C’era una volta il Decameron, capolavoro della letteratura non solo italiana ma mondiale, nato dalla penna di quel genio di Giovanni Boccaccio. Poi arrivò Netflix, la piattaforma streaming che vede sé stessa come un re Mida che tramuta in oro qualsiasi cosa tocchi, ma il più delle volte la trasmuta in un pezzo informe di materia organica anfibia. E il Decameron finì nelle grinfie della piattaforma.
Non è il primo adattamento del capolavoro trecentesco, certo: tutti ricordano il film di Pasolini del 1971. Ma se quest’ultimo resta un capolavoro della settima arte, il giudizio sull’opera di Netflix può essere sintetizzato in questo modo: se per assurdo la salma di Boccaccio potesse vedere la serie e le si attaccasse una dinamo al corpo, i movimenti del suo rivoltamento nella tomba genererebbero abbastanza energia per risolvere la crisi energetica per sempre. E la recensione si potrebbe fermare qui.
MA QUANT’E’ BELLA LA PESTE!
Ovviamente non ci si aspettava un adattamento pedissequo del Decameron. Sia perché è un’opera enorme, composta da 100 novelle più o meno lunghe e articolate, alle quali vanno aggiunte l’introduzione sulla pestilenza fiorentina e la cornice narrativa, sia perché trattandosi di un libro di settecento anni fa esprime spesso valori assai distanti dal sentire odierno. Quindi era inevitabile una certa dose di ammodernamento e di riletture. Ma esiste una sottile linea di demarcazione fra questo e lo stravolgimento, la banalizzazione, l’appiattimento, e Netflix l’ha superata abbondantemente.
Si parte già malissimo con la rappresentazione della peste e del clima che si respirava a Firenze in quel tragico 1348. Nel Decameron la descrizione dell’epidemia è un momento di altissimo dramma, un “orrido cominciamento” come l’avrebbe chiamato il suo stesso autore, reso ancora più intenso dal fatto che Boccaccio era stato testimone oculare e aveva perso non pochi parenti e amici per via del morbo. Le pagine iniziali del libro parlano di un mondo devastato, anzi capovolto, in cui vengono meno persino i più basilari vincoli umani:
“E lasciamo stare che l’uno cittadino l’altro schifasse e quasi niuno vicino avesse dell’altro cura e i parenti insieme rade volte o non mai si visitassero e di lontano: era con sì fatto spavento questa tribulazione entrata ne’ petti degli uomini e delle donne, che l’un fratello l’altro abbandonava e il zio il nipote e la sorella il fratello e spesse volte la donna il suo marito; e (che maggior cosa è e quasi non credibile), li padri e le madri i figliuoli, quasi loro non fossero, di visitare e di servire schifavano.”
E la produzione americana cosa fa di tutto questo? Trasforma la peste fiorentina in un teatrino grottesco, in cui ogni scena, ogni linea di dialogo, ogni cosa è solo un pretesto per lanciare battute con una dignità appena superiore a quelle dei cinepanettoni nostrani.
Certo, c’è il personaggio della ragazza nobile ma viziata che pur di andare in cerca di un marito abbandona il padre moribondo (interpretato da un John Hannah che probabilmente doveva pagare il mutuo per prender parte a questa carnevalata), ma il tono con cui è raccontata questa sottotrama non ha nulla di serio o di drammatico. La cosa veramente grave è che non si percepisce la cupezza del momento storico: la morte stessa è vista come un gioco e nulla di più. Addirittura c’è una donzella che spasima per crepare ed essere stretta fra le braccia del suo sposo disperato, perché per lei quello è il massimo del romanticismo.
Questo totale stravolgimento non solo infastidisce gli amanti del testo originale, ma depaupera profondamente l’adattamento, perché fa venire meno uno dei temi principali del Decameron, ossia il contrasto fra l’orrore che si vive in città e l’atmosfera idilliaca, bucolica della villa di campagna. Ma qui chi scrive si rende conto che fosse pura utopia aspettarsi che gli autori cogliessero questi sottili significati; molto più facile vedere nel Decameron un’orgia di divertimento, sconcezze e sesso!
E LE NOVELLE?
E qui veniamo alla vera mancanza di questo – respiro profondo- “adattamento” del Decameron.
Nel capolavoro di Boccaccio, i tre ragazzi e le sette ragazze che si rifugiano nella villa di campagna per sfuggire alla peste si intrattengono con storie di ogni genere: racconti d’amore, racconti sconci, racconti comici, racconti tragici, racconti eroici, racconti burleschi. Cento novelle in totale, una più deliziosa dell’altra. Di tutto questo nella serie Netflix non c’è traccia, perché si è deciso di prendere vagamente spunto dalla cornice narrativa e mettere da parte tutto il resto.
La narrazione ruota esclusivamente attorno a queste figure che dalla città di Firenze si trasferiscono nella villa di campagna del conte Leonardo, ignari del fatto che il conte sia morto. Questo genera tutta una serie di equivoci e malintesi che potrebbero anche avere una loro dignità, se non fosse che la serie si chiama “The Decameron” e che fonda metà della sua presunta comicità su battute scatologiche e sessuali degne della peggior commediuncola adolescenziale americana.
Ma ad affossare definitivamente l’opera ci pensano i personaggi, creati appositamente per urtare in ogni modo possibile lo spettatore e per non far ridere. C’è la nobildonna altezzosa, superficiale e ossessionata dalla sua età che dovrebbe far ridere, ma non fa ridere. C’è la serva furba che asseconda ogni capriccio della sua padrona e che dovrebbe far ridere, ma non fa ridere. C’è la coppia di sposini con lei bigotta e lui che si fa i rasponi spiando altri uomini e che dovrebbe far ridere, ma non fa ridere. C’è il nobile malaticcio, ipocondriaco e misogino che dovrebbe far ridere, ma non fa ridere.
L’unica che suscita un po’ di interesse è Licisca, la serva che si spaccia per Filomena, la nobildonna che serviva prima di gettarla giù da un ponte. Il fatto che già alla fine dell’episodio la vera Filomena raggiunga la villa fa presagire che le cose si complicheranno e forse si faranno un po’ più frizzanti, ma neanche questa trama da sola basterebbe a reggere un’intera serie di 8 episodi. Dei quali, state sicuri, non leggerete le recensioni su questi lidi.
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The Decameron di Netflix non c’entra niente con il Decameron di Boccaccio e nemmeno con l’adattamento di Pasolini. Di quest’ultimo regista, semmai, richiama un altro film: Salò o le 120 giornate di Sodoma. In particolare c’è una scena, in cui i commensali sono costretti a gustare un banchetto a face di… feci! Ecco, i commensali sono gli abbonati che finanziano i progetti di Netflix con i loro soldi e The Decameron è la portata principale di questo banchetto a base di feci.
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.