C’è stato un tempo in cui l’idea di mettere in scena una battaglia sul piccolo schermo era impensabile. Persino una serie come Rome, della HBO, incentrata su un popolo famoso per la sua arte militare come i Romani, al momento di mostrare Farsalo o Azio doveva relegare l’azione offscreen e mostrare solo le conseguenze degli scontri, lasciando alla fantasia dello spettatore il compito di immaginare legioni di soldati l’una contro l’altra.
Poi è arrivato Game of Thrones, sempre della HBO, e le cose sono cambiate. Prima Blackwater, poi la battaglia della Barriera, fino ad arrivare alla battaglia dei Bastardi, uno scontro non perfetto ma mirabile per essere riuscito a riportare in televisione le stesse emozioni del cinema d’azione. Soprassediamo invece sull’atteso e deludente scontro finale con gli Estranei, rovinato non solo dalla banalità di certe dinamiche ma anche dalla scelta discutibile di girarla di notte, al buio, rendendo incomprensibile buona parte delle vicende.
Era prevedibile che anche la serie Amazon dedicata all’universo di Tolkien tirasse fuori una grande battaglia, e infatti nei mesi precedenti la messa in onda di questa seconda stagione gli addetti ai lavori si erano premurati di dirci che ne avremmo viste delle belle. Ora il momento è arrivato e il risultato, bisogna ammetterlo, non è malaccio. Amazon ha i soldi e li ha spesi più che dignitosamente, almeno in questo frangente, confezionando un combattimento che forse non passerà alla storia della televisione ma che dimostra cosa può fare un alto budget. Se si aggiunge che “Doomed to Die” non ha nemmeno mezza scena con protagonisti i Numenoreani, i Pelopiedi, gli Sturoi, il quasi certo Gandalf, il cosplay di Saruman ordinato su Wish o il Tom Bombadil del discount, si può quasi osare dire che siamo di fronte a un episodio apprezzabile.
IL “VERO” SAURON
The Rings of Power è una strana creatura, perché nel marasma di mediocrità che affligge quasi ogni scena, quasi ogni dialogo, quasi ogni episodio si riesce, di tanto in tanto, a scorgere qualche bella gemma E affinché non si dica che i tolkieniani duri e puri sono bravi solo a lamentarsi, chi scrive ammette senza problemi che il ritratto di Sauron che emerge da “Doomed to Die” è davvero pregevole e le sue interazioni con Celebrimbor, per quanto romanzate rispetto a quel poco che leggiamo nel legendarium, sono in linea con il suo carattere.
Finalmente vediamo la sua opera manipolatoria in tutta la sua complessità e le sue sfaccettature, perché Sauron è sì crudele, è sì infido, è sì capace di arrecare dolore e uccidere gente senza troppi fronzoli pur di raggiungere il suo obiettivo, ma non è mosso dalla cieca brama di potere fine a sé stesso. Questa è una cosa che chi conosce solo la trilogia jacksoniana probabilmente non sa, ma l’obiettivo di Sauron, nel suo distorto senso del bene, era quello di perfezionare la Terra di Mezzo dandole ordine e pace. A modo suo, ovviamente, con la costrizione tipica di un regime totalitario.
Ciò lo contrappone al precedente Oscuro Signore, Morgoth, e questa differenza è non casualmente al centro di un dialogo con Celebrimbor. Morgoth era un cattivo nichilista, voleva distruggere la creazione o quantomeno corromperla per invidia verso i suoi fratelli Valar e per rabbia nei confronti di Eru Iluvatar, che non gli aveva concesso il potere di creare la vita. In questa sua opera distruttiva Morgoth ha finito per corrompere lo stesso Sauron, che a tratti sembra dipingere sé stesso come una povera vittima delle torture del Vala; ma subito il dialogo torna nei giusti binari ponendo l’accento sul libero arbitrio perché, nel momento in cui Sauron rinfaccia a Celebrimbor di aver scelto la sofferenza col suo rifiuto di mettere subito mano ai Nove Anelli, di fatto sta ammettendo che egli stesso è diventato ciò che è perché ha lasciato che Morgoth lo corrompesse.
Sauron e Celebrimbor appaiono dunque due personaggi tremendamente simili: entrambi fabbri, entrambi abili creatori di oggetti, entrambi condannati dalla loro stessa ricerca di perfezione e dal loro orgoglio (che nel caso di Sauron l’ha spinto a non cercare il perdono dei Valar dopo la sconfitta di Morgoth, nel caso di Celebrimbor lo ha spinto ad accettare i consigli di uno sconosciuto imbonitore pur di superare in maestria il nonno Fëanor). Si tratta di temi molto tolkieniani, assai cari al Professore e ben noti a chi ha approfondito la sua opera. La serie ovviamente li tocca in maniera fugace e tangente, ma proprio per questo lascia l’amaro in bocca al pensiero di cosa sarebbe potuto venir fuori se si fosse rispettato maggiormente il materiale di partenza invece di giocare agli sceneggiatori improvvisati.
BARUK KHAZÂD!
Sul fronte nanico continua a venir fatto un buon lavoro, anzi ottimo se lo si raffronta con le altre storylines. La follia di Durin III cresce sempre più e con essa l’avidità. La vista del vecchio re armato di ascia nella sala del trono, con cumuli d’oro ai suoi piedi, è più esplicativa di mille parole. Nessuna sorpresa che arrivi a volgere le sue stesse armi contro i propri sudditi, accecato dal potere dell’anello donatogli da Annatar/Sauron.
Durin IV, dal canto suo, sembra finalmente pronto a compiere il passo preparato fin dalla scorsa stagione: mettere da parte l’amore filiale e la devozione al proprio sovrano per il bene di Khazad-dûm. Ciò che invece non può essere messo da parte, almeno in apparenza, è l’affetto per Elrond, visto che basta che il Mezzelfo esponga il suo piano per fermare Annatar e salvare l’Eregion perché il principe Nano accetti subito di dargli manforte. Ma chi conosce un minimo le regole della narrazione sa che quando sta per andare nel verso giusto si verifica qualcosa che fa evolvere la situazione nella direzione opposta; così il ripensamento di Durin IV all’ultimo momento, per quanto prevedibile, è un gran bel colpo perché stravolgerà sicuramente gli equilibri fra le due razze, contribuendo ad alimentare la proverbiale antipatia fra Elfi e Nani.
NON E’ TUTTO ORO QUEL CHE LUCCICA
Tutto quanto scritto finora non cancella purtroppo i limiti dell’episodio e insieme della serie, anzi se possibile li amplifica, perché dimostra che gli autori avrebbero potuto fare un buon lavoro con un maggior rispetto dell’opera originale e una maggiore cura. Ad esempio, risulta un po’ ridicolo vedere Galadriel che interviene per salvare Celebrimbor dai suoi stessi uomini, ormai manipolati da Annatar e messi contro il loro stesso signore, e si dispera per quanto è successo, nonostante tutto sia partito dal suo immotivato e mai spiegato rifiuto di dire subito ai fabbri dell’Eregion che Halbrand era Sauron. E vogliamo parlare del discorso motivazionale di Durin IV per convincere i Nani a partire per la guerra, fatto al cospetto di quattro comparse? O ancora, come non menzionare il bacio tra Elrond e Galadriel, che avrà sì motivazioni di trama (passarle la spilla con cui poter evadere dalla prigione orchesca), ma risulta a dir poco cringe per chi conosce la parentela acquisita tra i due e rischia di aprire le porte a un triangolo amoroso con Celeborn (perché è sicuro che Celeborn tornerà, c’è nei film quindi non può essere morto).
Anche la battaglia vera e propria non risparmia qualche delusione, come nel caso di Damrod, il gigantesco troll presentato in pompa magna, temuto dagli Orchi stessi e poi tolto di mezzo da qualche capriola elfica. Per carità, è bello vedere scendere in campo Gil-Galad con la lancia Aiglos e anche Elrond, personaggio solitamente più politico e riflessivo, fa la sua bella figura, ma un simile sotto-sfruttamento di un personaggio non si vedeva dai tempi di Capitan Phasma nella nuovissima trilogia di Star Wars firmata Disney.
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Senza Nori, Poppy, Gandalf, Bombadil e il carrozzone numenoreano, “Doomed to Die” si rivela un episodio inaspettatamente gradevole, con qualche guizzo interessante e barlumi di vero pensiero tolkieniano. Peccato che questi pregi arrivino a un passo dal finale di stagione, lasciando lo spettatore più esigente con l’amaro in bocca e, chissà, la speranza che un’eventuale terza stagione corregga i difetti. Del resto la speranza è l’ultima a morire, no?
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.