La creatura di Noah Hawley torna con la sua quinta stagione quasi inaspettatamente dopo 3 anni.
Dopo il mezzo passo falso delle quarta (non particolarmente coinvolgente nonostante le premesse) serviva un ritorno importante, e questo avviene con una season premiere notevole che ridesta l’attenzione verso un brand inaugurato dai fratelli Coen. C’è da aggiungere che Noah Hawley per questa quinta stagione ritorna a firmare tutte le sceneggiature e si mette anche dietro la macchina da presa per i primi due episodi.
LA TRAGEDIA DEI BENI COMUNI
Inutile negarlo: la quarta stagione, che aveva generato grandi aspettative, si era rivelata priva di coinvolgimento. Ciò nonostante l’attenzione si fosse spostata verso un altra parte della società, fino a quel momento vista solo in secondo piano o per nulla (ovvero le comunità nere e italoamericane). Stavolta si torna in Minnesota, apparentemente nella solita famiglia che dovrebbe venire sconvolta dall’esterno da una forza distruttrice del caos.
La grande novità stavolta è che il caos è già presente nella protagonista, l’apparente innocua e remissiva Dot (una bravissima Juno Temple, vista recentemente in Ted Lasso) che si rivela invece una fredda e velocissima sicaria all’occorrenza. Infatti la sua nuova vita, costruita dopo un passato non ancora chiarito, viene sconvolta quando viene arrestata per un “fraintendimento” fatto di teaser alla gola di un poliziotto, facendola quindi emergere dall’anonimato. Una lunga e appassionante fuga da due killer che l’avevano ritrovata occupa buona parte dell’episodio, permettendo già di dare quel contesto umano, alla base degli intenti di una serie come Fargo, coi suoi luoghi tipici, un po’ fuori dal mondo.
TUTTO APPASSIONATAMENTE ASSURDO
Lungo tutto l’episodio si torna a provare quel senso di grottesco misto a thriller, cifra stilistica del marchio Fargo, tanto da far rimanere lo spettatore incollato fino alla fine. Sarebbe strano dirlo in altri contesti, ma qui la componente di repulsione e attrazione deve essere necessariamente presente se si decide di guardare (e si apprezza) una serie come questa.
A partire da Dot, la protagonista, è chiaro che la sua personalità eccessiva, quasi bipolare quando si tratta di agire (o non agire), viene portata all’estremo e risulta una macchietta. Se da un lato c’è una casalinga remissiva totalmente soggiogata dal resto della società, a cominciare dalla suocera Lorraine (una Jennifer Jason Leigh sopra le righe), dall’altro si vede come riesca a studiare piani di emergenza alla MacGyver, per sfuggire al rapimento di cui è caduta vittima. Un’abilità fuori dal comune nell’usare le armi, nelle arti di combattimento o tutto ciò che è disponibile al momento per rallentare o fermare l’aggressore.
MINNESOTA E LA BRAVA GENTE
A fine episodio, la modalità con cui avviene il confronto col marito evidenzia come si possa suscitare interesse anche solo sbattendo l’impasto per un pancake e una mimica facciale da manuale. Ovviamente tutti gli altri personaggi non hanno nulla di ordinario, piani di fisime, tic e disturbi comportamentali più o meno dichiarati. Tutti concorrono a rendere il racconto quello splendido misto di cose antitetiche che approfondisce la schizzata analisi sociale tanto cara a Hawley. Si prenda ad esempio lo stupido commesso del drug store alla stazione della benzina.
Minutaggio minimo ma grandissima resa narrativa. Niente viene risparmiato, soprattutto quell’epica del racconto, qui demolita da ogni personaggio nella sua tremenda umanità imperfetta. Inutile dire che la confezione è deliziosa, sia come regia che come fotografia. Cast perfetto finora. Onestamente non si potrebbe chiedere di meglio come inizio, per chi partiva un po’ prevenuto.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Inizio col botto inaspettato per questa nuova stagione che invoglia subito a volerne di più. Considerando la totale resa incondizionata dello spettatore nei confronti di una narrazione che non si capisce mai dove vuole andare, ma che nel frattempo lo incolla sullo schermo, non è poco. Anzi.
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Dopo miliardi di ore passate a vedere cartoni giapponesi e altra robaccia pop anni ’80 americana, la folgorazione arriva con la visione di Twin Peaks. Da allora nulla è stato più lo stesso. La serialità è entrata nella sua vita e, complici anche i supereroi con le loro trame infinite, ora vive solo per assecondare le sue droghe. Per compensare prova a fare l’ingegnere ma è evidentemente un'illusione. Sogna un giorno di produrre, o magari scrivere, qualche serie, per qualche disperata tv via cavo o canale streaming. Segue qualsiasi cosa scriva Sorkin o Kelley ma, per non essere troppo snob, non si nega qualche guilty pleasure ogni tanto.