Homeland 7×04 – Like Bad At ThingsTEMPO DI LETTURA 4 min

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Too late, it’s done.

Dopo un inizio di stagione quantomeno traballante, Homeland torna in carreggiata, regalandoci l’episodio oggettivamente migliore di questo settimo arco narrativo. I difetti non mancano, e sostanzialmente si tratta delle solite debolezze connaturate alla serie: una scrittura a tratti traballante, con i soliti deus ex machina narrativi che giungono puntuali a salvare la situazione; storyline ben poco interessanti, che tra l’altro in questo caso coinvolgono quella che dovrebbe essere la vera protagonista dello show; e la riproposizione delle medesime dinamiche per quanto riguarda il ciclico ritorno della malattia di Carrie, oramai divenuto il tappa-buchi preferito dagli autori nei momenti in cui la narrazione ha bisogno di essere annacquata.
Come sempre la serie decide di giocare sui temi scottanti dell’attualità e lo fa, a pochi giorni dalla conclusione di Waco, riproponendo un altro assedio delle forze dell’ordine atto ad espugnare un ranch pieno di fanatici. Questa volta non si tratta di fanatismo religioso, bensì di un gruppo di bifolchi dal grilletto facile, delusi dalla classe politica e fomentati dal paladino della libera informazione di turno, rivelatosi, prevedibilmente, soltanto l’ennesimo vigliacco in cerca di gloria. Una gloria che costa la vita ad un agente dell’FBI prima, giustiziato come un animale per una sua omissione di verità, e a coloro che hanno deciso di proteggerlo in nome della libertà, seppur utilizzando strumenti non proprio convenzionali.
Nonostante lo scontro fosse nell’aria – più che altro perché prima o dopo qualcosa doveva succedere – in questa occasione gli autori hanno saputo conferire ad O’Keefe una caratterizzazione molto interessante, alternando momenti di forte umanità e reale interesse nei confronti dei principi da lui difesi durante le sue trasmissioni clandestine, a momenti in cui opportunismo e cinismo più bieco affioravano prepotentemente; e questa particolare alternanza ha fatto sì che lo spettatore ne uscisse spiazzato, confuso nell’attribuzione di un giudizio di valore nei confronti del character. Questa forte ambivalenza è riscontrabile a partire proprio da questo quarto episodio: le parole di conforto rivolte a una madre preoccupata si scontrano con le reali intenzioni di O’Keefe, disposto anche a sacrificare la vita delle persone che hanno deciso di rischiare tutto soltanto per dargli asilo in cambio di un momento di popolarità, di un titolo sul giornale. Perché in fin dei conti è di questo che si tratta: nonostante l’obiettivo fosse quello di dare il colpo di grazia alla madame President Keane, colpo di grazia che peraltro è decisamente andato a buon fine, in quello sguardo a tratti diabolico lanciato al povero Saul negli ultimi secondi dell’episodio, è possibile cogliere la vera natura di O’Keefe, un uomo che ha scelto di combattere una battaglia giusta utilizzando i mezzi sbagliati. E a questo punto si può dire consapevolmente.
Dall’altra parte, abbiamo invece la debole storyline di Carrie, sempre impegnata nella sua indagine personale, che questa settimana la porta a scoprire tracce di un pagamento che collegherebbe Simone Martin all’omicidio di McClendon. Arco narrativo piuttosto debole e che pare maggiormente incentrato sulle consuete diatribe familiari con la sorella causate dal ritorno dello spettro del bipolarismo. Anche in questa occasione valgono le medesime considerazioni fatte nelle precedenti recensioni in merito alla riproposizione di dinamiche trite e ritrite, quali appunto il ritorno della malattia di Carrie e le sue paure in merito alla custodia di sua figlia, questa volta però è evidente come il minutaggio dedicato alla protagonista rappresenti solamente lo sfondo in quello che è, per fortuna, un episodio Saul-centrico.
Si tratta quindi di una puntata assolutamente valida, senza dubbio la migliore vista finora. L’ottimo lavoro fatto per la costruzione della tensione a partire dal colpo sparato a JJ è impeccabile e l’assedio al ranch avvenuto sul finale, conclusosi con quello sguardo tra Saul e O’Keefe, carico di significato nella sua totale assenza di dialogo, rappresenta l’apice narrativo raggiunto in questa settima stagione. Ora la speranza è che, esaurito tutto il potenziale action di questo segmento narrativo, la serie non torni nel suo tradizionale immobilismo diegetico post-catastrofe.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Maggiore spazio alla storyline di Saul e O’Keefe
  • La costruzione della tensione attorno all’assalto al ranch
  • La decisione di O’Keefe di tacere sulle condizioni del ragazzo
  • Ora la presidenza Keane è più che mai a rischio
  • L’ultimo scambio di sguardi tra Saul e O’Keefe
  • Soliti difetti connaturati alla serie, in particolare la solita scrittura a tratti traballante
  • Riproposizione delle stesse dinamiche circa il bipolarismo di Carrie

 

Vista in relazione agli episodi precedenti, questa puntata avrebbe potuto meritare anche il Bless, ma tenendo in considerazione i soliti difetti legati ad una scrittura a tratti traballante e alla difficoltà di mantenere alto l’interesse dello spettatore in assenza della componente action, questa settimana si decide di optare per un più onesto Thank.

 

Standoff 7×03 1.26 milioni – 0.3 rating
Like Bad At Things 7×04 0.93 milioni – 0.2 rating

 

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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.

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