Guardando Beef in binge-watching, dopo la visione di tre episodi c’è sempre la necessità di fermarsi e tirare un respiro dopo aver trangugiato 90 minuti di continua escalation che praticamente obbligano lo spettatore a prendere una pausa per digerire quanto visto (che è moltissimo) prima di proseguire.
Come predetto nella scorsa recensione, il salto temporale di otto mesi è un modo strategico dare un taglio netto alla stagione e spostare il focus da Amy a Danny. Anche se Amy rimane protagonista di quanto viene mostrato, il cambiamento maggiore è evidenziato dal successo di quest’ultimo che in pochi mesi, utilizzando anche i soldi nascosti da Isaac nel cucinariso, è riuscito a svoltare nella vita.
Per quest’ultima porzione di stagione (al momento in cui si scrive non è ancora chiaro se Netflix rinnoverà la serie), va fatto notare che Lee Sung Jin ritorna a firmare le sceneggiature prendendosi direttamente carico di tutte le responsabilità. Premettendo che la qualità rimane sempre ottima, è interessante constatare come il creatore sia tornato in campo mettendosi direttamente in gioco solo ora dopo il pilot e soprattutto per tutti e quattro gli ultimi episodi.
Danny: “I’ve been holding you down your whole life. […] Yo, I threw away your college applications. […] I’m sorry, I just wanted us to be the same.”
L’IMPORTANZA DEL SURREALISMO E DEI FLASHBACK
Vista e considerata l’evoluzione della trama e la necessità di curare alcuni dettagli (il cespuglio che si muove dopo che Danny va via dalla casa dei genitori in “I Am A Cage”, June e Luca messi nella macchina di Danny invece che in quella di George in “The Drama Of Original Choice”), incluso il surrealismo dell’ottavo episodio, forse la vera spinta di Lee Sung Jin nasce dall’essere un micromanager, il che è sia una supposizione, sia un mezzo complimento perché in questo caso ha anche un suo perché.
Nella perenne analisi delle scelte dei due personaggi, qualcosa in più emerge da questi episodi, specialmente nell’ottavo, quel “The Drama Of Original Choice” che, tramite l’utilizzo di diversi flashback, prova a gettare luce su ciò che ha portato Danny e Amy ad essere ciò che sono.
Ecco quindi che da un lato emerge tutto l’egoismo e la paura di un uomo molto solo che ha sviluppato una relazione di co-dipendenza col fratello, unica sua vera ancora di salvezza, ancora che ha tenuto ancorato a sè stesso (apprezzabilissimo gioco di parole) mentendogli varie volte e anche buttandogli via le richieste d’ammissione ai college. Dall’altro invece, viene spiegata quella vena parzialmente autodistruttiva di una donna con dei chiari problemi con il padre fedifrago e che sembra non averla mai veramente voluta. Problemi d’infanzia che hanno marchiato a fuoco le personalità dei due protagonisti e che cercano di essere spiegate nel migliore dei modi, anche con l’utilizzo di una doppia personalità di Amy che sembra essere tratta da Viola Swamp e che emerge nei momenti di particolare stress emotivo.
QUELLA MALEDETTA RAPINA
Dulcis in fundo non si può non parlare del nono episodio, quel “The Great Fabricator” che rasenta la perfezione sotto ogni punto di vista.
L’assalto alla villa di Jordan, a seguito di un rapimento totalmente involontario di Judy e il cane Luca, è violentissimo, inaspettato ma al tempo stesso si addice perfettamente alla serie e non sembra affatto “out of context”, anzi. La morte di Jordan, schiacciata dalla porta della panic room è un fulmine a ciel sereno, così come il vomito che sgorga dalla maschera di uno dei rapinatori subito dopo; non c’è alcun tipo di filtro in questo episodio e tutto si svolge nel più totale, assurdo, realismo. Un realismo colpito massicciamente da tutta una serie di coincidenze e scelte sbagliate che rendono la storia quasi surreale, eppure lo spettatore non può contestare in alcun modo questa escalation perché, pur nella sua follia collettiva, tutto ha un sapore diverso rispetto ad una mera scelta fatta nella stanza degli sceneggiatori.
Se i primi 10 minuti sono preparatori a quello che verrà, i 20 minuti successivi sono totalmente inaspettati per via di quell’audacia che non si pensava lo show potesse avere. Ed invece tutto ciò che può andare storto va effettivamente storto, non lasciando niente in piedi e bruciando ogni tipo di speranza, che è esattamente ciò che lo spettatore non sapeva di desiderare.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Anche questi tre episodi di Beef confermano quanto di buono si aveva già osservato in precedenza ed esasperano ulteriormente i toni con un’escalation assurda che rimarrà nella memoria degli spettatori per molto tempo.
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.