Nelle scorse recensioni si è sottolineato più volte come la nuova veste di Grey’s Anatomy si prestasse ad una visione semplice e leggera. Elementi che, dopo sette episodi, valgono ancora e rendono l’appuntamento settimanale quasi di routine. Eppure, sono bastate alcune settimane di pausa per scombussolare quest’abitudine e far ripiombare il pubblico in una visione che inizia un po’ a stancare.
Chi scrive, vede tra le cause del nuovo approccio “più stanco” anche la fine dell’inverno e quindi di quelle piacevoli visioni sotto il piumone che fanno quasi passare in secondo piano cosa si sta guardando. Con soli tre episodi ancora da mandare in onda, questa stagione non sembra avere alcun obiettivo da raggiungere, rimanendo ben piantata su episodi sostanzialmente fini a sé stessi.
SCARSA EMPATIA
A differenza dello scorso episodio, “She Used To Be Mine” ha il merito di rimettere in primo piano un caso medico che fa acquistare valore emozionale alla puntata. Si tratta comunque di situazioni poco approfondite nell’arco dei 40 minuti, ma che almeno si focalizzano sull’elemento che più funziona ormai nella serie.
La tragedia sfiorata con la paziente di Jo appare telefonata sin dall’inizio, ma non per questo risulta ripetitiva o noiosa. A disturbare sono invece le storyline di contorno dei protagonisti che si collegano alla trama della paziente. Le difficoltà di Jo nell’adempire a due ruoli risultano infatti manchevoli di una base solida mostrata in scena. Gli spettatori magari si ricorderanno anche che la Wilson era tornata a collaborare anche in chirurgia generale durante il Covid, tuttavia, nel corso degli ultimi tempi nessuno l’ha mai vista adoperarsi a riguardo. La sua decisione finale risulta così utile solo per dare minutaggio a lei e a Link, inserendo un dialogo vuoto e privo di qualsiasi connessione con la storia.
Stessa situazione si ripete a fotocopia anche con Owen e Teddy. Scene inserite giusto per dare minutaggio ai personaggi con problematiche vacue e inconsistenti che non raggiungono un’adeguata costruzione nell’arco dell’episodio.
ADEGUATA EMPATIA
Sembra ormai di ripetersi, ma ancora una volta sono le situazioni degli specializzandi a coinvolgere di più. Non che queste siano costruite in maniera più ricercata e profonda, ma almeno riescono ad avere un senso narrativo maggiore. Le solite dinamiche del gruppo, tra litigi e vari flirt, appaiono abbastanza di riempimento, mentre attirano maggiormente l’attenzione i collegamenti degli specializzandi con i pazienti. Ben si presta dunque l’attaccamento di Adams verso il suo di paziente, immedesimandosi con le stesse problematiche di isolamento e dando un accenno di quell’empatia medico-paziente che è sempre stato uno dei punti forti delle trame di Grey’s Anatomy.
Ma a prendersi il ruolo maggiore tra gli specializzandi in questo episodio è Simone. Una storyline, quella utilizzata per la Griffith, che non ha di certo alla base una struttura solida. Brutta copia della situazione di Meredith degli albori, a non risultare adeguata in questo caso è soprattutto la gestione della trama che appare e scompare a piacimento degli autori. Anche in questo episodio, i flash avuti dalla ragazza in sala operatoria sono sembrati improvvisi e inadatti. Se si vuole sfruttare maggiormente questa trama familiare di Simone, infatti, occorrerebbe una maggiore attenzione narrativa. Intanto, ben gestita è stata la scena finale con la Bailey mentore anche nel privato dei suoi specializzandi, un ruolo che ha maturato fortemente in passato (come tutti sanno) e che fa piacere rivedere. E poi qualche dialogo più profondo sicuramente non guasta.
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Solita puntata di normale amministrazione. Una stagione che sta scorrendo senza troppa pesantezza soprattutto grazie al numero esiguo di episodi (solo dieci). Ma se dalla prossima stagione le puntate torneranno a salire, come farà Grey’s Anatomy a catturare l’attenzione del pubblico con così poca intraprendenza narrativa?
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Nata con la passione per telefilm e libri, cresciuta con quella per la scrittura. Unirle è sembrata la cosa più naturale. Allegra e socievole finché non trova qualcosa fuori posto, il disordine non è infatti contemplato.
Tra una mania e l'altra, si fa carico di un'estenuante sensibilità che la porta a tifare per lo sfigato di turno tra i personaggi cui si appassiona: per dirla alla Tyrion Lannister, ha un debole per “cripples, bastards and broken things”.