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Un nuovo prodotto esce dalla collaborazione tra BBC e HBO e quasi in automatico sale l’aspettativa. A maggior ragione se a dirigere il primo episodio è quella Lena Dunham che tanto consenso ha riscosso con la sua serie Girls, un ritratto generazionale fuori dagli schemi.
L’intento di Industry sembra essere molto simile, cioè applicare un approccio “strano” ad un’ambientazione abbastanza nota. Va detto che il mondo della finanza è di per sé un mondo narrativamente ambivalente: se da un lato affascina per il suo essere strettamente legato al denaro e al suo potere, dall’altro può risultare ostico per chi non lo mastica, con tutte quelle noiose procedure finanziare, svolte in tempi brevissimi, piene di acronimi e numeri stranissimi. Perché quindi non buttarci dentro un po’ di giovani appena laureati, pieni di aspettative per il futuro e soprattutto sempre in bilico tra l’etica e la spregiudicatezza? Soprattutto all’interno di un percorso di crescita professionale e personale dove il rapporto con la morale, nella vita lavorativa e nella vita privata, svolge un ruolo chiave.
L’ambientazione ovviamente non può che essere Londra, a metà tra ambientazioni asettiche, pieni di colori puliti e alienanti, e altre dove emerge lo stato di indigenza in cui vivono i giovani rampanti. Appartamenti piccolissimi, cibi insapori, ritmi inumani. Tutto per fare carriera in un mondo di iene. Così da diventare ricchi anche solo per una notte, in una camera d’albergo da sogno.
Questo è quanto ci si aspetterebbe di trovare come base di partenza di una serie del genere: ritmi forsennati e situazioni ai limiti. La questione quindi è: c’è altro? Qui la questione si complica.
In questo pilot ci sono molte situazioni piazzate per scioccare lo spettatore e, essendo HBO, non mancano nudi e situazioni “volgari”. Dando questo per scontato in nome del realismo (spesso stucchevole se insistito), succedono fatti (uno in particolare) che possono elevare la serie ad un livello superiore: quello della critica sociale. Il punto è che sarebbe impossibile non farlo, viste le premesse. È ovvio che questo mondo e queste persone non possono piacere e con le quali non si può empatizzare. Quindi per fare un vero salto di qualità nella critica ci vuole quel qualcosa in più.
Va detto che quel qualcosa accade solo potenzialmente. Ad essere onesti, gli spunti ci sarebbero ma non sembrano essere (rac)colti appieno. Ad un primo livello, il primo “cadavere eccellente” espleta questo ruolo, soltanto che non si è in grado di essere veramente dispiaciuti di quanto accaduto vista la mancata empatia. Si prendano anche le reazioni dei colleghi. Se è “giusto” andare avanti in quel mondo che corre all’impazzata, non emerge veramente nessun conflitto interiore nei personaggi. Sì, sono immaturi e può starci una certa superficialità ma l’evento passa veramente troppo in sordina e penalizza il contrasto morale successivo.
In pratica, se non si percepisce il dolore per la perdita del collega (il cadavere di cui sopra), perde notevolmente di efficacia la spregiudicatezza successiva che mostra Harper (quella che sembrerebbe la protagonista) quando invia comunque il diploma farlocco dell’università. In pratica, non c’è cuore nella serie. Azioni ed eventi che sono potenzialmente interessanti ma che non trascinano lo spettatore quando dovrebbero. Qualcosa che potrebbe sistemarsi negli episodi successivi ma, dovendo parlare solo del pilot, qui non c’è.
Il comparto attori sembra abbastanza in parte anche se forse la protagonista manca di una sufficiente espressività che sarebbe utile a rendere la serie più “empatica“. Per fare un paragone già fatto sopra, Lena in Girls era tremendamente respingente ma nonostante questo avvicinava lo spettatore, non lasciandolo indifferente.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Qualche chance alla serie andrebbe data, anche solo come un viaggio veloce all’interno di un mondo che in pochi vivono davvero. Non fa comunque parte del gruppo delle serie tv da guardare assolutamente, nonostante abbia dietro i network migliori sul mercato.
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Dopo miliardi di ore passate a vedere cartoni giapponesi e altra robaccia pop anni ’80 americana, la folgorazione arriva con la visione di Twin Peaks. Da allora nulla è stato più lo stesso. La serialità è entrata nella sua vita e, complici anche i supereroi con le loro trame infinite, ora vive solo per assecondare le sue droghe. Per compensare prova a fare l’ingegnere ma è evidentemente un'illusione. Sogna un giorno di produrre, o magari scrivere, qualche serie, per qualche disperata tv via cavo o canale streaming. Segue qualsiasi cosa scriva Sorkin o Kelley ma, per non essere troppo snob, non si nega qualche guilty pleasure ogni tanto.