House Of Cards 3×03 – Chapter 29TEMPO DI LETTURA 5 min

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Frank Underwood dì qualcosa di sinistra!
Questa è la sintesi dell’episodio. La brillante, quanto celebre, esclamazione di Nanni Moretti, datata 1998, è portatrice di un sentimento abbastanza comune tra i cittadini. Ovviamente il tutto è stato parafrasato: ciò che il buon Nanni urlava contro il suo schermo raffigurante Massimo D’Alema, era la richiesta di un rigurgito, di una dichiarazione che per una volta uscisse dalla circostanza politichese. Quale che sia l’appartenenza politica e la propria ideologia, esiste un momento in cui si sente il bisogno fisico di applaudire a più non posso una frase fine a se stessa, ma sbandierante un sentimento o un semplice pensiero, proveniente più dallo stomaco che dalla testa.
E questo è il traguardo a cui Frank Underwood giunge a fine episodio. Un episodio particolare per gli standard di House Of Cards: improvvisamente si sobbalza e si viene trascinati in una trama “d’eccezione”. Fuori le lente ed incessanti trame e sottotrame in continuo divenire, dentro un’unica, autoconclusiva (almeno alle attuali apparenze), forte e monotematica vicenda. D’altro canto quando Frank era un semplice capo di gabinetto gli eventi a cui andava incontro non potevano certo essere al livello dell’incontro con un altro capo di stato. Petrov, interpretato magistralmente da Lars Mikkelsen (recentemente in Sherlock, fratello di Mads), non rappresenta certo un tentativo da parte degli autori di nascondere la somiglianza con il personaggio reale a cui è ispirato. D’altronde di Presidente russo ce n’è uno solo. L’episodio gira intorno a tematiche già viste in altri lidi. Chi si ricorda, in Love Actually, la visita del Presidente statunitense in Inghilterra? Non era forse una trama molto simile? Anche in questo caso (il “qualcosa di sinistra” di inizio recensione), dopo un intero episodio di angherie ed umiliazioni, ci si scioglie in un catartico discorso atto a sputtanare l’ospite, o almeno a rendere vana la sopportazione tenuta fino a quel momento.
Si può senz’altro dire che viene ulteriormente confermata la nuova passiva immagine di Frank Underwood, indubbiamente esposto a venti molto più forti rispetto a prima, dall’alto della sua posizione. Ed è a questo punto che il ruolo di Claire assume un valore rilevante. Fermiamoci un momento a notare come convergono le storyline di “Chapter 29”. Lasciando da parte i fatti paralleli di Doug, è possibile notare il doppio binario che vede protagonisti Frank da un lato e Claire dall’altro. Lo spettatore è posto di fronte a due trattative: una diplomatica (tra Frank e Petrov), per risolvere importanti questioni internazionali, una morale. Claire infatti dichiara ad inizio episodio di voler risolvere da subito eventuali incomprensioni con Cathy. Ci troviamo così ad assistere a suggestivi quanto inquietanti discorsi nei sotterranei della Casa Bianca, intervallati da simpatiche reminiscenze del college, davanti ad un bel gioco alcolico. Finché non avviene la scossa. Claire e Cathy esprimono immediatamente un loro fugace parere, Claire, ormai già da sotto le coperte, lancia il sasso (“Francis, he’s a thug. Smart but still a thug. Don’t cower to him”), Frank interrompe le trattative. Tutto ciò la dice lunga sul ruolo morale della First Lady.
Ciò che colpisce a livello stilistico è la capacità di rappresentare storie estremamente attuali e verosimili (o parallele alla realtà) con uno stile totalmente “fantastico”. Basta soffermarsi sulla sequenza del ricevimento e della cena stessa ed è possibile veder scorrere, sotto i propri occhi, un’implicita rappresentazione di corte. Altre epoche ed altre realtà vengono evocate: gli invitati scorrono di fronte al proprietario e al Re Presidente di un altra nazione, l’ospite più prestigioso, rendendogli omaggio; i camerieri si muovono in sincrono intorno ad una tavola imbandita; intrighi e macchinazioni si consumano tra una portata e l’altra; dissidenti esprimono il loro malcontento e consumano un affronto simbolico di fronte alle due potenti figure.
E a proposito dei dissidenti. Si può considerare House Of Cards ambientato in una realtà parallela. Realtà dove invece che Putin esiste un suo quasi gemello chiamato Petrov, dove ad un certo punto – probabilmente dopo G.W. Bush – gli eventi hanno preso un’altra direzione facendo apparire altre figure politiche. Per questo si era parlato precedentemente di storie parallele alla realtà. Eppure, in questo caso, la nostra realtà viene catapultata violentemente sullo schermo (come spesso violentemente – anche troppo – altro è stato rappresentato in HOC). Le Pussy Riot – le vere Pussy Riot – fanno la loro comparsa scenica, esprimendo quello che è il loro vero pensiero. E i titoli di coda confermano che qualcosa di diverso è scattato: la nostra realtà ha fatto capolino in una realtà parallela, forse in maniera extra-televisivamente propagandistica.
House Of Cards regala un episodio diverso dal solito, con dinamiche simili a quelle di altri show televisivi. In ogni caso, Frank è scombussolato e questa terza stagione, più delle altre, incute curiosità su quella che sarà la vera e propria direzione dello show e del protagonista. Nel caso per esempio della seconda stagione la strada verso la presidenza era già tracciata. In questo caso, invece, viene da chiedersi: vi sarà un’ulteriore ascesa con il secondo mandato, o la prima caduta?
Intanto, per come si sta rendendo sempre più protagonista di uno show di cui non si può non parlare, citando Caparezza, possiamo senza dubbio alcuno dire che “the winner is: Kevin Spacey”.

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Bellissime inquadrature (parallela a quella della nostra immagine, vi è il confronto tra Doug e Seth con una colonna della casa in mezzo)
  • L’interpretazione di Lars Mikkelsen
  • Finale catartico
  • Dialogo nelle scale dei sotterranei
  • Importanza improvvisa di Claire
  • La regia
  • La trama continua a muoversi con le vicende di Doug, che sicuramente risulteranno determinanti
  • La formula quasi autoconclusiva dell’episodio spezza leggermente la tensione dai precedenti due
  • Troppo esplicito il messaggio extra-televisivo che sfocia in un propagandismo condivisibile ma poco velato
  • La scena di Underwood che canta risveglia in noi ricordi presidenziali traumatici

 

“Chapter 29” fa bingo anche solo per lo stacco che riesce a creare nell’atmosfera solita dello show. Certo, fosse stato a trame già consolidate forse l’effetto sarebbe stato ancora migliore. Il forse è ovviamente d’obbligo, non sapendo noi cosa succederà dopo e dando comunque quasi per scontata la determinante importanza dei fatti di questo episodio in sviluppi futuri.

 

Chapter 28 3×02 ND milioni – ND rating
Chapter 29 3×03 ND milioni – ND rating

 

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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.

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