Nowhere recensione
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Nowhere

Un film troppo ambizioso, i cui dialoghi fanno un po' acqua da tutte le parti, soddisfa solo in parte gli esigenti fan del genere survival. Nonostante Anna Castillo faccia praticamente di tutto per sorreggere il film sulle proprie spalle, servirebbe qualcosa di più e qualcosa di diverso dai soliti clichè.

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Una donna incinta fugge assieme al marito da un regime totalitario, ma ben presto si troverà a combattere da sola, in mezzo all’oceano, per salvare se stessa e la figlia appena nata.

Sono passati sessant’anni dalla messa in onda del primo survival movie, quel Signore Delle Mosche del 1963 con la regia di Peter Brook in cui un aereo che trasporta alcuni ragazzi, durante una tempesta, precipita nei pressi di un isola deserta. Il film, capostipite di un genere, ha avuto un remake ufficiale sempre intitolato Il Signore Delle Mosche, nel 1990 diretto da Harry Hook e notevoli scopiazzature.
Il tema dell’aereo che precipita, e degli occupanti che devono in qualche modo salvarsi, viene ripreso nei pregevoli Alive-Sopravvissuti e Cast Away. Ma anche il mondo delle serie tv prende spunto dai plane crashes e il 22 Settembre del 2004 il network americano ABC ha messo in onda la prima puntata di Lost, intitolata semplicemente “Pilota, Prima Parte”. Lost diventa un fenomeno mediatico in poche puntate. Ha creato una fanbase attenta a tutte le sottotrame, flashbach e misteri che man mano si srotolavano attraverso le stagioni.
Negli anni, il survival movie puro, per rimanere credibile, ha dovuto mescolarsi ad altri generi. Lo stesso Lost si è avvantaggiato dell’inserimento dell‘elemento mitologico che da underplot è diventata trama principale. Ma negli anni sono cambiate anche le ambientazioni; non solo aerei che cadono dal cielo ma space shuttle che vanno alla deriva come in Gravity e pescherecci naufragati nelle gelide acqua come nel poco conosciuto The Deep, film islandese tratto da un fatto realmente accaduto. Viene da sè che con una cinematografia sconfinata e una moltitudine di fan, approcciarsi al genere sia stato per il giovane regista spagnolo Albert Pintò rischioso e sfidante.

SURVIVING, DISTOPIA E PROBLEM SOLVING


Gli irlandesi è impossibile abbatterli, bevono birre scure.

L’inizio del film è in medias res: lo spettatore viene subito catapultato nel mezzo della fuga di Nico (Tamar Novas) e Mia (Anna Castillo) da una Spagna sotto dittatura e in guerra che non potendo più “mantenere un’equa distribuzione delle risorse” prende di mira donne incinta e bambini in un controllo delle nascite decisamente totalitario. La fuga dei due, ma anche di altri decine di disperati , avviene dentro a dei container, nel tentativo di raggiungere l’Irlanda dove il Regime, si spera, non arriverà. La distopia narrata però è solo un pretesto per contestualizzare la narrazione.
Pochi sono i minuti dedicati alla descrizione del sistema totalitario perchè la storyline principale è da un’altra parte, dentro il container che cadrà in mare durante una tempesta o forse, come suggerisce il titolo, in nessun luogo. E non c’è neppure la ricerca di accennare una qualche problematica nostrana legata all’immigrazione che, nella realtà immigratoria dei tempi recenti, riguarda anche la Spagna. Anna Castillo ha infatti precisato che” Sapere che ci sono persone che muoiono ogni giorno in mare è terribile ma il film non parla di questo”. La stessa attrice ha recitato in Open Arms – La Legge Del Mare, dramma sociale che racconta l’odissea dei migranti che approdano sull’isola di Lesbo in Grecia.
Il centro di tutto il film e gran parte del minutaggio è dedicato a Mia, chiusa in un claustrofobico container in mezzo al mare, e alla sua capacità di risolvere grandi problemi con poche risorse. Il regista Albert Pintò non è nuovo a rappresentazioni sceniche in piccoli spazi. Il cortometraggio NADA S.A. del 2014 (disponibile gratuitamente sulla piattaforma Vimeo) è una black comedy di 16 minuti girata unicamente in una stanza, dove a un uomo viene offerto un lavoro bene pagato per non fare nulla. Ma anche Killing Good film del 2017 è girato quasi totalmente dentro una casa dove quattro disadattati ingaggiano una lotta alla sopravvivenza dopo essersi convinti (da soli) che l’apocalisse è vicina.
E la fine del mondo sembra vicina anche in Nowhere. Mia vede quel che resta del mondo dai fori del container ma quel che resta attorno a lei è solo acqua. Ma a Pintò non interessa il fuori, l’altrove. Come ha detto a Netflix, il suo obiettivo era quello di creare una storia cruda, dove poter immergersi nel dramma e non staccarsi da lei in nessun motivo. E la protagonista, in effetti, aguzza l’ingegno e usa le poche risorse trovate nel container, una cassa di felpe, centinaia di tupperware e migliaia di auricolari per fare di tutto: tappare buchi, pescare, escogitare sistemi idraulici e anche… partorire.

SURVIVAL WOMAN


Un film dove gli uomini fanno da cornice. Una breve apparizione iniziale di Nico, che assiste la moglie incinta e spaventata, prima di essere portato via dalla milizia. Poi un lungo one woman show per Anna Castillo. Il tema del parto in condizione estreme è sufficientemente abusato e Pintò non si sofferma troppo su questo particolare. Siamo sicuramente lontani dall’intesità del parto di Emily Blunt in A Quiet Place II o alla potente scena visiva di The Handmaid’s Tale “Holly“.
La prestazione di Anna Castillo, premio Goya nel 2017 per l’interpretazione nel film El Olivo, è ammirevole (e se ne può godere maggiormente dalla visione in lingua originale) in un film low budget dove una sola donna al metaforico grido di “Sono Mia, sono una donna” deve tenere a galla una sceneggiatura inzuppata di clichè. Mia che aggiusta tutto, che si cuce una ferita, che parla alla neonata come Chuck Nolan discute con “Wilson” in Cast Away. Cose già viste, dialoghi già ascoltati.

UTERI E CONTAINER


Nonostante il frullato di luoghi comuni, le metafore sono potenti. Non può sfuggire la fatica della protagonista per uscire dal container-utero verso una nuova vita, lontano dalla distopia ma anche dai propri sensi di colpa. O la presenza costante di una balena e del suo canto, animale guida e simbolo del principio della creazione. E anche il nome che Mia dà alla figlia, Noa, ha una certa assonanza con Noè che portò in salvo la famiglia durante il Diluvio Universale.
L’idea che proprio la nascita della figlia siano per la protagonista, tormentata dai sensi di colpa, un viatico per la resurrezione rimane l’espediente narrativo più retorico di questo spettacolo. E non tanto perchè il concetto di madre, quindi guerriera, potrebbe far storcere il naso alle femministe ma perchè relega la protagonista ad una figura bidimensionale priva di quella complessità e di quella cazzimma a cui ci si era abituati con le già citate Blunt-Bullock-Moss.


Un film troppo ambizioso che soddisfa solo in parte gli esigenti fan del genere survival. Nonostante una ben più che discreta protagonista alla quale si chiede troppo, sfortunatamente non può salvare, oltre a se stessa e alla sua bambina, anche l’intero film.

 

TITOLO ORIGINALE: Nowhere
REGIA: Albert Pintò
SCENEGGIATURA: Ernest Riera, Miguel Ruz, Indiana Lista,Seanne Winslow, Teresa de Rosendo
INTERPRETI: Anna Castillo, Tamar Novas, Tony Corvillo, Mariam Torres, Irina Bravo, Victoria Teijeiro, Lucia Soria, Mary Ruiz
DISTRIBUZIONE: Netflix
DURATA: 109′
ORIGINE: Spagna, 2023
DATA DI USCITA: 29/09/2023

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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.

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