Dall’ombroso e magnetico universo di John Wick, dove i silenzi riecheggiano di codici d’onore e vendette ineluttabili, The Continental ha continuato a sfogliare le sue pagine, arricchendo ulteriormente la trama di profondità e nuance. Eppure, nonostante le potentissime premesse, in questa trilogia ci si è a tratti avventurati attraverso trame che flirtano con la confusione, rivelando la sfida di bilanciare l’essenza dell’opera madre con una nuova visione d’insieme più ampia. Questa derivazione non è semplicemente un capitolo aggiuntivo; rappresenta piuttosto un’audace reinterpretazione che aspira a fondere la vitalità delle vicende cinematografiche in un tessuto televisivo più sofisticato e multiforme. Eppure, nonostante le ambizioni a monte, non sempre The Continental è riuscita a raggiungere l’epicità e la solennità del suo iconico predecessore, rischiando a tratti di perdersi nel proprio audace disegno narrativo.
JOHN WICK WEAK
Il climax della stagione (e della serie?), “Theatre of Pain”, si palesa come un complesso mosaico di emozioni e conflitti. Questo episodio finale non solo offre risposte che gettano luce sulle ragioni che muovono i personaggi, ma si addentra anche nelle viscere stesse della vendetta, uno dei temi cardine dell’intero universo di John Wick. Tuttavia, ciò che emerge dalla miriade di trame è una certa incoerenza. L’interconnessione tra passato e presente, tra vendette personali e ingranaggi di un sistema più ampio, è una dinamica cruciale per comporre un mosaico narrativo avvincente. Il dilemma risiede nel dosare questi elementi in modo che ogni dettaglio arricchisca la narrazione piuttosto che appesantirla. Questa tensione tra dettaglio e comprensione complessiva è una sfida che molte serie affrontano, ma che diventa particolarmente pressante quando si tratta di un universo già stabilito e amato come quello di John Wick.
La trama secondaria di KD, pur essendo carica di potenziale, risulta scarsamente integrata, relegando un personaggio che avrebbe potuto brillare a un ruolo in fin conti marginale. Non basta avere una storia affascinante; è il modo in cui essa viene tessuta nell’intreccio principale che determina il suo impatto. E, in questo caso, l’inserimento di KD sembra più un’inclusione forzata che una scelta narrativa ponderata. Inoltre, è fondamentale ricordare che ogni personaggio, non importa quanto marginale, è un potenziale veicolo di empatia per lo spettatore e tralasciare il loro sviluppo si configura come un’opportunità mancata di coinvolgimento emotivo.
Il talento interpretativo di Colin Woodell, nei panni di Winston, seppur dotato di una certa intensità, non raggiunge il carisma necessario per un protagonista in un contesto così saturo di sfumature, soprattutto se messo a confronto del suo interprete originale Ian McShane. La sua determinazione, seppur palpabile, non riesce a trascinare lo spettatore nelle sue sfide, risultando talvolta in ombra rispetto ai personaggi secondari, che spesso brillano di luce propria. L’essenza di un protagonista non risiede solo nel suo ruolo narrativo, ma nella sua capacità di fungere da fulcro emotivo per lo spettatore, una calamita per l’identificazione e l’investimento emotivo. Questa discrepanza tra le aspettative e la realizzazione finisce così col creare un senso di distacco tra lo spettatore e l’opera nella sua interezza.
THE PASSION OF CORMAC O’CONNOR
Nella vivida sinfonia delle sequenze d’azione, sempre brillantemente orchestrate, si percepisce chiaramente l’anima di John Wick. Queste coreografie, il vero fulcro dell’episodio (e della serie), vengono eseguite con una maestria ineguagliabile. Eppure, a fronte di una tale perizia nelle scene d’azione, si avverte una trama che, a tratti, sembra non riuscire a mantenere lo stesso ritmo, rischiando di venire messa in ombra. L’arte, in un contesto simile, si manifesta nella capacità di integrare l’azione entusiasmante con un racconto avvincente, senza far prevalere l’una sull’altro. Emergono, così, i contorni di un balletto narrativo, dove l’azione deve dialogare in perfetta armonia con il tessuto della storia.
L’attenzione al dettaglio estetico è palpabile. La cinematografia e le scelte musicali evocano con precisione l’atmosfera degli anni ’70. Tuttavia, in alcuni frangenti, il lustro visuale sembra sovrastare la vera essenza della narrazione, relegando certi dettagli della trama a un ruolo quasi accessorio. Emergono, pertanto, riflessioni sull’armonia tra lo splendore visivo e la profondità del racconto: nonostante l’ambientazione degli anni ’70 crei un’atmosfera avvolgente e distintiva, questa finisce per dominare la scena, relegando in secondo piano l’essenza stessa della storia. È essenziale che l’elemento estetico, pur essendo di indiscutibile valore, operi in simbiosi con la trama, amplificandola, anziché ridurla a mero sfondo di un tableau visivo, contrariamente a quanto purtroppo è avvenuto in questa occasione, dove la storia finisce per essere completamente eclissata da un’imponente cornice visuale.
Infine, una menzione particolare va all’interpretazione di Mel Gibson nel ruolo di Cormac O’Connor. Il suo character, benché immerso in una trama densa e talvolta contorta, risplende di una carica magnetica e ambivalente tipica dell’attore. Gibson, pur essendo un personaggio molto controverso all’interno del panorama cinematografico, riesce qui a offrire un’interpretazione sopra le righe del personaggio, in perfetta continuità con molti degli antagonisti della saga cinematografica di John Wick, combinando perfettamente la sua inconfondibile veemenza a momenti più teatrali tendenti quasi al comico. Tuttavia, il suo epilogo nella serie si rivela alquanto deludente. La conclusione del suo percorso, specialmente considerando la sua centralità nella trama, risulta alquanto affrettata, lasciando spazio a un velo di insoddisfazione. Nonostante l’indiscutibile carisma dell’attore e l’energia che infonde nel personaggio, la conclusione della sua storia sembra quindi non rendere piena giustizia alla profondità e all’importanza di Cormac all’interno dell’intreccio narrativo.
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Sebbene The Continental rappresenti un tentativo ammirevole e ambizioso di espandere l’universo di John Wick, solleva interrogativi fondamentali sulla sua esecuzione. La serie ha offerto momenti di indiscutibile brillantezza, ampliando la comprensione di un mondo amato dai fan, ma anche svelato le sfide nel trasportare una saga cinematografica in un formato televisivo diverso. La transizione da grande schermo a piccolo schermo è spesso accompagnata da compromessi e sfide, ma ciò che resta è l’essenza della storia e la sua capacità di coinvolgere e intrattenere. Resta da vedere se The Continental, nonostante le sue imperfezioni, rappresenterà un caposaldo nel pantheon di John Wick o se verrà relegato a un mero esperimento narrativo.
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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.