Il decimo episodio conferma Andor come la serie della maturità di Star Wars. Sia chiaro, la saga ha sempre avuto un lato più serio e impegnato (basti pensare alla componente politica delle due trilogie lucasiane), ma l’ha affiancato a una dimensione più fanciullesca e spesso infantile. Con la nuova serie Disney, invece, si è finalmente di fronte a una storia cupa e adulta dall’inizio alla fine, in ogni suo fotogramma, sulla falsariga del suo predecessore spirituale Rogue One (di cui è appunto il prequel).
La cosa appare ancor più paradossale se si considera che Andor arriva dopo i due mezzi fallimenti di The Book of Boba Fett e Obi-Wan Kenobi, serie dalle altissime potenzialità sprecate per inseguire il facile fanservice. Ed è ancora più incredibile pensare che quando fu annunciata molti fan espressero serie perplessità, non vi avrebbero scommesso un soldo. Invece episodi come “One Way Out” sono qui a dimostrare che avevano torto e che uno Star Wars diverso, adulto, migliore è sempre possibile.
LA GRANDE EVASIONE
“How long we hang on, how far we get, how many of us make it out, all of that is now up to us. […] Get out of your cells, take charge and start climbing. They don’t have enough guards and they know it. If we wait until they figure that out, it’ll be too late. We will never have a better chance than this and I would rather die trying to take them down, than giving them what they want.”
Il fulcro dell’episodio, inutile dirlo, è l’evasione di Cassian, Snoke Kino e compagni dalla prigione di Narkina 5. Un’evasione in parte pianificata e in parte improvvisata, realizzata coi pochi mezzi di fortuna a disposizione dei detenuti e dunque sofferta, ma proprio per questo ancora più emozionante.
Certo, lo spettatore sa già che Andor non corre alcun pericolo, dovendo arrivare vivo fino a Rogue One; ma la scrittura dell’episodio lascia con il fiato sospeso fino alla fine. Oltre a ciò, regala alcune chicche davvero gustose, come la scena degli ufficiali imperiali rannicchiati dietro una porta, atterriti dalla paura di fronte alla furia dell’orda di evasi. É un’immagine potente, che da un lato umanizza in qualche misura i carnefici, dall’altro fa capire che in questa serie il bianco e il nero non sono così facilmente distinguibili: anche i “buoni” si sporcano le mani, fanno paura, ammazzano senza remore. Spinti dalla disperazione e dalla rabbia, certo, ma è pur sempre un omicidio.
Lo stesso Andor in una sequenza mostrata di sfuggita spara a un soldato nemico ormai a terra, quasi senza guardarlo negli occhi, come se non fosse un essere umano. Episodio dopo episodio si sta forgiando il futuro eroe ribelle, che però non è il cavaliere senza macchia e senza paura a cui hanno abituato generazioni di Jedi. E forse è per questo che a molti fan la serie non sta piacendo: li costringe a guardare anche il lato meno edificante e nobile della Ribellione, o meglio di quella che lo diventerà a breve.
UN LEADER SUO MALGRADO
Ancor più di Andor, però, il mattatore nelle scene ambientate su Narkina 5 è Kino Loy. Andy Serkis continua a regalare un’ottima performance, portando degnamente sulla scena i dilemmi e le titubanze del suo personaggio.
Kino si ritrova improvvisamente a capo dell’evasione, in buona parte per via della sua esperienza come capo dell’unità 5-2-D, ma anche perché ha quell’ascendente e quel carisma sugli altri uomini che ad Andor ancora manca (sarà perché lo interpreta l’inespressivo Diego Luna). Ma questo non significa che sia pronto al gravoso compito, anzi: al momento di parlare all’intera prigione attraverso gli altoparlanti, si fa quasi schiacciare dalla gravità della situazione e solo le sollecitazioni del solito Cassian rompono l’impasse.
Questo lato umano e vulnerabile di Kino non è affatto in contrasto con il ritratto visto sinora, anzi ne è la naturale conseguenza. Finora il capo dell’unità 5-2-D si era mostrato irreprensibile e obbediente perché spinto dalla convinzione che, scontata la pena, sarebbe uscito dalla prigione senza problemi. Venuta meno questa sicurezza, Kino è crollato. Ma ha subito saputo rialzarsi, come solo un leader sa fare.
Tutto questo non fa che rendere ancora più straziante l’ultima parte dell’evasione, in cui i detenuti si gettano in acqua per fuggire a nuoto dalla prigione e Kino resta lì dov’è, perché non sa nuotare. In verità già si può intuire che questo non sarà un addio del personaggio ma un semplice arrivederci e che in qualche modo rispunterà fuori più avanti (c’è addirittura chi collega Kino a Snoke, visto che l’attore è lo stesso). Ma il come e il dove ricomparirà non è dato saperlo. Per ora.
IL DILEMMA DI MON MOTHMA
Il grande spazio concesso all’evasione e le modalità con cui avviene rischierebbero di far passare in secondo piano le altre sottotrame dell’episodio, se non fosse che anche lì non mancano momenti e dialoghi che ancora una volta dimostrano l’alta qualità raggiunta da Andor.
La storia della nascita della Ribellione su Coruscant continua a procedere lentamente, ma agli sceneggiatori bastano le parole e i confronti verbali fra i personaggi per rendere questa vicenda appassionante tanto quanto le sequenze d’azione. In particolare a questo giro l’attenzione si concentra sul concetto di sacrificio: ossia, quanto si è disposti a immolare sull’altare della rivolta contro un governo oscurantista e reazionario come quello che Palpatine sta mettendo in piedi.
Nella sua continua ricerca di alleati, Mon Mothma incontra il ricco Davo Sculdun, ma rifiuta la sua offerta quando scopre le condizioni dell’accordo: soldi in cambio di un matrimonio tra la figlia tredicenne di lei e il figlio di lui, come vuole la cultura del loro popolo. L’usanza chandrilana dei matrimoni combinati fra adolescenti era già stata accennata nei passati episodi, proprio a proposito di Mothma e suo marito Perrin, ma lì si trattava di una semplice notizia per arricchire il background del personaggio. Adesso, invece, la questione del matrimonio mette la donna di fronte a un dilemma che ella, almeno per il momento, preferisce sciogliere a favore dell’opzione meno vantaggiosa ma moralmente più giusta.
IL PREZZO DELLA RIBELLIONE
“Calm. Kindness. Kinship. Love. I’ve given up all chance at inner peace. I’ve made my mind a sunless space. I share my dreams with ghosts. I wake up every day to an equation I wrote fifteen years ago from which there’s only one conclusion, I’m damned for what I do. My anger, my ego, my unwillingness to yield, my eagerness to fight, they’ve set me on a pth from which there is no escape. I yearned to be a savior against injustice without contemplating the cost and by the time I looked down there was no longer any ground beneath my feet. What is my sacrifice? I’m condemned to use the tools of my enemy to defeat them. I burn my decency for someone else’s future. I burn my life to make a sunrise that I know I’ll never see. And the ego that started this fight will never have a mirror or an audience or the light of gratitude. So what do I sacrifice? Everything!”
Chi invece non tentenna e non esita a intraprendere il sentiero più impervio è Luthen Rael. Il confronto con Lonni fa emergere definitivamente il suo lato più oscuro, quello da grande burattinaio che manipola e finanche ricatta gli altri per i propri scopi, per quanto nobili siano. Per i fan dev’essere un bel colpo scoprire che la Ribellione, della quale la Vecchia Trilogia mostrò il lato più eroico e idealista, sia stata avviata da un uomo che arriva a sfruttare padri di famiglia e poveri disperati.
Al contempo, il monologo con cui Luthen difende orgogliosamente (e in una qualche misura giustifica) il proprio operato è un piccolo gioiello di scrittura, impreziosito ulteriormente dalla solita bravura di Stellan Skarsgård. É l’urlo disperato, ma insieme calmo e misurato, di chi ha dovuto combattere il fuoco con il fuoco. Di un uomo che ha sacrificato il suo bene più prezioso, l’integrità morale, scendendo nell’abisso per combattere quel mostro chiamato Impero.
E qui si potrebbero aprire decine di interrogativi: il fine giustifica davvero i mezzi? Il male compiuto a fin di bene resta male o viene in qualche modo riscattato? Fino a che punto è lecito spingersi per una causa? Tanti interrogativi che forse in Andor non troveranno una risposta definitiva, ma in fondo è questo il bello, perché nella vita vera spesso le risposte mancano.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
|
|
Andor continua a non deludere, anzi, chiude il terzo arco narrativo della stagione come meglio non si sarebbe potuto fare. Sorretta da splendide interpretazioni e da dialoghi sopraffini, la serie dimostra finalmente a quali vette può arrivare l’universo di Star Wars quando si mettono da parte Jedi, Sith e personaggi delle Trilogie cinematografiche che hanno ormai detto tutto.
Quanto ti è piaciuta la puntata?
0
Nessun voto per ora
Tags:
Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.