American Sports Story 1×01 – If It’s To BeTEMPO DI LETTURA 3 min

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La nuova creatura antologica di Ryan Murphy si focalizza stavolta sullo sport, dopo l’horror e il crime. Lo fa raccontando la parabola del giocatore di football tight end Aaron Hernandez, nella NFL coi New England Patriots, dalla sua ascesa nell’olimpo dei giocatori alla rovinosa caduta per un’accusa di omicidio.

CHI ERA HERNANDEZ?


Negli otto episodi previsti, la volontà degli autori – la serie oltre alla produzione di Murphy e del fedele Falchuk, vede Stu Zicherman come showrunner – sembra essere quella di raccontare la complessa storia di Hernandez, esplorando i diversi aspetti della sua vita in parallelo alla sua carriera fulminante nel football.
Viste le persone coinvolte, la storia da raccontare è per forza di cose controversa. Una delle cifre stilistiche di Murphy è quella di prendere un fatto storico preciso e guardarlo da tanti punti di vista, soprattutto quelle zone grigie dove la verità, almeno quella nota finora, non è mai perfettamente chiara.
Hernandez quindi è un ragazzo la cui vita è stata costellata di fatti, scelte e situazioni che lo hanno portato al suicidio in carcere, spiazzando tutto il pubblico che lo seguiva e innescando una crescente preoccupazione verso i molteplici casi di encefalopatia traumatica cronica (CTE) riscontrati nei giocatori dell’NFL. Patologia scoperta dopo l’autopsia di Hernandez, di cui soffriva forse non solo per i colpi presi giocando, ma anche a causa di possibili abusi.

PERDITA DEL CONTROLLO


Da questo primo episodio è abbastanza facile riscontrare la principale caratteristica del giocatore: la mancanza di controllo sui propri stati emotivi. Se da un lato la CTE sembra, a posteriori, giustificare certi comportamenti border line del suo carattere (con conseguenti episodi criminali), le serie vuole focalizzarsi anche sulle dinamiche familiari e sul suo orientamento sessuale, quali fonti destabilizzanti di una già fragile personalità.
Nel primo caso, c’è il rapporto tossico col padre, violento ed estremamente esigente coi propri figli, tanto da arrivare a deciderne il destino sportivo, rinunciando ad opportunità di carriera molto interessanti. A questo fa da contraltare una madre che, messa da parte dal marito che concentra su di sé odio e amore dei figli, sparisce rapidamente dalla vita turbolenta dal figlio, colpevole forse di aver cercato attenzioni affettive da altre parti.
L’ambiente profondamente omofobo del football dell’epoca, in aggiunta a quello del padre padrone, forza Hernandez a vivere i propri desideri sessuali di nascosto e come fonte di imbarazzo perché, se scoperti, comprometterebbero la sua promettente carriera. Nell’episodio inoltre si possono vedere anche altre influenze destabilizzanti, come le frequentazioni criminali che mai lo abbandoneranno. Insomma un quadro che sicuramente offre tanti spunti narrativi da esplorare.

… IT’S UP TO ME


Come accaduto per l’altra antologica della stessa matrice produttiva (incentrata sul crime), questa sembra avere tutte le carte in regola per funzionare ed appassionare. Come si sa, Murphy & co. amano “crogiolarsi” in questo tipo di biografie dove il protagonista può essere sia odiato che amato, senza che mai si riesca a capire il confine tra ciò che è buono e ciò che è cattivo. Ed è questo uno dei principali rischi che la serie può avere andando avanti nella storia: compiacersi di essere controversa e lasciarsi andare in questa direzione, perdendo il focus sul dramma, con tutte le sue implicazioni interessanti da sviluppare. Va detto che questo giudizio è solo una paura, più che una reale situazione riscontrata. La storia al momento c’è, e sembra interessante.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Confezione al solito molto buona
  • Messa in scena e recitazione di buona qualità
  • Storia interessante, con tanti lati da esplorare
  • Il rischio di autocompiacersi sguazzando nell’ambiguità va considerato nello sviluppo della storia.

 

Il giudizio finora è positivo e una chance se la merita di sicuro.  I timori per uno sbraco successivo (altra “cifra” stilistica di Murphy, va detto) sono solo pregiudizi… al momento.

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Dopo miliardi di ore passate a vedere cartoni giapponesi e altra robaccia pop anni ’80 americana, la folgorazione arriva con la visione di Twin Peaks. Da allora nulla è stato più lo stesso. La serialità è entrata nella sua vita e, complici anche i supereroi con le loro trame infinite, ora vive solo per assecondare le sue droghe. Per compensare prova a fare l’ingegnere ma è evidentemente un'illusione. Sogna un giorno di produrre, o magari scrivere, qualche serie, per qualche disperata tv via cavo o canale streaming. Segue qualsiasi cosa scriva Sorkin o Kelley ma, per non essere troppo snob, non si nega qualche guilty pleasure ogni tanto.

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