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“So, let’s all bow our heads and pray that Ray Goode don’t never show up here. But that if he does none of you well-meaning souls take him in. Unless you want to suffer like our Lord Jesus suffered for all of us. Amen.”
Il western, a quanto pare, sta tornando di moda in televisione. Una delle serie di maggior successo della HBO degli ultimi anni, Westworld, sfrutta ampiamente l’ambientazione del Far West; AMC dopo la fine di Hell on Wheels si è già rituffata nel genere con The Son; Sky e USA Network hanno prodotto due serie autunnali, Tin Star e Damnation rispettivamente, che pur non essendo veri e propri western ne riprendono le atmosfere e diversi elementi. Per non parlare delle recenti notizie sul film di Deadwood da parte della solita HBO e dell’annuncio di un futuro progetto italiano su Django, che in un panorama televisivo tremendamente arretrato quale il nostro può solo far bene. Inevitabile, dunque, che il colosso Netflix non sarebbe rimasto con le mani in mano e Godless ne segna l’ingresso ufficiale nel genere western: un ingresso, sia permesso azzardare dopo la visione del primo episodio, piuttosto convincente sotto diversi punti di vista.
La storia, ambientata nel 1884, ruota intorno a due poli, distinti eppure inevitabilmente destinati a collidere. Da un lato c’è la banda di efferati criminali capeggiata da Frank Griffin, interpretato da un Jeff Daniels perfettamente a suo agio nei panni del bandito fanatico e spietato, che non si fa il minimo scrupolo a sterminare interi centri abitati, a impiccare bambini e a irrompere nelle chiese in sella al suo cavallo tuonando le peggiori minacce: un personaggio pittoresco come tanti che hanno popolato la frontiera, carismatico eppure tremendamente inquietante con quella maschera sorniona di chi scherza e ride prima di ucciderti a tradimento.
Dall’altro lato, invece, troviamo La Belle, centro minerario come tanti della frontiera, privato all’improvviso di quasi tutti i suoi uomini da un tragico incidente nella miniera che ha lasciato soltanto uno sceriffo alle prese con l’avanzare dell’età, un vice-sceriffo poco più che ragazzo, qualche vecchio, non pochi mocciosi e soprattutto tante donne, tante vedove, tante orfane e, non ultime, tante puttane senza più lavoro. La Belle è un universo quasi esclusivamente femminile in un contesto, quello del Far West, prettamente maschilista e patriarcale, in cui il gentil sesso era confinato nei ruoli della moglie, della madre, della figlia, al massimo della maestra o della meretrice, mentre avventuriere come Calamity Jane erano più uniche e rare. Le donne che la abitano sono forti, determinate, indipendenti e padrone entro certi limiti delle proprie vite, ma solo perché uno scherzo del destino le ha poste in quella situazione; non hanno combattuto per ottenere quella libertà e quelle responsabilità, non sono rette da alcun principio o ideologia femminista, che sarebbero risultati a dir poco anacronistici e fuori luogo nel New Mexico del 1884. Anzi, all’interno di La Belle le vere tensioni non sono quelle tra le donne e i pochi uomini rimasti, quanto piuttosto tra queste e la doppiamente vedova Alice Fletcher, circondata da una fama non proprio lusinghiera ma con sufficienti motivi per odiare, a sua volta, il resto della cittadina a causa della morte sospetta del secondo marito, un nativo. Tutto ciò non esclude affatto la presenza di un discorso femminista sulla forza delle donne, sulla loro capacità di farsi valere tanto e anche più degli uomini (anche se, a dir la verità, avere come unico metro di paragone lo sceriffo McNue e il vecchietto del saloon facilita troppo le cose alle donzelle) e di realizzarsi anche al di fuori della sfera della maternità, del matrimonio o del bordello, ma questo è inevitabile: ogni rievocazione storica si nutre tanto del passato che vuole riportare in vita, quanto dei problemi e delle tematiche presenti proiettate indietro nel tempo. Ci sono casi in cui questa operazione non riesce come dovrebbe e si finisce per trasferire troppo presente nel passato e casi in cui, invece, si trova la giusta misura: Godless appartiene a questa seconda categoria.
Si è detto che la storia ruota attorno a due poli, Frank Griffin e la sua banda da un lato, La Belle e le sue donne dall’altro; a unirli vi è la figura di Roy Goode, uomo di Griffin che ha pensato bene di rubare al suo vecchio capo il bottino dell’ennesima rapina ad un treno e di fuggire, capitando alla fine proprio a La Belle, dove viene prima sparato e poi curato da Alice Fletcher. Se Griffin è spietato, sadico e sanguinario, Goode lascia invece intravedere un animo meno nero, più grigio, pieno sicuramente di ombre ma anche di lati chiari, come dimostra ad esempio nella scena in cui salva un bambino da un serpente che sta per morderlo. Probabilmente, quando i suoi ex-compagni arriveranno a La Belle con intenzioni tutt’altro che amichevoli nei confronti della cittadina colpevole di averlo ospitato, Goode troverà l’occasione perfetta per riscattarsi definitivamente.
Si è già parlato di Daniels, ma accanto a lui il cast annovera altri nomi importanti del panorama televisivo. Nei panni di Alice Fletcher c’è Michelle Dockery, nuovamente in abiti d’epoca dopo la fortunata Downton Abbey, anche se non si poteva immaginare ruolo più diverso da Mary Crawley per lei; lo sceriffo Bill McNue è invece Scoot McNairy, fresco dell’ultima stagione di Halt and Catch Fire e qui ancora una volta alle prese con famiglie da mandare avanti e malattie degenerative; i panni di Goy Roode sono vestiti dal britannico Jack O’Connell, noto ai più per il suo ruolo in Skins e qui sufficientemente convincente come malvivente dal cuore (forse) d’oro. Degno di menzione è anche il vice dello sceriffo, interpretato da Thomas Brodie-Sangster, alias Jojen Reed di Game of Thrones, che pur avendo ormai ventisette anni sembra ancora un ragazzino ed è quindi perfetto per trasmettere l’idea che a La Belle siano talmente disperati in fatto di uomini da affidarsi ad un giovincello per un ruolo così delicato.
Del western classico Godless recupera ampiamente i ritmi lenti e solenni, l’indugiare in apparentemente interminabili cavalcate (come quella della banda di Griffin che chiude la prima puntata), i primi piani, i personaggi imbruttiti e ingrugniti, i lunghi silenzi, il senso di isolamento e di fragilità tanto del singolo quanto della comunità, vulnerabili a forze naturali incontrollabili e a minacce umane non meno pericolose, la debolezza della legge di fronte alla forza bruta; e ovviamente non mancano gli Stetson, i revolver e i fucili, i saloon, le rapine ai treni, i ranch, i nativi, tutti gli elementi iconici del genere. La stessa trama, per quanto si può intuire e azzardare dopo la visione del primo episodio, sembra una delle più classiche: un copione già visto, incentrato sulla vendetta e sulla difesa del territorio, in cui il forte protagonismo femminile potrebbe essere l’unica vera concessione alla modernità. Forse nei prossimi episodi il duo Sodenbergh-Frank ci sorprenderà, forse no, ma l’impressione è di essere di fronte ad un western old school, che potrebbe risultare indigesto a chi non apprezza il genere o si aspetta qualcosa di più dinamico. Per tutti gli altri, Godless potrebbe rappresentare una visione stimolante e coinvolgente, un degno omaggio (ed erede) ad un genere che ha fatto la storia del cinema.
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Le premesse della prima serie western di Netflix sono eccellenti: toccherà ai prossimi episodi dimostrare che “An Incident at Creede” non è solo uno specchietto per le allodole ma il primo degno atto del nuovo ottimo prodotto del colosso streaming.
An Incident At Creede 1×01 | ND milioni – ND rating |
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.