Si conclude con questo trittico di puntate, dirette dal sorprendente semi-esordiente regista messicano Alonso Ruizpalacios, la personalissima trilogia di Star Wars firmata da Tony Gilroy. Si ricorda che Gilroy, accreditato come sceneggiatore di Rogue One, ha in realtà svolto un ruolo molto più consistente nel film di Gareth Edwards. Gilroy fu infatti chiamato da Lucasfilm per supervisionare e dirigere le riprese aggiuntive, che impattarono significativamente sul terzo atto del film, oltre che in veste di montatore. Da quell’ottimo lavoro nacque la fiducia incondizionata che ha portato ad Andor: una serie prequel (e per questo con un finale “già scritto”, quindi con meno potenziale) su un personaggio che non era entrato granché nei cuori dei fan.
Dopo il grande lavoro svolto nella prima stagione, Lucasfilm ha addirittura rilanciato, concedendo un budget di circa 300 milioni (per chiarire, il budget di un blockbuster di prim’ordine è di solito di 200 milioni di dollari) per questa seconda stagione. Dodici episodi, numerosi set in location, tantissime comparse, e un uso del budget molto ben ragionato, che ha dato i suoi frutti fino ad arrivare al commovente finale. Per certi versi questa seconda stagione finisce con un climax insolito, essendo l’ultimo pezzo di questa particolare trilogia la parte di mezzo. Ciò che collega due prodotti agli antipodi come Rogue One e la prima stagione di Andor, e riesce a farlo dannatamente bene. Tutti i buchi sono chiusi, tutte le pedine sono al loro posto, quasi mai in modi banali o scontati, richiamando per certi versi i risultati portati da opere del calibro di Better Call Saul.
ELEGIA DI LUTHEN RAEL
È giunta l’ora di parlare in maniera approfondita del personaggio più carismatico, sfaccettato, adulto e meglio scritto nella galassia di Star Wars negli ultimi dieci anni. Luthen Rael è probabilmente il più grande fautore dell’Alleanza Ribelle che, ironia della sorte, non vedrà mai a compimento. Un parallelismo con il personaggio biblico di Mosè, che liberò il suo popolo dalla schiavitù dell’Egitto, morendo appena prima di raggiungere la terra promessa. Un epilogo obbligato e più e più volte annunciato dallo stesso il personaggio di Stellan Skarsgård, con il monologo risalente all’episodio della prima stagione “One Way Out” che necessita sicuramente di una rilettura:
“Calm. Kindness. Kinship. Love. I’ve given up all chance at inner peace. I’ve made my mind a sunless space. I share my dreams with ghosts. I wake up every day to an equation I wrote 15 years ago from which there’s only one conclusion, I’m damned for what I do. My anger, my ego, my unwillingness to yield, my eagerness to fight, they’ve set me on a path from which there is no escape. I yearned to be a savior against injustice without contemplating the cost and by the time I looked down there was no longer any ground beneath my feet. What is my sacrifice? I’m condemned to use the tools of my enemy to defeat them. I burn my decency for someone else’s future. I burn my life to make a sunrise that I know I’ll never see. And the ego that started this fight will never have a mirror or an audience or the light of gratitude. So what do I sacrifice? Everything!”
“Make It Stop” è un episodio composto per metà da un lunghissimo e inatteso flashback, a due passi dal finale, che rivela la commovente backstory riguardante Luthen e Kleya. Luthen era un tempo un soldato imperiale, che, di fronte all’ennesimo massacro di innocenti, smise i panni dell’invasore e decise di salvare portando via con sé una piccola Kleya, che ricorda in realtà molto il “Kassa” bambino dei primissimi episodi (infatti, circolano già teorie sul fatto che Kleya fosse la sorella perduta di Cassian della prima stagione).
Un montaggio eccezionale intreccia in maniera magistrale il passato di Luthen e Kleya, facendo conoscere allo spettatore tutti i loro trascorsi e come si è cementificato quel loro rapporto padre-figlia, con il presente. Un presente drammatico e tremendo, in cui Dedra è riuscita finalmente (tuttavia con un considerevole ritardo) a scovare l’identità di Axis, arrivando ad arrestarlo nel suo negozio. Luthen è d’altronde una risorsa fondamentale per l’Impero, che ha bisogno di mantenere in vita la spia, per poter risalire ad informazioni sulla sua rete ribelle.
Un qualcosa che Luthen non può assolutamente permettere, dimostrando di essere disposto a tutto per la causa – come ha sempre fatto -, suicidandosi di nascosto, per permettere al suo corpo di morire dissanguato prima che l’Impero possa accorgersene e salvarlo. Tuttavia nemmeno questo sacrificio potrebbe essere abbastanza, visto che l’Impero (esperto nel trattenere in vita corpi senza alcuna etica) è disposto ad utilizzare tutta la tecnologia cybernetica di cui dispone pur di non perdere questa risorsa. Ci sarà bisogno ancora di tanto sangue sparso per far sì che il volere della Forza si adempia, e che il collegamento tra super-arma, Kyber, Ghorman, Jedha, Scarif e Galen Erso arrivi a chi di dovere.
Luthen Rael: “We fight to win. That means we lose. And lose and lose and lose… until we’re ready. All you know now is how much you hate. You bank that. You hide that. You keep it alive until you know what to do with it. And when I tell you to move, you move. Move!”
L’ALBA SU YAVIN
Tocca dunque a Kleya – personaggio parecchio sottovalutato, che ha avuto il suo più grande acuto in “What a Festive Evening” – terminare il lavoro di Luthen, togliendogli i supporti vitali imperiali per permettergli finalmente di riposare in pace. Un’operazione compromettente, che però vale il rischio, dato che le ultime informazioni fornite da Luthen (che ha dovuto però freddare la talpa Lonni) sono di un’importanza inestimabile per la Ribellione. Kleya riesce quindi astutamente a raggiungere Luthen e pone fine alla sua vita, in una scena potentissima quanto incredibilmente emotiva, dato il sostanzioso build up sul rapporto tra i due durante i flashback.
Adesso però è Kleya quella che dev’essere salvata, mettendosi in contatto con l’uomo più fidato: il buon vecchio Cassian. Mentre su Yavin l’Alleanza zoppica tra la scarsità di notizie e la poca collaborazione di Saw Gerrera, Andor “evade” andando come al solito contro agli ordini ricevuti per realizzare l’estrazione di Kleya, che intanto si è nascosta nel vecchio rifugio che fu per qualche tempo la casa di Cassian e Bix su Coruscant.
Un’operazione ad altissimo tasso di rischio, in cui la squadra ne viene a capo solo grazie al contributo di K-2SO: il droide di sicurezza imperiale recuperato da Cassian su Ghorman, che ruba a tutti i protagonisti “viventi” la scena per gran parte di “Who Else Know?“. Il droide doppiato, e interpretato in motion capture, da Alan Tudyk è la vera stella della parte più action dell’episodio. Con l’ingresso in campo anche di K-2SO si inizia a percepire le vibes da Rogue One grazie alle atmosfere, le dinamiche, la messa in scena nelle sequenze di combattimento, che si riproporranno di lì a poco (in universe) nel film uscito ormai nove anni fa.
Tuttavia Kleya si oppone a lasciare Coruscant per andare a vedere l’alba su Yavin IV, quella che Luthen non è mai riuscito a vedere. Un’opposizione figlia della poca riconoscenza che ha avuto la Ribellione verso Luthen negli ultimi anni. Un simbolo del fatto che la Ribellione è ancora troppo compartimentata, che non riesce a riunire sotto un unico vessillo tutte le forme di resistenza imperiale presenti nella galassia. Se si vuole, si può anche intravedere un segnale di fragilità su cui si basa la Nuova Repubblica, che poggia su una fragile e sola Alleanza Ribelle, in una galassia molto vasta e in cui persino l’Impero riesce a fatica a tenerne il controllo.
SPERANZA E FEDE
La colonna sonora di Brandon Roberts – già ampiamente lodata in passato, così come quella di Nicholas Britell della prima stagione, nonostante l’approccio elettronico inedito per quanto riguarda il franchise di Star Wars – subisce un cambio di passo. Inizia a tramutarsi di qualcosa di sinfonico, nel momento in cui la Forze irrompe invisibilmente all’interno della narrazione. L’Alleanza Ribelle non sembra fidarsi delle informazioni di una testa calda come il Capitano Andor, e serve un pizzico di provvidenza per convincere Mon Mothma. Una Mon Mothma visibilmente diversa dall’ultima volta che è apparsa negli schermi, ma che è allo stesso tempo la stessa Mon Mothma che si rivedrà in futuro nei film della saga, ed anche la senatrice che ha collaborato per anni con Luthen nel riuscire a formare questo grande sogno.
Una super-arma, Ghorman, il Kyber, Jedha, Scarif, il programma energetico, Galen Erso. Tutte parole che per i fan della saga non possono che essere un’escalation di emozioni. Si sta assistendo al compimento della storia della saga. Lonni che viene compromesso, si infiltra tra i file di Dedra Meero, che per la troppa ambizione aveva a disposizione informazioni sulla segretissima Morte Nera, anche se non le riguardavano. Lonni che riferisce quest’informazione a Luthen, compromettendolo definitivamente. Luthen che trasferisce l’informazione a Kleya, e prova a togliersi la vita prima di essere catturato dall’Impero. Kleya che termina il lavoro e si mette in comunicazione con Cassian, che arriva per salvarla e portarla su Yavin, dove c’è comunque bisogno di un’ulteriore passaggio prima che tali informazioni guadagnino credibilità.
C’è spazio per una serie di volti noti, che non sfociano comunque nella festa dei cameo. Ha parecchio risalto il buon vecchio Bail Organa, qui in un ruolo inedito, non come buon faccione sempre pronto a dire e fare la cosa giusta, ma anche lui afflitto dai dubbi e dalle paranoie che anni di Ribellione segreta hanno segnato. La Forza si manifesta attraverso un messaggio di un informatore ribelle di Saw Gerrera, che chiede di parlare con Cassian, portando direttamente agli eventi di Rogue One, in una sequenza silenziosa in cui tutti i personaggi prendono il loro posto per prepararsi alle Guerre Stellari.
Dopo una lunga serie di interrogatori e tortura fisiche e psicologiche, Dedra finisce su Narkina 5, in una specie di legge del contrappasso. Cassian e K-2SO sono pronti a incontrare l’informatore su Kafrene, prima di ricevere un ultimo sguardo dalla guaritrice sensibile alla Forza. Alcuni dei comprimari si uniscono alla causa ribelle su Yavin, mentre Bix è tornata su Mina-Rau, in cui non vi è più alcun Dr. Gorst o tenente Krole a spaventarla, con uno sguardo rivolto alle stelle e al suo amato Cassian, e il figlio del loro amore in braccio, pronto a crescere con le leggende delle avventure di suo padre, il capitano Andor.
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Andor è senza ombra di dubbio il miglior prodotto a tema Star Wars uscito su Disney+, e la “trilogia” di Tony Gilroy è sicuramente il progetto più riuscito di Star Wars da quando Disney ha acquisito Lucasfilm. Un progetto maturo, rivolto ai fan di vecchia data e meno incentrato a generarne di nuovi come accade ciclicamente per i nuovi film della saga. Anzi, Andor è sicuramente un difficile punto d’accesso per un neofita, mentre rappresenta quanto di più delizioso Star Wars ha saputo offrire in campo televisivo nella sua intera storia.
Non resta che passare a rivedere Rogue One (per cogliere tutte le sfumature disseminate nella serie), per poi rivedere Star Wars e continuare con Episodio V e così via.
