“Remember that the frontier of the Rebellion is everywhere. And even the smallest act of insurrection pushes our lines forward. And then remember this. The Imperial need for control is so desperate because it is so unnatural. Tyranny requires constant effort. It breaks, it leaks. Authority is brittle. Oppression is the mask of fear. Remember that. And know this, the day will come when all these skirmishes and battles, these moments of defiance will have flooded the banks of the Empire’s authority and then there will be one too many. One single thing will break the siege. Remember this.”
L’INNATURALITA’ DELLA TIRANNIDE
La tematica politica è sempre stata al centro di Star Wars. Del resto parliamo di una saga che nel 1977 trasportava nello spazio lo scontro fra nazisti e partigiani, nel 1983 rivisitava la guerra del Vietnam con gli orsacchiotti e nei primi anni ’00 sparava bordate contro la presidenza guerrafondaia di George W. Bush attraverso la metafora dell’ascesa di Palpatine.
Ma non si tratta solo una politica ancorata al tempo presente, perché dietro le storie dei Jedi e dei Sith, degli Stormtroopers e dei ribelli, del Primo Ordine e della Resistenza si possono leggere messaggi universali. E uno in particolare: l’innaturalità della tirannia contrapposta all’anelito atavico, insopprimibile alla libertà.
Il dominio dispotico sul prossimo, la soppressione del dissenso, l’uso della violenza hanno certamente fatto parte della storia umana, ma presto o tardi qualsiasi regime di questo tipo è crollato, distrutto dall’esterno o più spesso imploso su se stesso. Non può andare diversamente all’Impero Galattico messo in piedi da Darth Sidious, e infatti già sappiamo quale destino l’attende: per la precisione, lo sappiamo da quarant’anni. Andor vuole raccontare l’inizio di questo processo, la prima scintilla che ha acceso il fuoco della ribellione; e la fa scoppiare nel bel mezzo di un funerale, su un pianeta all’apparenza insignificante, per bocca di una donna morta.
UN FUNERALE E UNA RIBELLIONE
Uno dei grandi meriti di Andor è quello di aver dipinto efficacemente un intero mondo, Ferrix, mai visto finora nella saga. E soprattutto di averlo fatto sembrare vivo, reale. Lungi dall’essere una mera copia dei tanti pianeti dimenticati da Dio già visti (come Tatooine o Jakku), Ferrix si è rivelato un microcosmo fatto di tradizioni e di usanze, con una cultura tanto più affascinante quanto più approfondita rispetto alla media dei mondi starwarsiani. Merito certamente del maggior spazio concessogli sullo schermo, ma anche dell’importanza di quella cultura per la trama.
Non a caso il funerale di Maarva Andor si rivela l’evento più importante non solo del season finale, ma forse dell’intera stagione. E’ qui che la lotta all’ordine tirannico dei Moff e degli Stormtroopers esce dai ristretti argini della guerriglia clandestina e diventa rivolta aperta. Per fare un paragone storico, è l’equivalente del passaggio risorgimentale dai moti carbonari alle gloriose giornate milanesi e napoletane del 1848.
Non si tratta di una grande battaglia, certo. E Andor aveva già mostrato sequenze d’azione decisamente più adrenaliniche, come i combattimenti (sempre su Ferrix) del terzo episodio o l’evasione da Narkina 5. Ma ciò che conta qui è la potenza simbolica dell’evento, sapientemente preparato anche dalla cura nel montaggio e dalle sequenze in cui le forze si disponevano sul campo, accompagnate dalla musica funebre delle fanfare di Ferrix.
E’ un crescendo visivo e uditivo, che esplode definitivamente quando l’ologramma di Maarva irrompe sulla scena e invita i presenti alla ribellione. Un invito presto accolto, non solo perché proferito da una figura fondamentale di quella comunità, ma soprattutto perché rappresenta lo stimolo di cui i cuori troppo a lungo oppressi dalla paura avevano bisogno. Paradossalmente, dalla voce di una donna morta rinasce la speranza di una galassia libera.
INTANTO SU CORUSCANT
Poche ma buone anche le scene ambientate sul pianeta capitale dell’Impero, dove la ribellione non ha ancora assunto la forma di una lotta armata ma di un non meno pericoloso gioco nell’ombra fra banchieri, spie, uffici governativi e negozi d’antiquariato.
Spicca il dramma di Mon Mothma, costretta dagli eventi a piegarsi a una tradizione che pure trova arcaica e degna di biasimo. Dopo essersi opposta a un fidanzamento tra la figlia appena tredicenne e il rampollo del banchiere Davo Sculdun, la senatrice deve arrendersi alla realtà e compiere quello che ha l’aria di essere solo il primo di una serie di sacrifici. Sacrifici che la trasformeranno nella fiera leader della Ribellione già vista tante volte, ma questo non li rende meno sofferti.
Del resto, uno dei leitmotifes di Andor è l’idea che senza sacrificio non si possa raggiungere nulla di grande. A maggior ragione nell’ambito della Ribellione, che non può ancora competere con le immani risorse dell’Impero e deve massimizzare ogni piccolo strumento in proprio possesso. In questo senso va letta anche la scelta di Luthen di sacrificare Anto Kreegyr, del quale apprendiamo il destino proprio in questo episodio: nessun prigioniero, tutti morti. I tempi in cui i ribelli potranno permettersi di “sprecare” risorse per salvare un singolo imprigionato nella carbonite sono ancora lontani: adesso si è ancora in quella fase in cui è preferibile sacrificare decine di bravi soldati per tutelare una singola spia.
NUOVI SPUNTI E VECCHIE CONOSCENZE
“Rix Road” ha il duplice merito di chiudere in maniera quasi perfetta un ciclo narrativo e preparare il terreno per il prossimo, visto che già si sa che Andor avrà una seconda stagione. In particolare, giunge a una svolta importante il percorso che sta portando il protagonista a essere la figura già vista in Rogue One. Un percorso, è chiaro, ancora in divenire e ben lontano dalla parola “fine”, ma che supera il punto di non ritorno nel momento in cui Andor pone Luthen di fronte a una scelta fondamentale: ucciderlo o arruolarlo.
La richiesta di entrare nella Ribellione rappresenta per Andor la piena accettazione dell’eredità di sua madre Maarva, ma è anche la naturale conseguenza di quanto ha dovuto patire in queste dodici puntate. Cassian è partito come un individuo tutto sommato egoista e arrivista, ha partecipato alla missione su Aldhani per denaro, si è avvicinato agli ideali della Ribellione con aria tutt’altro che convinta, ha sperimentato l’orrore della prigionia e visto morire gente: è naturale che adesso sia un uomo diverso, un uomo decisamente più maturo e pronto a prendere in mano il proprio destino.
A dir poco gradita, poi, la scena piazzata dopo i crediti finali in pieno stile MCU, che mostra i lavori di completamento della Morte Nera (che coinvolgono peraltro i componenti assemblati da Andor e compagni su Narkina 5). Non si tratta di becero fanservice, ma di un inevitabile rimando al film Rogue One, nonché un perfetto suggello del ritratto sorprendentemente brutale dell’Impero portato avanti in questi episodi. La Morte Nera, infatti, rappresenta l’arma più terribile del regime di Palpatine, ma soltanto adesso si può cogliere appieno l’orrore dietro la sua creazione e il suo utilizzo.
MA LA SORELLA DI CASSIAN?
Ciò non toglie che ci siano spunti o elementi della trama che la prima stagione di Andor ha abbandonato a se stessi senza svilupparli a dovere. In particolare la ricerca della sorella di Cassian, presentata come la molla scatenante l’azione nei primi episodi, si è poi completamente persa per strada. Da un lato, la cosa non deve sorprendere: le priorità della narrazione erano altre. Né bisogna pensare che questa tematica non sarà ripresa e approfondita nella seconda stagione.
Resta il fatto che si poteva trovare il modo di aggiungere qualche riferimento alla questione, anche minimo, e magari offrire qualche indizio. Dopotutto ci vorrà del tempo prima che la seconda stagione di Andor arrivi, e avere qualcosa su cui fare speculazione per i prossimi mesi non avrebbe guastato.
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Andor si conferma ancora una volta la più matura e solida serie dell’universo di Star Wars. Un finale potente ed esplosivo mostra come la Ribellione, prima ancora che un movimento di rivoltosi, sia un bisogno fondamentale e insopprimibile dell’uomo, ma anche che per raggiungere questo obiettivo sono necessari sacrifici a volte indicibili.
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.