“Three Rings for the Elven-kings under the sky,
Seven for the Dwarf-lords in their halls of stone,
Nine for Mortal Men doomed to die,
One for the Dark Lord on his dark throne
In the Land of Mordor where the Shadows lie.
One Ring to rule them all, One Ring to find them,
One Ring to bring them all and in the darkness bind them
In the Land of Mordor where the Shadows lie”
[John R. R. Tolkien – The Lord Of The Rings]
Questi sono anni d’oro per i fan del fantasy: dopo decenni in cui il genere ha faticato a trovare posto nei palinsesti televisivi e si è dovuto accontentare di messe in scena mediocri, quando non addirittura deludenti, è arrivato il successo di Game Of Thrones e con esso la gara dei canali e piattaforme streaming per adattare questa o quella grande saga.
Ci ha provato MTV con The Shannara Chronicles, fallendo miseramente. Ci ha provato Netflix con i mediocri Cursed e The Letter For The King e il ben più dignitoso The Witcher. Ci ha provato persino The CW con The Outpost, dalla realizzazione così povera e casereccia che in confronto Fantaghirò sembra un film della Marvel. La stessa HBO è tornata alla carica con lo spin-off/prequel House Of The Dragon.
Ovviamente Amazon non poteva rimanere a guardare e così, dopo il tanto discusso adattamento de La Ruota del Tempo, ha messo mani alla madre di tutte le mitologie fantasy moderne: il legendarium di John Ronald Reuel Tolkien. Il tutto dandolo in mano ai due misconosciuti creatori, J. D. Payne e Patrick McKay, che sono stati sponsorizzati direttamente da J.J. Abrams e che sembrano avere ben più di qualche esperienza in diversi franchise (seppur non con dei crediti ufficiali).
UN ANELLO PER DOMARLI
Tutti conoscono Il Signore degli Anelli, almeno di nome. Nel 1955 il romanzo nato dalla penna di Tolkien rivoluzionò il genere fantasy, che già esisteva e aveva avuto illustri rappresentanti, ma che solo nel professore di Oxford trovò il suo modello di riferimento (anche nel caso di scrittori come Moorcock o Martin che si sono posti come sua antitesi). Agli inizi degli anni 2000, la trilogia cinematografica di Peter Jackson diede nuova linfa al cinema fantastico e rese ancor più celebre l’universo fantastico popolato da Elfi, Nani, Orchi, Hobbit, anelli del potere, maghi, mostri ed eroi.
Quello che non tutti sanno, però, è che le avventure di Frodo e compagni sono solo la punta dell’iceberg di un intero mondo che Tolkien costruì fin nei minimi dettagli, arrivando a definirne le lingue, le usanze, il clima, la fauna e la flora. La mole di materiale lasciato dal professore è così grande da aver dato vita a una monumentale opera in 12 volumi, la History Of Middle-Earth, ma ancora oggi si continuano a pubblicare inediti, come il recente The Nature Of Middle-Earth.
Un universo fantastico così vasto non poteva rimanere a lungo intoccato. Ci ha pensato Amazon. Il colosso dell’e-commerce e ora anche dello streaming si è aggiudicato i diritti sulle appendici de Il Signore degli Anelli, sufficienti pare per mettere su un prequel sull’ascesa di Sauron e sugli eventi che hanno portato alla forgiatura degli anelli, nonché all’ultima alleanza di Uomini ed Elfi contro Mordor. Se da un lato un progetto del genere rappresenterebbe il sogno di ogni tolkeniano, dall’altro la serie si è attirata ben presto gli strali dei puristi, infastiditi dalle tante “licenze poetiche” della produzione, alcune addirittura sbandierate con orgoglio da autori e attori, come la scelta di comprimere i tremila e passa anni della Seconda Era in molto meno tempo o la volontà di modernizzare a tutti i costi un’epopea figlia, va ricordato, di un’epoca assai diversa dalla nostra.
E se le lamentele sul cast forzatamente inclusivo sono tutto sommato esagerate e fini a se stesse, altre perplessità trovano una solida conferma nella visione del primo episodio, intitolato “Shadow Of The Past” con chiara allusione al titolo del secondo capitolo del romanzo.
UNA TERRA DI MEZZO SONTUOSA…
Da un punto di vista tecnico ed estetico c’è poco da dire: The Rings Of Power è una gioia per gli occhi. Fotografia, scenografie, effetti speciali, CGI sono tutti a un alto livello, paragonabile a quello di un kolossal cinematografico. Sono lontani i tempi in cui la televisione era la sorella minore e povera del grande schermo: Jeff Bezos ha i milioni, anzi i miliardi, e ha dimostrato di saperli usare.
Come già successo con i film di Jackson, anche la serie è stata girata in Nuova Zelanda e gli scorci paesaggistici mozzafiato non mancano. La Terra di Mazzo portata in scena è un continente vasto e in larga parte incontaminato, un susseguirsi di cascate di ghiaccio, foreste, montagne, colline, antri tenebrosi, praterie e coste in cui la presenza umana (o elfica) si riduce a piccola cosa in confronto all’immensità della natura.
La produzione vince, almeno per ora, la sfida di rappresentare ambientazioni inedite sullo schermo, per le quali non ci si poteva appigliare in alcun modo all’immaginario visivo dei film. Il villaggio dei Pelopiedi, una delle tre “razze” in cui Tolkien aveva suddiviso gli Hobbit (le altre due sono i Paloidi e gli Sturoi), non ha niente a che vedere con la Contea gentilizia dei loro discendenti: è un mondo sporco, primitivo, molto più rustico. Così come molto più semplici e selvaggi sono i loro abiti e la loro cultura materiale.
Similmente, è soddisfacente il ritratto che viene fatto degli Elfi. Quel poco che si vede delle città elfiche mostra architetture che non hanno nulla di umano, eteree e leggiadre, che ben trasmettono una sensazione di alterità ed esotismo. A tratti sembra di rivedere le architetture di Imladris e Lothlorien dei film, ma il contesto è diverso: è l’epoca in cui gli Elfi erano ancora una razza potente e protagonista nella Terra di Mezzo, ben prima del declino e dell’isolamento che si vedono nella Terza Era. Anche la figura di Gil-Galad è presentata, esteticamente prima ancora che nei modi e nei comportamenti, per trasmettere un’idea di maestosità, di regalità.
Al contrario, i pochi Uomini visti finora sullo schermo sono tratteggiati secondo lo stereotipo del Medioevo brutto, sporco e monocromatico. Ma si tratta di pazientare: Numenor, la grande assente del primo episodio, sarà sicuramente presente nel successivo e lì sarà possibile toccare con mano la grandezza del più potente regno umano tolkeniano, ancor più glorioso della sua discendente Gondor.
… MA POCO ADATTA AI PURISTI
Tuttavia non è oro quel che luccica (né gli erranti son perduti, diceva Gandalf descrivendo Aragorn). Per chi adora Tolkien, ha letto tutto quello che è uscito dalla sua penna e conosce a menadito persino le genealogie degli Hobbit, The Rings Of Power potrebbe essere un colpo al cuore difficile da sopportare.
Troppe le licenze che la produzione si è presa rispetto al legendarium. Si parte già malissimo con una scena di bullismo dei piccoli Elfi ai danni di una giovanissima Galadriel che avrebbe fatto inorridire il professore, per poi passare a un breve, anzi brevissimo e vaghissimo riassunto della Prima Era. Forse c’erano dei vincoli dovuti al fatto che Amazon non possiede i diritti sul Silmarillion, ma il resoconto degli eventi che hanno condotto gli Elfi ad abbandonare Valinor per dare la caccia a Morgoth dice tutto e non dice niente.
Non va meglio nel prosieguo. E il purista rischia di farsi schiacciare dalle domande: perché la morte di Finrod Felagund è slegata dalla cerca dei Silmarilli di Beren? Perché Galadriel è rappresentata come un’eroina divorata dalla vendetta e non c’è traccia di suo marito Celeborn? Perché alcuni Elfi hanno capigliature corte e sembra che si siano fatti una passata di gel? Perché l’attore di Gil-Galad sembra il padre dell’attrice di Galadriel, benché quest’ultima sia la sua prozia? Perché Celebrimbor è così vecchio quando dovrebbe avere appena qualche anno in meno di Galadriel?
Alla fine, l’unico modo per godersi appieno la serie è adottare lo stesso approccio visto con Foundation: far finta che si tratti di un soggetto inedito, una storia completamente nuova in cui “per puro caso” i protagonisti si chiamano Galadriel, Elrond, Sauron e via dicendo.
VOLTI VECCHI E NUOVI
Essendo un episodio puramente introduttivo, “Shadow Of The Past” porta in scena almeno metà del cast, lasciando da parte la restante metà (i Nani di Khazad-Dum e i Numenoreani). Il salto da una parte all’altra della Terra di Mezzo è accompagnato visivamente da una grande mappa e in ogni caso si evita al minimo il rischio di confondere lo spettatore, perché ogni scenario è ben delineato.
Cominciando da quella che sembra essere la grande protagonista della serie: Galadriel. Una Galadriel decisamente portata all’azione, molto lontana dalla bella regina dei boschi incontrata dalla Compagnia dell’Anello a Lothlorien. Va detto che una Galadriel in armatura non è totalmente inventata, c’è un accenno alla sua partecipazione alla guerra in un passo dei Racconti Incompiuti; ma è lo stesso Tolkien a dirci che per buona parte della Prima e Seconda Era Galadriel se ne stava col marito Celeborn, ora nel Doriath, ora sulle rive del lago Nenuial, ora nell’Eregion, infine a Lorien. La sua versione badass erosa dal desiderio di vendetta è giustificabile solo alla luce della necessità di dare alla serie un’eroina femminile facilmente riconoscibile (perché il personaggio è già comparso nei film) e facilmente collegabile a Sauron (che tutto sommato le ha ucciso il fratello, anche se nel legendarium le modalità sono state diverse). Per fortuna questa Galadriel non è un personaggio monodimensionale e il suo dissidio interiore fra il desiderio di tornare nelle Terre Imperiture e la sua volontà di sradicare il male dalla Terra di Mezzo emerge chiaramente, soprattutto nelle scene del suo quasi-ritorno a Valinor.
C’è poi Nori, una giovane Pelopiede che serve per coprire le quote Hobbit del cast. Sorvolando sul fatto che Nori nel legendarium è il nome di un Nano e si potevano trovare tremila altri nomi più adatti a una Hobbit, a convincere poco è il fatto che la piccoletta incarna il solito stereotipo del/la ragazzino/a che si sente intrappolato in una piccola comunità e vuole vedere il mondo. Praticamente Luke Skywalker su Tatooine. Certo, va concesso il beneficio del dubbio perché si tratta di un character appena presentato ed il fatto che nel finale di puntata entri in contatto col misterioso uomo-meteora fa presagire sviluppi interessanti.
Terza figura femminile è Bronwyn, madre single e interesse amoroso dell’Elfo Arondir. Con i due sembra che si voglia ripetere il copione già visto con Aragon-Arwen e Tauriel-Kili: una coppia mista, una relazione tra un Elfo e un mortale che possa dare romanticismo, drammaticità e magari anche un po’ di sesso. Ma anche qui è troppo presto per esprimere giudizi netti e forse i prossimi episodi sapranno stupire.
Si segnala anche la figura di Elrond, il futuro signore di Imladris, qui molto più giovane e lontano tanto dalla gioviale saggezza del personaggio cartaceo, quanto dall’austerità del suo corrispettivo cinematografico. Probabilmente fra tutti i personaggi sarà lui quello a vivere il percorso di crescita più interessante e complesso.
Grande assente invece Sauron, se non per una piccola comparsata nel prologo, ma è giusto che il principale antagonista si faccia desiderare. Per ora, più che una figura tangibile, è un simbolo, un’idea: la metafora dell’oscurità che sta per abbracciare di nuovo tutta la Terra di Mezzo e alla quale solo la luce di Uomini, Elfi, Nani e, a quanto pare, Hobbit potrà opporsi.
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L’avvio di quella che è stata definita “la serie più costosa della storia” (715 milioni di dollari in totale) genera sentimenti contrastanti: per ora sembra di essere di fronte a un buon fantasy e ad una produzione esteticamente ineccepibile, ma le differenze rispetto alla mitologia tolkeniana sono già tante e sicuramente aumenteranno andando avanti. Il consiglio? Guardare The Rings Of Power facendo finta che sia un soggetto inedito risparmierà a molti un bel po’ di bile.
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.