Giunti al finale di questa stagione di Dr. Death, ad emergere è soprattutto una sensazione di coralità. In una scorsa recensione, si era sottolineata la capacità della serie di raccontare un’ottima storia anche senza l’ausilio dei protagonisti principali.
Dopo aver visto tutti e otto gli episodi, però, si arriva ad una conclusione diversa che non vede al centro della scena un unico character, bensì l’intero gruppo che ha dato vita a questo racconto in tutte le sue sfaccettature.
Con una prima parte di stagione focalizzata su Macchiarini e Benita, infatti, si poteva dare per scontata la loro assoluta centralità narrativa. Il secondo blocco di episodi ha invece posto l’accento sui veri eroi della vicenda, con Lasbrey, Gamelli e Svensson che si sono presi la scena diventando i veri protagonisti, coadiuvati da una Benita che ha svolto un ruolo di collegamento tra le due trame.
“His research is still in use today.”
MEZZE VITTORIE
Come ogni serie del genere che si rispetti, anche questa termina la sua corsa in “tribunale”. Non un’udienza canonica in una vera corte con giudice e giuria, bensì dinanzi al consiglio d’amministrazione del Karolinska, ma pur sempre un confronto alla ricerca della verità. Più o meno.
Mentre i vertici della Karolinska cercavano di bypassare il problema per non assumersi responsabilità di quanto fatto da Macchiarini, a salire in cattedra per l’occasione è stato il dottor Gamelli. Spinto da un ottimo Luke Kirby, il personaggio di Nathan è riuscito a prendersi la scena dopo aver accompagnato lo spettatore nella parte più emotiva del racconto. Elemento portante dell’episodio “191“, Gamelli si esalta definitivamente durante il suo discorso al consiglio risultando ironico, coinciso e diretto per un messaggio finale infuriato ma fortemente d’impatto. Un personaggio che, più dei suoi colleghi, ha lasciato un forte segno nella narrazione.
Parallelamente al trio composto da Gamelli, Lasbery e Svensson si è mossa anche Benita. In realtà, quest’evoluzione finale è apparsa abbastanza abbozzata, seppur risulti sensato il modo in cui le indagini dei due blocchi si sono ritrovate a convergere per creare una prova più tangibile contro Macchiarini,
In ultimo, però, si assiste ad un finale decisamente dolce-amaro per questi quattro personaggi che devono accontentarsi di una vittoria a metà che non rende sicuramente giustizia alle vittime.
MEZZE SCONFITTE
“Where the fuck is Macchiarini?”
In tutto questo e seppur defilato da un paio di episodi, spicca in maniera prepotente la figura di Macchiarini. Enigmatico dall’inizio alla fine, la serie ha costruito una figura fortemente ambigua che, soprattutto nelle prime puntate, non lasciava intendere alcun tratto del suo carattere sociopatico. Con il passare del tempo, sono emersi i primi campanelli d’allarme che hanno raccontato un Paolo non solo bugiardo e megalomane ma soprattutto convinto delle sue stesse menzogne.
Purtroppo la parte della vita privata non ha avuto una buona caratterizzazione, con un focus che si è spostato esclusivamente su Benita dimenticando di dare qualche spiegazione (se di spiegazione razionale si può parlare in questo caso) riguardo il comportamento di Paolo.
Anche dal punto di vista medico non si è mai andati a fondo del comportamento di Macchiarini, liquidando la cosa ad una palese sociopatia. Qui però alcuni aspetti più netti sono emersi attraverso situazioni terze che hanno permesso di formare un quadro più preciso dell’uomo. In “Surgeons, Bachelors And Butchers” è emerso un carattere irascibile e permaloso mentre la tranquillità con cui il medico ha continuato imperterrito ad operare ritrae un uomo narcisista e convinto di ciò che fa. Il quadro di Macchiarini si è così completato da solo, consegnando allo spettatore un criminale che sicuramente non meritava la misera pena con cui è stato infine condannato.
La parte peggiore? Come mostrato dal finale dell’episodio, per anni gli è stato permesso di continuare.
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Tra pregi e difetti, alcuni episodi semplicistici e altri ad alto tasso emotivo, la seconda stagione di Dr. Death conferma la buona riuscita di questa miniserie antologica.
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Nata con la passione per telefilm e libri, cresciuta con quella per la scrittura. Unirle è sembrata la cosa più naturale. Allegra e socievole finché non trova qualcosa fuori posto, il disordine non è infatti contemplato.
Tra una mania e l'altra, si fa carico di un'estenuante sensibilità che la porta a tifare per lo sfigato di turno tra i personaggi cui si appassiona: per dirla alla Tyrion Lannister, ha un debole per “cripples, bastards and broken things”.