Il segreto per godersi un’opera derivata è quello di non confrontarla mai con l’originale, cercandone rimandi ed elogi. Con Gracepoint questo è impossibile.
Le citazioni fanno piacere, quando sono poche e così ben inserite che solo lo spettatore più attento riesce a coglierle, ma in Gracepoint questo continuo citazionismo è fastidioso, se poi tenete conto che si tratta nuovamente di Chibnall ecco che allora arriva qualcosa di ancora più disturbante: l’autocitazione.
Con il pilot (questo o questo?) ci eravamo riservati un giudizio prossimo; la serie aveva promesso una scissione e questo secondo episodio appariva più che mai importantissimo per capire la piega che lo show avrebbe preso, ma rimaniamo a bocca asciutta perché ci ritroviamo di fronte al secondo episodio di Broadchurch, niente di più niente di meno.
Rivediamo la madre di Danny consolata dal reverendo, la chiacchierata sul molo tra i due giornalisti, lo skateboard nascosto da una Susan Wright molto meno inquietante dell’originale, Miller che trova nella piccola Chloe, l’Heisenberg della cittadina (quanta simpatia), il sensitivo, il padre di Danny ripreso dalle videocamere e via dicendo fino all’inaspettatissima e sconvolgente rivelazione finale delle impronte.
Non so quale sadico telespettatore goda nel rivedere la stessa storia, le stesse dinamiche dell’indagine, le stesse inquadrature e gli stessi dialoghi solo che realizzati e recitati peggio. L’insieme di ciò che ne esce è imbarazzante se confrontato (e di nuovo, non si può fare a meno di farlo) con l’originale, una mera scopiazzatura e una poco dignitosa imitazione di quelli che furono gli abitanti di Broadchurch.
Gracepoint per funzionare deve trovare la sua strada e questo vuol dire per forza un cambio di rotta (che a questo punto ci auguriamo avvenga con il terzo episodio): sinceramente poco ci interessa che l’assassino sia diverso, perché chi di noi ha seguito Broadchurch ha finito per innamorarsi dei suoi cittadini con le loro storie e le loro sofferenze che non hanno fatto solo da sfondo all’omicidio di Danny, ma ci hanno accompagnato nell’indagine fino a diventare i veri protagonisti della storia. Di questo passo, il remake oltreoceano non potrà mai conquistarci se continua ad essere la fotocopia di un nostro vecchio amore. Non potremo empatizzare con nessun personaggio se questi continuano ad essere delle brutte imitazioni e nessun attore riuscirà a fare suo un character se non può rivisitarlo perché la regia e la sceneggiatura non glielo consentono. Ora come ora quello che vediamo sono facce sconosciute, personalità anonime alle quali viene imboccata una parte da recitare a memoria, senza bisogno di studiarla e cercare la giusta interpretazione perché c’è stato già chi l’ha fatto per loro. E chi ne risente di più è Anna Gunn, intrappolata in una Ellie Miller che non le appartiene, non per mancanza di capacità o spessore interpretativo, ma perché quella parte tutti sappiamo essere solo di Olivia Colman: la Miller della Gunn non convince, è costruita, rigida, esagerata nelle espressioni, non a suo agio con il personaggio perdendo in spontaneità e naturalezza.
Discorso a parte per Tennant. Il cambio del nome (da Hardy a Carver) era destinato a non confondere i due personaggi, che anche se recitati dallo stesso attore dovevano rimanere ben distinti, a maggior ragione considerando una ormai certa seconda stagione di Broadchurch. La strategia però perde di senso se sulla bocca di Carver vengono messe le stesse parole di Hardy, le stesse reazioni, lo stesso scorbutico e imperscrutabile carattere: se non vuoi cambiare la storia, perché non cambiare l’attore?
Non fa molta differenza se viene modificato il passato di Hardy, il suo accento o il suo nome se poi chi ci ritroviamo davanti è sempre l’Alec Hardy che nemmeno due anni fa arrivava nella piccola cittadina di Broadchurch.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Episode One 1×01 | 4.76 milioni – 1.3 rating |
Episode Two 1×02 | 3.91 milioni – 0.9 rating |
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Lunatica, brutta, cinefila e mancina. Tutte le serie tv sono uguali, ma alcune sono più uguali delle altre.