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A volte il riscatto sociale scaturisce nella vita vera allo stesso modo in cui solitamente viene presentato al grande pubblico tramite un film. La storia di Carlos Alberto Martìnez Tévez, conosciuto come l’Apache dagli addetti ai lavori può tranquillamente essere vista in questo modo.
Il riscatto che Tévez affronterà non si circoscrive solamente all’ambito sociale, visto e considerato che anche la sfortuna sembrava voler avere potere di scelta sulla vita del giovane ragazzo argentino. Orfano di padre, ucciso in una sparatoria quando ancora Carlos non era venuto al mondo; abbandonato dalla madre a soli tre mesi; e, come se non bastasse, vittima di un gravissimo incidente domestico a poco meno di un anno di vita. L’acqua bollente di un bollitore, incautamente lasciato sul letto dove il bambino, da sdraiato, rideva gioiosamente con le zie che lo accudivano, gli si riversa sull’intero corpo. Il terrore di un possibile dramma, la corsa all’ospedale e l’ignoranza del contesto familiare peggioreranno ulteriormente le cose: le zie, infatti, credendo di aiutare il piccolo lo avvolgono in una coperta di nylon per coprire le bruciature. Sarà proprio questa coperta, scioltasi, ad aggravare le ustioni ed i danni riportati dal piccolo Tévez: ustioni di primo e secondo grado che il piccolo (successivamente ragazzo e poi uomo) porterà sul proprio corpo per tutta la vita quasi fossero un simbolo di provenienza, nonché sintomatico messaggio di un riscatto sociale e familiare di cui aveva necessità per poter sopravvivere.
La famiglia viveva in un distretto di Ciudadela (Buenos Aires), notoriamente conosciuto come Fuerte Apache (per questo motivo Carlos verrà soprannominato l’Apache), soprannome dato dal giornalista José de Zer in un suo articolo riguardo uno scontro a fuoco nel complesso di case del quartiere.
Rilasciata nel 2019, Apache: La Vida de Carlos Tevez, rappresenta una sorta di ringraziamento dell’intera produzione argentina di Netflix per una delle figure sportive del ventesimo secolo più importanti nonché vincenti. A sancire, forse, in maniera definitiva questo eterno amore tra l’Apache e la propria nazione è stato il ritorno in patria, tra le file del Boca, di Carlitos nel 2018. Forse sarebbe meglio specificare, per l’appunto, che la vera storia d’amore in tutto questo è proprio tra Tévez ed il Boca Juniors, la squadra in cui ha debuttato ufficialmente nel calcio che conta e che anche in questa prima puntata, “1984”, viene subito citata dal ragazzino come proprio personale obbiettivo. Il Boca è la squadra, il sogno, di buona parte dei ragazzini che nei barrio di Buenos Aires rischiano la vita anche semplicemente giocando a calcio per strada.
Ciò che colpisce all’interno della serie, ovviamente meno della tragicità della storia che accompagna Carlitos, è sicuramente la scelta del cast: Balthazar Murillo è il soggetto più perfetto si potesse scegliere per rappresentare il giovane Tévez. Nel viso del ragazzo e nelle smorfie di gioia dopo un goal o una vittoria si può tranquillamente intravedere quello stesso Carlos che, in Europa, farà incetta di coppe: tre Premier League, una Carabao Cup, due Community Shield, una FA Cup, una Champions League ed un Mondiale per Club; due Campionati Italiani, una Coppa Italia ed una Supercoppa Italiana. Ma se in Europa Carlos Tévez viene sempre ricordato con semplice riconoscenza calcistica, in Argentina la sua figura raggiunge una sorta di misticismo paragonabile a pochi altri calciatori argentini. Si pensi ad esempio a Juan Romàn Riquelme, ora vice presidente proprio del Boca Juniors, squadra in cui ha debuttato nel 1996 ed a cui ha fatto ritorno nel 2007 dopo poco più di cinque anni in Europa (Barcellona prima, Villareal poi).
Attorno a questo alone di venerazione e misticismo, Netflix costruisce la propria serie tv mostrando a tutti la predestinazione di un giovane ragazzo del barrio che superati gli incessanti ostacoli della vita riesce finalmente a sfondare e ad approdare nel calcio che conta allontanandosi da un contesto sociale che lo avrebbe facilmente fagocitato e masticato senza alcun tipo di rispetto o pietà. La serie, come dimostra perfettamente il primo episodio, non si circoscrive solo al già noto Carlitos cercando piuttosto di far capire al pubblico che Tévez ha avuto la possibilità di diventare ciò che è ora soprattutto grazie all’amore della propria famiglia. In particolar modo lo zio Segundo Tévez, pedina fondamentale per la vita (e quindi possibilità di riscatto) di Carlitos. Agli occhi del ragazzino i due zii appaiono eccessivamente intransigenti, ma purtroppo il giovane non comprende il caos criminalizzato che annichilisce il barrio: Segundo ed Adriana, invece, ne sono consapevoli e cercano di rimanerne più distanti possibili impedendo ai figli di prendere parte a qualsiasi tipo di attività che potrebbe nuocere loro.
Una realtà criminale che, presentata dagli occhi di un ragazzino, rappresenta solamente un punto di partenza nel quale poter vivere la propria vita, assaporare i primi amori e soprattutto cercare di rendersi utili all’interno della propria famiglia. Una realtà da cui l’Apache si allontanerà a suo di goal, di giocate funamboliche e di magie calcistiche. E “1984”, di questa storia, altro non è che il puro e semplice punto di partenza.
Il riscatto che Tévez affronterà non si circoscrive solamente all’ambito sociale, visto e considerato che anche la sfortuna sembrava voler avere potere di scelta sulla vita del giovane ragazzo argentino. Orfano di padre, ucciso in una sparatoria quando ancora Carlos non era venuto al mondo; abbandonato dalla madre a soli tre mesi; e, come se non bastasse, vittima di un gravissimo incidente domestico a poco meno di un anno di vita. L’acqua bollente di un bollitore, incautamente lasciato sul letto dove il bambino, da sdraiato, rideva gioiosamente con le zie che lo accudivano, gli si riversa sull’intero corpo. Il terrore di un possibile dramma, la corsa all’ospedale e l’ignoranza del contesto familiare peggioreranno ulteriormente le cose: le zie, infatti, credendo di aiutare il piccolo lo avvolgono in una coperta di nylon per coprire le bruciature. Sarà proprio questa coperta, scioltasi, ad aggravare le ustioni ed i danni riportati dal piccolo Tévez: ustioni di primo e secondo grado che il piccolo (successivamente ragazzo e poi uomo) porterà sul proprio corpo per tutta la vita quasi fossero un simbolo di provenienza, nonché sintomatico messaggio di un riscatto sociale e familiare di cui aveva necessità per poter sopravvivere.
La famiglia viveva in un distretto di Ciudadela (Buenos Aires), notoriamente conosciuto come Fuerte Apache (per questo motivo Carlos verrà soprannominato l’Apache), soprannome dato dal giornalista José de Zer in un suo articolo riguardo uno scontro a fuoco nel complesso di case del quartiere.
Rilasciata nel 2019, Apache: La Vida de Carlos Tevez, rappresenta una sorta di ringraziamento dell’intera produzione argentina di Netflix per una delle figure sportive del ventesimo secolo più importanti nonché vincenti. A sancire, forse, in maniera definitiva questo eterno amore tra l’Apache e la propria nazione è stato il ritorno in patria, tra le file del Boca, di Carlitos nel 2018. Forse sarebbe meglio specificare, per l’appunto, che la vera storia d’amore in tutto questo è proprio tra Tévez ed il Boca Juniors, la squadra in cui ha debuttato ufficialmente nel calcio che conta e che anche in questa prima puntata, “1984”, viene subito citata dal ragazzino come proprio personale obbiettivo. Il Boca è la squadra, il sogno, di buona parte dei ragazzini che nei barrio di Buenos Aires rischiano la vita anche semplicemente giocando a calcio per strada.
Ciò che colpisce all’interno della serie, ovviamente meno della tragicità della storia che accompagna Carlitos, è sicuramente la scelta del cast: Balthazar Murillo è il soggetto più perfetto si potesse scegliere per rappresentare il giovane Tévez. Nel viso del ragazzo e nelle smorfie di gioia dopo un goal o una vittoria si può tranquillamente intravedere quello stesso Carlos che, in Europa, farà incetta di coppe: tre Premier League, una Carabao Cup, due Community Shield, una FA Cup, una Champions League ed un Mondiale per Club; due Campionati Italiani, una Coppa Italia ed una Supercoppa Italiana. Ma se in Europa Carlos Tévez viene sempre ricordato con semplice riconoscenza calcistica, in Argentina la sua figura raggiunge una sorta di misticismo paragonabile a pochi altri calciatori argentini. Si pensi ad esempio a Juan Romàn Riquelme, ora vice presidente proprio del Boca Juniors, squadra in cui ha debuttato nel 1996 ed a cui ha fatto ritorno nel 2007 dopo poco più di cinque anni in Europa (Barcellona prima, Villareal poi).
Attorno a questo alone di venerazione e misticismo, Netflix costruisce la propria serie tv mostrando a tutti la predestinazione di un giovane ragazzo del barrio che superati gli incessanti ostacoli della vita riesce finalmente a sfondare e ad approdare nel calcio che conta allontanandosi da un contesto sociale che lo avrebbe facilmente fagocitato e masticato senza alcun tipo di rispetto o pietà. La serie, come dimostra perfettamente il primo episodio, non si circoscrive solo al già noto Carlitos cercando piuttosto di far capire al pubblico che Tévez ha avuto la possibilità di diventare ciò che è ora soprattutto grazie all’amore della propria famiglia. In particolar modo lo zio Segundo Tévez, pedina fondamentale per la vita (e quindi possibilità di riscatto) di Carlitos. Agli occhi del ragazzino i due zii appaiono eccessivamente intransigenti, ma purtroppo il giovane non comprende il caos criminalizzato che annichilisce il barrio: Segundo ed Adriana, invece, ne sono consapevoli e cercano di rimanerne più distanti possibili impedendo ai figli di prendere parte a qualsiasi tipo di attività che potrebbe nuocere loro.
Una realtà criminale che, presentata dagli occhi di un ragazzino, rappresenta solamente un punto di partenza nel quale poter vivere la propria vita, assaporare i primi amori e soprattutto cercare di rendersi utili all’interno della propria famiglia. Una realtà da cui l’Apache si allontanerà a suo di goal, di giocate funamboliche e di magie calcistiche. E “1984”, di questa storia, altro non è che il puro e semplice punto di partenza.
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Netflix presenza la vita di Carlitos Tévez, prima che questi diventi il fulcro dell’area di rigore di diverse squadre europee: Tévez prima di diventare a tutti gli effetti l’Apache, quindi.
1984 1×01 | ND milioni – ND rating |
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.