Star Trek: Discovery 5×10 – Life, ItselfTEMPO DI LETTURA 5 min

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Star Trek Discovery 5x10Dopo quasi sette anni, cinque stagioni, sessantacinque episodi, innumerevoli stupri al canone e altrettanti malori provocati ai poveri fan della saga, Star Trek: Discovery giunge al capolinea. E lo fa dimostrando una dote rara di questi tempi: la coerenza. Perché una stagione mediocre merita una conclusione mediocre, non un finale che faccia esclamare allo spettatore: “Oh, per fortuna tutto ha un senso, non ho buttato via dieci ore della mia vita!” Anzi, dieci e mezza, perché questo finale di serie dura mezz’ora di più. Una mezz’ora assolutamente inutile, ma tant’è.
Una cosa però va detta: Discovery, al di là di tutte le pecche, ha avuto il merito di rilanciare la saga sci-fi più famosa della televisione dopo oltre un decennio di assenza dai palinsesti. Senza di lei non si avrebbe avuto la traballante Picard e la più che buona Strange New Worlds e chissà cos’altro in futuro. Inoltre, spostando la narrazione in un futuro ancora più lontano, potrebbe aver aperto le porte ad altri prodotti che esploreranno quella parte della cronologia, o i tanti secoli che la separano dalle epoche più note ai fan. Questo per dire che, ogni tanto, il male non viene solo per nuocere.

L’ULTIMO PUZZLE


Come scritto già più volte, la ricerca della tecnologia dei Progenitori è stata strutturata come un videogioco. Intendendo “videogioco” nel senso peggiore del termine, sia chiaro, perché il medium in sé ha una sua dignità e ha già ampiamente dimostrato di essere un arte, oltre che un passatempo. Però l’andamento della trama di Star Trek: Discovery nell’ultima stagione è stato un semplice andare dal punto A al punto B per prendere l’oggetto X, poi dal punto B al punto C per l’oggetto Y, e così via, settimana dopo settimana.
È un approccio molto semplicistico, banale e che risulta ripetitivo dopo tre episodi scarsi, ma che gli autori hanno reiterato per ben dieci settimane! Ebbene sì, anche l’ultimo episodio è culminato in una delle trovate più becere mai ideate dalla specie umana: per accedere alla tecnologia più potente dell’universo bisogna risolvere un puzzle disponendo dei triangoli più piccoli a formarne uno più grande! Immaginate il più grande potere mai visto custodito da un banalissimo enigma.
Chi scrive non vede l’ora di vedere un film sulla bomba atomica sceneggiato dagli stessi autori di Discovery: magari Oppenheimer dovrà risolvere il cubo di Rubik o il sudoku per sbloccare i segreti della fissione.

UNA STRADA CHE NON HA PORTATO A NULLA


Al di là della banalità dell’enigma finale, il senso di frustrazione provocato dal finale di serie deriva soprattutto dal fatto che non ha portato a nessun concreto avanzamento. Moll non ha riportato in vita L’ak, e questo poteva essere prevedibile, ma neanche la Federazione ha ricavato nulla dalla scoperta del potere dei Progenitori.
Chiariamo: il fatto che la tecnologia in questione sia troppo potente e che Michael Burnham decida di sigillarla per sempre gettandola oltre l’orizzonte degli eventi di un buco nero ha senso. Anzi, è una potente metafora di come la conoscenza a volte sia pericolosa se non finisce nelle mani giuste. Tuttavia c’era bisogno di “sprecare” un’intera stagione di dieci episodi per una morale del genere?
Un altro problema risiede nel fatto che sia Burnham a decidere per tutta l’umanità. La cosa non dovrebbe sorprendere perché è il culmine di un percorso di trasformazione del personaggio in una vera e propria divinità che non solo è perfettissima, infallibilissima e qualsiasi altro “issima” possa venire in mente, ma si arroga il diritto di prendere una decisione dalle implicazioni molto più grandi di lei. E senza consultare nessuno.

EPILOGO


Discovery deve deludere fino in fondo, fino all’ultimo minuto. Ed ecco quindi la scelta di non chiudere sul matrimonio tra Saru e il suo amore vulcaniano T’Rina, né sulla rivelazione che il misterioso dottor Kovich in realtà sia l’agente temporale Daniels (strizzatona d’occhio ai fan, ma pur sempre l’unico colpo di scena decente della stagione), bensì di appiccicare all’episodio un’ulteriore mezz’ora di epilogo ambientata diversi decenni dopo, con Michael e Booker nei panni di un’anziana coppietta felice.
Una scelta del genere avrebbe avuto senso se fosse stata usata per mostrare i progressi della Federazione nell’arco dei decenni o un’ultima rimpatriata fra i vecchi commilitoni ormai in là con gli anni. Invece si tratta di una scusa per celebrare ancora una volta la grande e perfetta Burnham, che dalla vita ha avuto tutto, pure la gloria, l’amore e la gioia di un figlio che sta per diventare capitano.
Gli ultimi minuti, poi, premono come non mai sul pedale della ruffianeria con un ultimo dialogo fra la capitana ammiraglia e l’intelligenza artificiale Zora, personaggio praticamente dimenticato per strada nell’ultima stagione e riesumato solo per quest’occasione. E il sipario si chiude sull’ultimo salto della USS Discovery, inviata in un’ultima missione d’esplorazione. Il cerchio si chiude. Anche se è uno di quei cerchi fatti a mano, male, con un tratto impreciso, più vicini a un ovale.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Kovich è l’agente Daniels (unico colpo di scena decente di quest’ultima stagione)
  • È finita!
  • Per accedere alla tecnologia dei Progenitori basta risolvere un puzzle coi triangoli
  • A cosa è servita la quest?
  • Burnham che si arroga il diritto di scegliere per tutta l’umanità
  • L’epilogo Burnham-centrico

 

Completata la visione di “Life, Itself” non si può non prorompere in un “Finalmente!“. Nel senso che finalmente è arrivata la conclusione di una serie che, partita più che bene, è calata stagione dopo stagione e ha regalato un finale dimenticabilissimo, persino eccessivamente lacrimevole (nelle intenzioni). Si spera che i futuri progetti della saga non vengano affidati a chi ha gestito questa produzione e che tra vent’anni non venga in mente a qualcuno di riservare a Michael Burnham lo stesso trattamento riservato a Picard.

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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.

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