Emily In Paris 1×01 – Emily In ParisTEMPO DI LETTURA 4 min

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Può una serie tv annoiare dopo appena cinque minuti? A quanto pare tutto è possibile in questo anno maledetto, dove le disgrazie sono all’ordine del giorno. Non bastavano mascherine, distanziamento sociale, recessione e coviddi vari; a complicare la situazione ci si mette pure Darren Star ed il suo tentativo di riportare in auge il suo marchio di fabbrica, dopo il successo senza tempo di Sex and The City. L’ideatore delle vicende di Carrie Bradshaw & Co., infatti, è riuscito a far breccia nel cuore di milioni di spettatori, sdoganando diversi tabù e presentando delle protagoniste femminili indipendenti, emancipate, glamour, che non aspettavano di cert, il principe azzurro facendo la calza a casa, ma avevano una vita amorosa  (e sessuale) molto più complicata e, proprio per questo, vera. Qualunque donna, chi più chi meno, aveva potuto ritrovare se stessa e rispecchiarsi nelle vicissitudini di Carrie, Samantha, Miranda e Charlotte mentre si destreggiavano in un mondo e in un linguaggio che, fino ad allora, era rimasto prettamente relegato alla sfera maschile. Da un nome così iconico, dunque, ci si aspettava un prodotto sulla stessa falsariga o, comunque, con lo stesso stile brioso, moderno ed ironico. Mai previsioni furono più errate di così.

Emily: First, let me apologize for speaking English. I did Rosetta Stone on the plane, but it hasn’t kicked in yet.
[…] For those of you who haven’t met me, I’m Emily Cooper, and I’m so excited to be here in Paris. I’m looking forward to getting to know each and every one of you and, likewise, having you get to know me.

Emily in Paris è un dramedy incentrato sulla figura di Emily Cooper, ragazza ventenne in odore di promozione a senior brand manager presso un’importante azienda di Chicago, che, per coincidenze fortuite, si ritrova catapultata a Parigi dove dovrà farsi valere ed aprire un nuovo capitolo della propria vita. La premessa, seppur banale, rispecchiava abbastanza il tocco di Darren Star, tra location accattivanti, abiti da fashion week, una protagonista femminile affermata ed una buona dose di romanticismo. Purtroppo, il paragone con Sex and The City finisce non appena cominciata la puntata, in quanto ogni minuto risulta essere peggiore del precedente. Di certo non si poteva auspicare un prodotto creativo ed originale, ma quantomeno qualcosa in più di una semplice sequela di stereotipi, luoghi comuni, cliché e frasi fatte che nemmeno gli sceneggiatori di Boris sarebbero riusciti a partorire.
Lily Collins – figlia del celebre cantante Phil Collins – è l’ennesima bella faccia sfruttata più per il fisico adatto ad indossare un guardaroba da capogiro che per le sue reali capacità recitative, sulle quali comunque è meglio sorvolare. Il resto del cast è, per adesso, solo abbozzato anche se tra francesi snob, un boss alla Miranda Priestly ed un fidanzato che verrà cornificato a breve, la sagra del trito e ritrito è prontamente servita.
La scrittura di Darren Star è lontana anni luce dai fasti di Sex and The City e finisce per snocciolare dialoghi piatti, buoni solo per farcire qualche romanzo harmony; la regia non è propriamente da buttare, ma ben si amalgama alla qualità mediocre dell’episodio, dove a spiccare è soprattutto l’uso smisurato e poco sopportabile dei social, da parte della protagonista. Così Emily Cooper passa metà del tempo a farsi selfie ed inventarsi hashtag per i suoi profili Instagram e TikTok: atteggiamenti che risulterebbero naturali solo se a farlo fosse una quindicenne o Chiara Ferragni. Facendo un passo indietro però, e constatando l’audience a cui Netflix ha puntato per questa serie, si capisce il perchè di tutto ciò.
Per il restante minutaggio della puntata – per fortuna della durata di appena 30 minuti – la protagonista si fa odiare dai propri colleghi, inserisce parole a caso in francese credendosi simpatica, viene abbordata dal classico playboy francese (stereotype much?) dopo trenta secondi di conoscenza e fa saltare la corrente di un intero palazzo usando un vibratore. Emily In Paris non è decisamente uno show per palati raffinati, ma nemmeno un modello per palati più giovani: è semplicemente plastico e bidimensionale.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Quando sono comparsi i titoli di coda
  • Stereotipi e cliché
  • Dialoghi piatti e banali
  • Emily ed i social
  • Fabio Volo in confronto sembra Stanley Kubrick
  • Mezz’ora della propria vita persa

 

“Emily In Paris” è il pilot più brutto di questo 2020 da dimenticare. Un’accozzaglia oscena di luoghi comuni e piattume. Da guardare solo se si è costipati ed si ha bisogno di un aiuto aggiuntivo.

 

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Se volete entrare nelle sue grazie, non dovete offendere: Buffy The Vampire Slayer, Harry Potter, la Juventus. In alternativa, offritele un Long Island. La prima Milf di Recenserie, ma guai a chiamarla mammina pancina.

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