Esattamente a metà della quarta stagione, questo episodio di House Of Cards sancisce la fine di vecchie vicende e l’inizio di nuove. Per una Dunbar che se ne va, forse un po’ troppo repentinamente, c’è un Conway che, altrettanto repentinamente entra. La campagna elettorale, almeno nell’arco narrativo della stagione, aveva come principali protagonisti Underwood e la Dunbar, con Conway solo saltuariamente citato. Probabilmente la scelta di far uscire di scena la Dunbar per concentrarsi su Conway è stata strategicamente atta a non mettere troppa carne al fuoco, a evitare che Frank si trovasse a combattere più fronti di quanti fosse, sempre narrativamente, sostenibile.
Nonostante ciò, non si può non notare come la scissione tra le due battaglie, quella Underwood-Dunbar e quella Underwood-Conway, appaia un po’ forzata: questi cambiamenti seguono un filo logico nella narrazione o sono solo il frutto della voglia di far cambiare aria agli spettatori? Per un attimo sembra di assistere al refrain tipico delle serie in cui il protagonista deve affrontare nemici e minacce che si susseguono uno dopo l’altro. Il problema è che generalmente questo modello serve a riempire di qualcosa le puntate; di conseguenza la lunghezza delle relative storyline non è tanto ponderata per l’effettivo timing necessario al suo pieno dispiegarsi ma per quello sufficiente a catturare l’attenzione dello spettatore senza farlo annoiare. È il caso di quelle serie che spezzano una stagione in due parti uguali dedicando ad ogni metà uno story arc specifico e talvolta disgiunto dall’altro; ovviamente è difficile credere che il tempo di dispiegamento di un arco narrativo corrisponda sempre perfettamente al timing televisivo della serie dato che la direzione opposta (adattare il tempo televisivo a quello narrativo) è di più difficile percorrenza, si cerca quindi di percorrere la prima senza indugiare troppo nelle storyline filler. Naturalmente non è questo il caso, ma è difficile togliersi dalla mente la fastidiosa sensazione che lo switch quasi improvviso tra la Dunbar, peraltro banalmente messa fuori gioco con le sue stesse mani, e Conway sia stato anche frutto di una scelta di cambiamento di storyline e protagonisti per rendere meno monotona la corsa alla Casa Bianca e, quindi, la narrazione.
Si può, comunque, confidare negli autori che la scelta di far emergere Conway – in questa puntata così imponentemente – sia costruita sulla solida convinzione che il personaggio avrà parecchio da offrire allo show e, probabilmente, rappresenterà un antagonista molto più interessante della Dunbar per i coniugi Underwood – come anticipato dal flashback del primo incontro tra Conway e Frank.
Sì, i coniugi Underwood. Perché, nonostante tutto, restano sempre loro, uniti, a combattere tutto e tutti. Le scene in cui provano i rispettivi discorsi di convincimento degli alleati/avversari con i ruoli da svolgere, come se stiano per rappresentare delle vere e proprie scene teatrali, sono costruite magnificamente mostrando quasi per la prima volta il lavoro di pura finzione che si cela dietro la manipolazione delle persone che circondano la coppia. La cosa più interessante è che i loro problemi di coppia non sono spariti nel nulla solo perché, banalmente, Frank ha rischiato di morire e Claire si sia fatta muovere da compassione, come spesso accade in storie in cui i protagonisti non hanno il carisma e il carattere di questi due personaggi di alta scrittura. Anzi, l’attentato ha confermato a Claire i suoi dubbi sui sentimenti nei confronti del marito e, sebbene non si sia preoccupata troppo di nasconderli, lo stesso Frank non se ne cura.
C’è una guerra là fuori ed entrambi sanno che non è questo il tempo per le questioni sentimentali. Persino il ricordo di un periodo di coppia “felice” prima che tutto avesse inizio non scalfisce questa convinzione ma contribuisce a rafforzare l’impegno con cui, insieme, combatteranno per raggiungere l’obiettivo.
“We’re going to destroy them.”
“Yes, we are.”
Underwood alla riscossa. Ed è subito voglia di vedere la puntata successiva!
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