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Netflix, colosso dello streaming per eccellenza, decide di ampliare nuovamente il suo catalogo e lo fa scegliendo una produzione di un paese che ancora non aveva fatto capolino sul suo palinsesto: l’Egitto. Nasce così Paranormal, una ghost story ambientata nel Cairo degli anni ’60 e basata sui romanzi thriller di Ahmed Khaled Tawfik. Da che mondo e mondo, l’Egitto è sempre stato la culla dell’occulto, del mistero e del paranormale: dall’importanza che il popolo egiziano dava al regno dell’oltretomba, al fascino dei rituali, dagli enigmi e maledizioni che si celano dietro a sarcofagi e tombe, all’aura di misticismo che permea millenni di storia. Sembra quasi naturale, dunque, che la trama della prima serie realizzata interamente nella terra dei faraoni, abbia come fulcro principale una storia di fantasmi ed apparizioni.
Refaat (interpretato da Ahmed Amin), protagonista della serie, è un professore universitario lontano anni luce dallo charme in stile Indiana Jones: cinico, antisociale, razionale fino al midollo, anticonformista ed incapace di stringere relazioni personali. Refaat sicuramente non spicca per carisma, ma c’è qualcosa nel suo carattere chiuso che colpisce ed incuriosisce. Viene evidenziata, inoltre, fin da subito, la dicotomia della sua mente, che tende a spiegare razionalmente e con logica ogni accadimento particolare, ma al tempo stesso lo illude facendogli sperimentare, in prima persona, strane visioni.
Durante la prima puntata, lo spettatore viene accompagnato in un breve viaggio nel tempo, fino all’infanzia del protagonista, infanzia segnata già da difficoltà sociali ma, soprattutto, dal suo primo incontro con il sovrannaturale. Il piccolo Refaat, infatti, assieme al suo gruppo di amici, fa la conoscenza di Shiraz, una stramba bambina che li invita a giocare nella sua grande magione. Tutto sembra troppo bello e perfetto per essere vero, ed infatti, nel corso dell’episodio, Shiraz si rivela essere un fantasma/demone, il quale si lega in modo particolare a Refaat, spingendolo quasi al suicidio. Questo trauma infantile turba Refaat in maniera profonda, anche se, da adulto, continuerà a cercare spiegazioni logiche a ciò che gli è capitato e relegherà la vera storia di Shiraz ad una semplice leggenda metropolitana. L’uomo, che si fa conoscere al pubblico grazie a svariati monologhi mentali, continua a vivere in una sorta di negazione e ancora non è sceso a patti con quanto accaduto. In continuo equilibrio tra raziocinio e assurdità, tra conoscenza ed ignoto, tra scienza e misteri incomprensibili, Refaat combatte ogni giorno una lotta interiore e questa diatriba si riflette anche nei suoi atteggiamenti e nella sua incapacità ad aprirsi con qualcuno. I personaggi secondari che gli gravitano attorno, dalla sorella impicciona al burbero fratello, passando per la sua arrendevole fidanzata, vengono solo abbozzati e sono, per il momento, funzionali ad evidenziare l’inadeguatezza di Refaat.
Nonostante una buona idea di partenza, i difetti di struttura e tecnica si vedono, ma sono facilmente giustificabili da ragioni economiche (non ci si può di certo aspettare un budget uguale ad altre produzioni) e da un diverso approccio alla regia e alla recitazione rispetto ai canoni ai quali il pubblico è abituato. Il protagonista non buca lo schermo, la messa in scena è altalenante, ma viene apprezzato lo sforzo e, soprattutto, la novità della produzione. Il primo episodio, puramente introduttivo, ancora non ha sancito la direzione intrapresa, ma rappresenta un biglietto da visita sufficiente per far proseguire la visione.
Refaat (interpretato da Ahmed Amin), protagonista della serie, è un professore universitario lontano anni luce dallo charme in stile Indiana Jones: cinico, antisociale, razionale fino al midollo, anticonformista ed incapace di stringere relazioni personali. Refaat sicuramente non spicca per carisma, ma c’è qualcosa nel suo carattere chiuso che colpisce ed incuriosisce. Viene evidenziata, inoltre, fin da subito, la dicotomia della sua mente, che tende a spiegare razionalmente e con logica ogni accadimento particolare, ma al tempo stesso lo illude facendogli sperimentare, in prima persona, strane visioni.
Durante la prima puntata, lo spettatore viene accompagnato in un breve viaggio nel tempo, fino all’infanzia del protagonista, infanzia segnata già da difficoltà sociali ma, soprattutto, dal suo primo incontro con il sovrannaturale. Il piccolo Refaat, infatti, assieme al suo gruppo di amici, fa la conoscenza di Shiraz, una stramba bambina che li invita a giocare nella sua grande magione. Tutto sembra troppo bello e perfetto per essere vero, ed infatti, nel corso dell’episodio, Shiraz si rivela essere un fantasma/demone, il quale si lega in modo particolare a Refaat, spingendolo quasi al suicidio. Questo trauma infantile turba Refaat in maniera profonda, anche se, da adulto, continuerà a cercare spiegazioni logiche a ciò che gli è capitato e relegherà la vera storia di Shiraz ad una semplice leggenda metropolitana. L’uomo, che si fa conoscere al pubblico grazie a svariati monologhi mentali, continua a vivere in una sorta di negazione e ancora non è sceso a patti con quanto accaduto. In continuo equilibrio tra raziocinio e assurdità, tra conoscenza ed ignoto, tra scienza e misteri incomprensibili, Refaat combatte ogni giorno una lotta interiore e questa diatriba si riflette anche nei suoi atteggiamenti e nella sua incapacità ad aprirsi con qualcuno. I personaggi secondari che gli gravitano attorno, dalla sorella impicciona al burbero fratello, passando per la sua arrendevole fidanzata, vengono solo abbozzati e sono, per il momento, funzionali ad evidenziare l’inadeguatezza di Refaat.
Nonostante una buona idea di partenza, i difetti di struttura e tecnica si vedono, ma sono facilmente giustificabili da ragioni economiche (non ci si può di certo aspettare un budget uguale ad altre produzioni) e da un diverso approccio alla regia e alla recitazione rispetto ai canoni ai quali il pubblico è abituato. Il protagonista non buca lo schermo, la messa in scena è altalenante, ma viene apprezzato lo sforzo e, soprattutto, la novità della produzione. Il primo episodio, puramente introduttivo, ancora non ha sancito la direzione intrapresa, ma rappresenta un biglietto da visita sufficiente per far proseguire la visione.
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Paranormal, prima ghost story interamente made in Egypt, si presenta al grande pubblico grazie all’intuizione di Netlix. Un inizio discreto, anche se non troppo memorabile, fanno raggiungere al prodotto la sufficienza piena.
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Se volete entrare nelle sue grazie, non dovete offendere: Buffy The Vampire Slayer, Harry Potter, la Juventus. In alternativa, offritele un Long Island. La prima Milf di Recenserie, ma guai a chiamarla mammina pancina.