Spoilerando velocemente il voto finale dato alla puntata, non si può che capire quanto fosse importante l’inizio dell’intero processo per Defending Jacob. Importante, per non dire necessario, per rivitalizzare una narrazione che si era andata ad impantanare su un attendismo piuttosto dirompente e per via della mancanza di fatti e/o azioni che rinvigorissero la trama. Essendo questa la penultima puntata era quindi più che lecito aspettarsi un altro ritmo ed una frenesia totalmente diversa grazie al processo e, fortunatamente, così è stato.
Jacob: “It was just a story. I didn’t know it would be a big deal.”
Andy: “Did you do it? Just tell me. Did you kill him?”
Jacob: “No.”
“Job” è praticamente ambientato solo nell’aula del tribunale di Newton e, come nei migliori dei casi, l’atmosfera che trasuda dalle aule dove viene decisa la giustizia americana ha un fascino tutto particolare. Per certi versi, ed evitando qualsiasi tipo di polemica sulla qualità dei processi in America, sembra quasi che l’esistenza della Giuria sia quasi fatta apposta per aumentare la teatralità degli eventi nel piccolo schermo. E funziona. La contrapposizione tra accusa e difesa, di fronte all’imparzialità del giudice, vive grazie a colpi di scena, sguardi rubati e silenzi forzati. Tutte cose che in questo penultimo episodio elevano la visione.
Chiaramente tra i componenti importanti per il successo vi sono anche i vari membri della giustizia che hanno diritto di parola durante il processo, entrambi selezionati alla perfezione. Da un lato c’è Cherry Jones/Joanna Klein che è perfetta nel ruolo dell’avvocato difensore grazie alla voce calma ed il modo di fare molto protettivo ma genuino, dall’altro c’è Paul Schreiber/Paul Logiudice che ha quella classica faccia (e attitudine) strafottente che si vorrebbe tanto prendere a schiaffi anche solo per noia. Se l’empatia del pubblico raggiunge i massimi livelli è anche, se non solo, per merito loro.
Certo è che il momento in cui viene raccontata la storia scritta da Jacob/Job su The Cut Up Room è un bel plot twist. La costruzione narrativa della colpevolezza di Jacob è perfetta e convince chiunque sotto ogni aspetto, tanto che il finale arriva come un pugno allo stomaco e crea un certo senso di colpevolezza nello spettatore. D’altronde un quattordicenne che scrive una storia del genere a tre giorni dall’omicidio di un compagno di classe non può essersi inventato tutto, c’è per forza un fondo di verità, anche se la lettera di Leonard Patz sembra dire il contrario: la lacrima sul volto di Jacob, la sua gamba impossibile da tenere ferma ed una perizia psichiatrica non del tutto benevola, sono troppi elementi a sfavore dell’imputato. Ed il Grand Jury a cui sta riferendo Andy nel “futuro” sembra confermarlo.
Come già ripetuto in praticamente tutte le recensioni, l’utilizzo di J. K. Simmons è e rimane un grosso demerito della serie che poteva essere evitato semplicemente non utilizzando un nome ed una faccia così altisonanti per un ruolo così povero. Di fatto, si può parlare di “spreco” visto quanto Simmons sia bravo e quanto poco sia stato sfruttato finora, aggiungendo momenti tutto sommato irrilevanti nei vari episodi. C’è ancora una puntata per giustificarne le presenza (e volendo si potrebbe ipotizzare anche un collegamento con il sosia meno di successo di Michael Chiklis) ma, anche se Mark Bomback ci riuscisse, non toglierebbe completamente l’opinione fin qui creata. Detto ciò, l’ultimo giro di lancette sarà decisivo.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Wishful Thinking 1×06 | ND milioni – ND rating |
Job 1×07 | ND milioni – ND rating |
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.