di legami interessanti

 

Duole dirlo, ma ci si sta avviando alla solita fase finale deludente della stagione di AHS che non smentisce una tradizione che a questo punto sembra essere quasi voluta. Va capito se per il suo pubblico sia ancora valida tale da consentirne il continuo rinnovo.

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Dopo miliardi di ore passate a vedere cartoni giapponesi e altra robaccia pop anni ’80 americana, la folgorazione arriva con la visione di Twin Peaks. Da allora nulla è stato più lo stesso. La serialità è entrata nella sua vita e, complici anche i supereroi con le loro trame infinite, ora vive solo per assecondare le sue droghe. Per compensare prova a fare l’ingegnere ma è evidentemente un'illusione. Sogna un giorno di produrre, o magari scrivere, qualche serie, per qualche disperata tv via cavo o canale streaming. Segue qualsiasi cosa scriva Sorkin o Kelley ma, per non essere troppo snob, non si nega qualche guilty pleasure ogni tanto.

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