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“I didn’t come here to apologize. I came here to get you to spit on a Q-tip. Are you gonna do it or not?”
Superata ormai la metà del suo percorso composto da 8 episodi totali, Defending Jacob continua a seguire la strada dell’attendismo, mettendo in scena un’altra puntata che si basa maggiormente sulle reazioni dei protagonisti piuttosto che su eventuali passi avanti della trama.
Non che quest’attenzione primaria sui character sia un male, anzi, approfondire alcuni aspetti riguardo le modalità di reazione si sta rivelando producente come contorno della storia. Se da un lato, infatti, vi è un Jacob che viene messo maggiormente ai margini del racconto (fatto eccezione per sottolineare le sue discutibili preferenze e alimentare il dubbio sulla sua figura), dall’altro sono i genitori del ragazzo che si prendono la prima pagina, ponendosi però agli antipodi per approccio, reazione e comportamenti. Una differenza sostanziale che riesce a dare maggiore forza alla narrazione, dando voce a due diversi modi di reagire in una situazione simile.
Il comportamento di Andy, aiutato anche dalla sua professione, è tutto mirato al dimostrare l’innocenza del figlio, in cui crede fermamente e senza ombra di dubbio. Un elemento che serve sia a mostrare il carattere dell’uomo, sia a dare allo spettatore la possibilità di seguire un qualche tipo di indagine. In scena, infatti, non vengono mostrati i progressi o le piste prese dalla polizia, quindi il continuo seguire Andy nei suoi poco ortodossi interrogatori, rendono potenzialmente veritiere tutte le altre strade che vanno dai compagni di scuola di Jacob alla figura di Leonard Patz.
A questo approccio più concreto si oppone quello di Laurie, molto più sfaccettato e pieno di dubbi e timori. Il modo in cui viene rappresentata la figura della madre in una situazione come questa merita sicuramente un elogio a parte. Laurie è stata mostrata sin dall’inizio divisa tra una facciata stoica e una forte fragilità interna, dilaniata dal dubbio sull’effettiva colpevolezza del figlio: un approccio che non sempre viene messo al centro della storia in questi casi, dove si preferisce lasciar emergere quello spirito materno che dà per scontata l’innocenza del proprio figlio. Questa diversa scelta narrativa oltre a dare maggiore profondità al personaggio di Laurie che, episodio dopo episodio, si sta ritagliando al meglio la sua dose di attenzione, permette anche a Michelle Dockery di brillare: dalla scena nel supermercato al confronto con la terapeuta, l’interpretazione della ex Mary di Downton Abbey si sta rivelando sempre eccellente.
I due diversi approcci dei protagonisti in questo episodio trovano però il punto di congiunzione in un evento che si pone come croce e delizia di “Visitors”. L’attesa per l’entrata in scena di J.K. Simmons era alle stelle sin dagli istanti finali dello scorso episodio e, naturalmente, non ha deluso le aspettative. Almeno nella forma. Il confronto tra Andy e suo padre è stato ad alta tensione, mirato più al reciproco scambio di accuse che altro e alla fine inconcludente, ma dove Simmons è riuscito a rubare totalmente la scena grazie ai gesti, al tono di voce, alla mimica facciale che sono riusciti a mostrare in pochi colpi il carattere di Barber senior. Ed è proprio qui che subentra la parte negativa di tutto questo: con un attore del genere, il più che ridotto minutaggio dedicato al personaggio lascia decisamente perplessi, soprattutto se si pensa che le opportunità non mancavano. Non si comprende infatti la scelta di lasciare off-screen il confronto tra Billy e Laurie che avrebbe potuto senz’altro regalare ulteriori momenti ad alta tensione emotiva.
Non che quest’attenzione primaria sui character sia un male, anzi, approfondire alcuni aspetti riguardo le modalità di reazione si sta rivelando producente come contorno della storia. Se da un lato, infatti, vi è un Jacob che viene messo maggiormente ai margini del racconto (fatto eccezione per sottolineare le sue discutibili preferenze e alimentare il dubbio sulla sua figura), dall’altro sono i genitori del ragazzo che si prendono la prima pagina, ponendosi però agli antipodi per approccio, reazione e comportamenti. Una differenza sostanziale che riesce a dare maggiore forza alla narrazione, dando voce a due diversi modi di reagire in una situazione simile.
Il comportamento di Andy, aiutato anche dalla sua professione, è tutto mirato al dimostrare l’innocenza del figlio, in cui crede fermamente e senza ombra di dubbio. Un elemento che serve sia a mostrare il carattere dell’uomo, sia a dare allo spettatore la possibilità di seguire un qualche tipo di indagine. In scena, infatti, non vengono mostrati i progressi o le piste prese dalla polizia, quindi il continuo seguire Andy nei suoi poco ortodossi interrogatori, rendono potenzialmente veritiere tutte le altre strade che vanno dai compagni di scuola di Jacob alla figura di Leonard Patz.
A questo approccio più concreto si oppone quello di Laurie, molto più sfaccettato e pieno di dubbi e timori. Il modo in cui viene rappresentata la figura della madre in una situazione come questa merita sicuramente un elogio a parte. Laurie è stata mostrata sin dall’inizio divisa tra una facciata stoica e una forte fragilità interna, dilaniata dal dubbio sull’effettiva colpevolezza del figlio: un approccio che non sempre viene messo al centro della storia in questi casi, dove si preferisce lasciar emergere quello spirito materno che dà per scontata l’innocenza del proprio figlio. Questa diversa scelta narrativa oltre a dare maggiore profondità al personaggio di Laurie che, episodio dopo episodio, si sta ritagliando al meglio la sua dose di attenzione, permette anche a Michelle Dockery di brillare: dalla scena nel supermercato al confronto con la terapeuta, l’interpretazione della ex Mary di Downton Abbey si sta rivelando sempre eccellente.
I due diversi approcci dei protagonisti in questo episodio trovano però il punto di congiunzione in un evento che si pone come croce e delizia di “Visitors”. L’attesa per l’entrata in scena di J.K. Simmons era alle stelle sin dagli istanti finali dello scorso episodio e, naturalmente, non ha deluso le aspettative. Almeno nella forma. Il confronto tra Andy e suo padre è stato ad alta tensione, mirato più al reciproco scambio di accuse che altro e alla fine inconcludente, ma dove Simmons è riuscito a rubare totalmente la scena grazie ai gesti, al tono di voce, alla mimica facciale che sono riusciti a mostrare in pochi colpi il carattere di Barber senior. Ed è proprio qui che subentra la parte negativa di tutto questo: con un attore del genere, il più che ridotto minutaggio dedicato al personaggio lascia decisamente perplessi, soprattutto se si pensa che le opportunità non mancavano. Non si comprende infatti la scelta di lasciare off-screen il confronto tra Billy e Laurie che avrebbe potuto senz’altro regalare ulteriori momenti ad alta tensione emotiva.
“Believe me, if I could take your place, I would. In a minute.”
Ad inizio recensione si sottolineava come con un’attenzione maggiore sui personaggi a farne le spese era invece lo sviluppo della storia. In definitiva, infatti, la serie tende ancora a prendere tempo, continuando a trascinare gli elementi fondamentali per lo sviluppo della trama inerenti il processo e l’omicidio. Ci sono piccoli e inconcludenti passi in avanti, come la scoperta di Andy riguardo i due compagni di scuola di Jacob, che tuttavia in questo caso si ritrovano ad assumere contorni da 13 Reasons Why; e vi è anche la questione inerente Leonard Patz ma, come già successo in un precedente episodio, a tal proposito continuano ad essere rilasciati indizi con il contagocce. Troppo poco per una miniserie che tra 3 episodi troverà la sua conclusione.
Troppo è infatti ancora il mistero che si cela nei flashforward che vedono Andy dinanzi al Grand Jury. Nel primo episodio, tale udienza era stata ambientata 10 mesi dopo l’omicidio di Ben Rifkin, mentre all’inizio del processo contro Jacob mancano appena 7 settimane. Cercando di tranquillizzare il figlio, Andy afferma che 7 settimane sono tante e molte cose possono accadere, chissà dunque se, nel frattempo, non ha trovato il modo di tenere fede alla citazione riportata poco sopra.
Troppo è infatti ancora il mistero che si cela nei flashforward che vedono Andy dinanzi al Grand Jury. Nel primo episodio, tale udienza era stata ambientata 10 mesi dopo l’omicidio di Ben Rifkin, mentre all’inizio del processo contro Jacob mancano appena 7 settimane. Cercando di tranquillizzare il figlio, Andy afferma che 7 settimane sono tante e molte cose possono accadere, chissà dunque se, nel frattempo, non ha trovato il modo di tenere fede alla citazione riportata poco sopra.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Un altro episodio estremamente nella norma per Defending Jacob ma, dato il materiale promettente a disposizione, ci si aspetta decisamente di più. Anche perché il tempo inizia a stringere.
Damage Control 1×04 | ND milioni – ND rating |
Visitors 1×05 | ND milioni – ND rating |
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Nata con la passione per telefilm e libri, cresciuta con quella per la scrittura. Unirle è sembrata la cosa più naturale. Allegra e socievole finché non trova qualcosa fuori posto, il disordine non è infatti contemplato.
Tra una mania e l'altra, si fa carico di un'estenuante sensibilità che la porta a tifare per lo sfigato di turno tra i personaggi cui si appassiona: per dirla alla Tyrion Lannister, ha un debole per “cripples, bastards and broken things”.