Kevin: “I believe you.”
Nora: “You do?”
Kevin: “Why wouldn’t I believe you? You’re here.”
Nora: “I’m here.”
A volte determinate serie tv decidono, per questioni di sceneggiatura o per puro diletto del regista, di portare in scena un episodio filler, un mero riempitivo della narrazione per nulla utile con il prosieguo della stagione (se non qualche raro accenno in conclusione, solitamente).
A volte capita che questa tipologia di episodi giunga in un momento della stagione dove un rallentamento non sarebbe necessario; altre volte, invece, le tempistiche risultano perfettamente coerenti e permettono alla storia, unitamente allo spettatore, di tirare un bel respiro, mettere ordine e riflettere su quanto visto.
A volte capita che la consistenza stessa di questi episodi filler sia completamente campata in aria e si percepisca il bisogno lampante della produzione di guadagnare tempo rubando minuti preziosi di vita allo spettatore; altre volte, invece, quello che viene mandato in onda diventa in pochi attimi la migliore esperienza seriale della stagione e forse dello stesso anno: basti pensare alla decima puntata della terza stagione di Breaking Bad, “Fly”, un gioiello di inequivocabile valore.
“The Queen” è un episodio che arriva nel momento più corretto della stagione e dopo un finale di puntata, la scorsa, che aveva messo sul fuoco molteplici dubbi ed argomenti di cui bisognava in un qualche modo dibattere. Henry viene malamente accantonato per poter concedere maggiore spazio a Ruth ed al microcosmo nel quale sembra essere immerso il suo personaggio.
Presente, passato e futuro si mescolano diventando un qualcosa di imprecisato. Anzi, per meglio esporre la questione, presente, passato e futuro smettono di essere punti di rilevazione temporale da apporre su una linea retta. Invece che vedere una progressione orizzontale, quindi, Ruth sembra essere coinvolta in una progressione verticale dove il focus che si sposta mano a mano non è più il tempo, ma lei stessa: Ruth riesce a far spaziare lo spettatore tra presente, passato ed un accenno di futuro (proprio in conclusione di puntata). E’ come una pedina degli scacchi, Ruth, per la precisione come il pezzo più pregiato della scacchiera, la Regina (da qui il titolo): svincolata da qualsiasi regola a cui è sottoposto ogni altro pezzo, può destreggiarsi in ogni direzione senza limitazione alcuna.
Ecco quindi che molti dei buchi narrativi vengono colmati mentre Ruth, come se fosse il personale Virgilio dello spettatore, si mette a disposizione per concedere soluzioni a dubbi palesatisi durante i passati episodi. Ogni singola scena passata nella quale l’anziana madre di Henry sembrava essere stata colta da un attacco o da un cedimento della propria psiche, assumono un altro significato nel momento in cui vengono trasposte sullo schermo sotto un’altra luce, quella relativa alla verticalità del tempo, di cui avevamo avuto un accenno nello scorso episodio durante il dialogo tra Ruth ed il proprio nipote.
“The Queen” non porterà in essere alcun tipo di sviluppo nella trama, anche se con il finale bisognerà prima o poi fare i conti, ed ha la pecca di aver (giustamente, verrebbe da aggiungere) lasciato da parte Henry. Ma quello che è andato in onda è forse l’ora di intrattenimento più carica di emozioni, sentimento e tensione visiva di questa serie fino a questo preciso istante.
Sissy Spacek conquista la scena con un’interpretazione superlativa e che lascia completamente attoniti con un finale di puntata che non può non ricordare, per carica emotiva e per una scelta musicale tanto peculiare, l’enigmatico ed accorato confronto finale tra Kevin e Nora in The Leftovers.
Ed è per questo preciso motivo e per la questione della verticalità del tempo che quel “don’t leave” già citato più e più volte all’interno dello show assume ora tutto un altro significato, ben più carico di sentimento e di verità.
Alan: “Ruth. It’s ‘cause of you. That’s why I came back. I… I know it’s not fair to put this on you after all these years, and if you want me to, I’ll go right now.”
Ruth: “No. Please. Don’t leave. Please don’t leave.”
Alan: “I’m not goin’ anywhere.”
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.
Non concordo per nulla. Ho trovato la punata terribilmente soporifera e praticamente inutile. Il concetto avrebbe ben potuto essere espresso in non più di 5 minuti…