Questa prima stagione di M. Il Figlio Del Secolo ha lasciato strascichi di polemiche, accorati complimenti, smodate invettive a ricollegare tutto al presente: insomma, nulla che non era lecito attendersi. Ciò che stupisce, in realtà, è la qualità finale del prodotto e la sorpresa nel rendersi conto che, impegnandosi, anche in Italia è possibile tirare fuori piccoli gioielli seriali di questo tipo.
Ad oggi non è ancora stata ufficializzata una seconda stagione, ma l’intenzione di Sky sembrerebbe essere quella di proseguire, complice anche il successo di pubblico e il buon riscontro dalla critica. È una serie tv perfettibile, non totalmente incline a rispettare l’ordine cronologico dei fatti (non quelli prettamente fondamentali, sia chiaro) in alcuni punti e nemmeno di rispettare l’esatto ordine dei famosi monologhi (ma, anche qui, si tratta di miseri dettagli che si perdono). Perfettibile, quindi, ma che intrattiene e colpisce con la profondità dell’esposizione dei personaggi: ritrovarsi ad empatizzare con determinati personaggi (“banditi e predoni”) durante la visione sarebbe impossibile, se la scrittura non fosse di ottimo livello.
A livello attoriale, tralasciando Marinelli che sarebbe quasi superfluo prendere in causa in ogni singola puntata, la bravura e la capacità di magnetizzare il pubblico è indubbia: Francesco Russo (Cesare Rossi, il Ronnie Gardocki del ventennio), Barbara Chichiarelli, Benedetta Cimatti, Federico Majorana e Lorenzo Zurzolo sono gli altri volti fondamentali di otto puntate che scorrono senza dei veri e propri intoppi.
Joe Wright ci mette del suo, sporcando il racconto dell’epoca rendendolo più pop, più “leggero” e più fruibile, cercando di abbattere l’età media del pubblico con degli strumenti forse non abituali in questo genere di prodotti, ma d’impatto e in linea con il taglio narrativo che già i romanzi di Scurati suggerivano. Sia chiaro: non è un drama storico alla The Crown e non aspira nemmeno ad essere un documentario informativo.
M. Il Figlio Del Secolo è esattamente come il Fascismo: è tutto…e il contrario di tutto.
LE CONSEGUENZE DELL’OMICIDIO MATTEOTTI
La puntata riparte dalle conseguenze dell’atto politico più vile e con cui, solitamente, si fa coincidere il vero inizio del regime fascista (in realtà già in atto da prima, ma si tratta di date e momenti convenzionali): l’omicidio Matteotti porta allo scoperto tutte le nefandezze di Benito e della sua squadra, celate nell’omertà generale del Parlamento, dell’opinione pubblica e della popolazione, per questo conniventi. Eppure il Parlamento ha un ultimo, sfiancato, colpo di reni quasi intendesse liberarsi del fascismo dopo averlo sospinto fino a lì: aiutato ad entrare in Parlamento da Giolitti che credeva di “istituzionalizzarlo”; aiutato economicamente dagli industriali, ingaggiato per bastonare chi scioperava; graziato dal Re e poi nominato Presidente del Consiglio grazie alla marcia su Roma.
Insomma, come si suol dire, doveva scapparci il morto affinché qualcuno si risvegliasse dal torpore e capisse che forse era meglio stroncare sul nascere questa faccenda del fascismo.
Sul nascere? Ormai era troppo tardi.
Da annotare che l’omicidio Matteotti diventa non fulcro narrativo, ma sfondo della storia dando piuttosto risalto alle reazioni sia dei fascisti, sia dei non fascisti. Esattamente come supponeva il Generale a colloquio con Facta, una volta fatto sul serio il fascismo si scioglie come neve al Sole: imbeccato dalla stampa, Benito ordina che non si parli del caso se non per far menzione delle accurate ricerche del parlamentare scomparso messe in atte del Governo. Ma è quando gli artefici dell’omicidio vengono arrestati che tutto il castello di carte sembra crollare: Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo. Il primo, in particolare, fedelissimo della prima ora che non sembra disposto a fare il carcere per salvare il suo Duce, minaccia di parlare se non gli viene garantita la libertà.
IL CUORE RIVELATORE DI BENITO MUSSOLINI
In questo scenario apocalittico per il Partito Fascista, a fare da contraltare c’è Benito che è sì intaccato nell’animo e nel corpo da questi sconvolgimenti, ma sembra più un problema di mancanza di attenzioni la sua. Ignorato dalla moglie, che cerca di tenersi occupata con altro; allontanato dalla Sarfatti, che lo lascia al potere; tradito dai suoi camerati fascisti: Benito è indebolito, colpito nell’ego di chi viene ignorato ma vorrebbe solamente continuare ad essere al centro dell’attenzione.
Una cosa che succede, seppure per una manciata di minuti, quando Bianca Ceccato va a trovarlo caricando il suo spirito da condottiero, il giusto per trovare il coraggio e andare alla festa del Re. Un ego che una volta riacquisito lo porta ad allontanare malamente di nuovo le persone che cercano di essergli vicino (nello specifico caso, Bianca Ceccato per l’appunto). Le visioni di Velia Titta (moglie di Matteotti), le numerose mosche presenti nei suoi uffici e le voci che sembra percepire solamente lui avvicinano le sequenze del Duce in completo crollo mentale al racconto Il cuore rivelatore di Edgar Allan Poe: la linea di congiunzione è sicuramente il senso di colpa che opprime e attanaglia Benito. Non tanto per la morte in sé del socialista, visto che alle richieste della moglie non batte ciglio. Quanto, piuttosto, per le conseguenze che quell’errore (perché così viene visto) potrebbero avere verso di lui. Anche qui trasuda l’ego dell’uomo.
TRADITORE
Come può salvaguardare se stesso, quindi, riuscendo al contempo a salvarsi la faccia con il proprio Partito? Considerato che il Partito è mistificato nella figura di Mussolini, salvare se stesso significa salvare il Partito (e il fascismo) stesso. Appurato ciò, quindi, resta solo una cosa da fare: trovare un capro espiatorio.
I capri espiatori che pagarono per il proprio Duce furono tre: Cesare Rossi, Aldo Finzi e Emilio Del Bono. La figura di Finzi, fino a questo momento mai nominata all’interno della serie tv Sky, si può facilmente far coincidere con quella del Cesare Rossi interpretato da Francesco Russo. Aldo Finzi è stata infatti una figura collegata al Fascismo fin dal principio, ha partecipato alla marcia su Roma ed era l’autista (scellerato, come si legge sul romanzo di Scurati) di Benito. Una figura che durante gli scioperi del biennio rosso si impadronì del deposito dei tram a Milano per mettersi alla guida di uno di essi, caricare numeri squadristi e andare a sparare sui manifestanti in sciopero fuori dalle fabbriche.
Sky fa un lavoro di “fusione” e fa coincidere tutto in Francesco Russo. Al termine della stagione si può essere comunque contenti della scelta.
Emilio Del Bono si dimette dall’incarico di capo della polizia, quindi, ma Cesare Rossi? A Cesare Rossi, Benito chiede il sacrificio per il Partito (per il Duce, quindi), indicandolo come mandante principale dell’omicidio Matteotti. La reazione di Cesare Rossi, a cui vengono dette le stesse identiche parole con cui più tardi il Re liquiderà Mussolini stesso (“ho le mani legate”), è sprezzante e carica di odio verso una figura a cui lui sente di aver dato tutto e da cui, nel momento del bisogno, viene tradita senza appello. Rossi scrive un memoriale nel quale racconta quali sono le attività del gruppo di squadristi a cui vengono affidate le esecuzioni delle rappresaglie e di vendette politiche, si proclama estraneo all’omicidio e ad altri crimini. Chiude queste diciotto cartelle di appunti lasciate per la pubblicazione su Il Mondo di Giovanni Amendola accusando Benito Mussolini.
DISCORSO ALLA CAMERA DEL 3 GENNAIO 1925
A chiusura della puntata si arriva poi, inesorabilmente, al discorso alla Camera di Mussolini del 3 gennaio 1925. Un discorso storico per brutalità, concetti mossi e, ancora una volta, per l’incapacità degli altri partiti politici di limitare una persona che si stava prendendo l’Italia pezzo dopo pezzo.
Mussolini si presenta con lo spirito di chi non ha nulla da perdere: i suoi camerati lo hanno indicato come il colpevole; l’opinione pubblica lo addita come mandante dell’omicidio Matteotti; la popolazione inizia a non amarlo più. Ecco quindi che esattamente come accaduto nel quarto episodio, durante il III Congresso dei Fasci di Combattimento (8 novembre 1921), entra in scena il domatore.
Come si appuntava in precedenza, il monologo non segue pedissequamente quanto realmente detto da Mussolini ma estrapola alcune frasi e le mette in ordine diverso; ne estrae i concetti e li disseziona con termini diversi; omette particolari e si concentra su altro. Ciò che resta sono circa dieci minuti di pura bellezza televisiva: la messa in scena di Joe Wright è magnetica in quanto terrificante, così come l’ennesima performance egregia di Luca Marinelli. Una performance che cresce con il passare dei minuti e delle parole: mentre attorno a Benito si accumula il silenzio, lui prende coraggio, sfrontatezza e rabbia arrivando a minacciare l’apparato statale che rappresenta il popolo. Saranno state cambiate le parole, sì, ma i concetti e il risultato sono i medesimi.
Di M. Il Figlio del Secolo si può contestare la forma, forse, ma è innegabile che il lavoro fatto da Marinelli – unitamente all’intero cast -, Wright, Bises, Serino e Scurati è di una realtà e bellezza disarmante (sempre avendo bene in mente ciò che sta venendo narrato, sia chiaro). Siamo a gennaio, ma questo può essere già tranquillamente etichettato come uno dei prodotti migliori di questo 2025 senza paura di smentita.
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E ora… silenzio. In attesa della seconda stagione.
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.