Nel trattare un temo così delicato come l‘anoressia, Netflix avrebbe potuto compiere uno scivolone memorabile. La piattaforma di Los Gatos ci aveva già provato producendo nel 2017 il film To The Bone con la regia di Marti Noxon (Buffy) che, come riportato dal The Guardian, ha in parte costruito il film basandosi sulla sua stessa esperienza con i disturbi alimentari.
La pellicola aveva ricevuto molto critiche per un approccio stereotipato e una regia dimenticabile. Il passo però era stato compiuto e la decisione di trattare un tema di cui si parla ancora poco posiziona Netflix al primo posto tra le piattaforme nel saper trattare drammi adolescenziali osservandoli da svariate angolature.
L’ANORESSIA SENZA CLICHÈ
La serie segue il ritorno alla vita di tutti i giorni di Mia Polanco (Sophie Wilde). La diciassettenne londinese torna a casa dopo un lungo ricovero in clinica per disturbi alimentari e scopre che tutti i suoi amici hanno continuato la loro vita da adolescenti inanellando una serie di esperienze (ed emozioni) che Mia non ha potuto provare. Per recuperare il tempo perso decide di stilare una lista di cose da fare, ma presto capirà che la vita da teenager non funziona così.
La prima cosa che colpisce, nella scena iniziale, è l’assenza della madre quando Mia viene dimessa dalla clinica. Senza soffermarsi su spinose questioni psicologiche, è chiaro che l’intento della giovanissima showrunner Ripley Parker sia quello di stabilire subito che il personaggio di Mia abbia un background pesante con il quale convivere e che le cose non saranno facili nè in famiglia, nè a scuola e neppure ai party. Un aspetto, ha dichiarato la Parker, che ha trovato opportuno affrontare è proprio quello del rapporto con l’immagine distorta del proprio corpo e le conseguenze nella vita di tutti i giorni. Fondamentali sono infatti le parti di sceneggiatura dove Mia Polanco, parlando a se stessa, racconta al pubblico i ragionamenti che l’hanno portata a fare le cose in un certo modo invece che in un altro. La protagonista non sfonda mai la quarta parete riferendosi direttamente allo spettatore, ma l’overtinking continuo aiuta l’empatia.
Nonostante il ritorno alla vita di prima non sia facile e la guarigione completa ancora da raggiungere, la storia non diventa mai drammatica. Non si cade mai nel pietismo, tantomeno nella retorica. I colori e la fotografia ricordano Sex Education ma i beauty look dei personaggi sono molto più sobri. E lo sono anche i dialoghi che, mettendo a proprio agio gli spettatori, regalano una qualche forma di normalità ad una questione spinosa.
MIA’S BUCHET LIST
“Scrivevo queste liste ogni giorno. Tutto quello che mi infilavo in bocca. Credevo mi aiutassero ad allontanare i cattivi pensieri. Non mi rendevo conto che allontanavo anche le cose buone, la bellezza che ogni giorno vedevo intorno a me.”
Tornata alla vita di tutti i giorni, Mia si accorge che i suoi amici, Becca (Lauryn Ajufo), Will (Noha Thomas) e Cam (Harry Cadby), sono cresciuti. Nella semplicità della sua mente adolescente (finalmente in una serie un adolescente fa delle cose da adolescente) decide di creare una lista di cose da fare il prima possibile: baciare, ubriacarsi, andare ad una festa ed altre faccende. Ma più che una lista di desideri, questo elenco sembra una to-do list da usare come strumento di iper-produttività personale.
Lo stratagemma però, anche se probabilmente non sarà così utile a Mia nelle successive puntate, è efficace per la sceneggiatura che porta avanti la storia usando la lista come punteggiatura nella narrazione. Ne consegue un certo ordine strutturale che assieme una una regia sobria e al sapiente mix di drama e umorismo fanno scorrere la storia piacevolmente.
UN ANNO DA URLO PER SOPHIE WILDE
Nei panni di Mia Polanco c’è uno degli astri nascenti del cinema australiano. Nominata “rising star” nel 2020 dalla Casting Guild of Australia per la sua interpretazione nella serie BBC You Don’t Know Me. È attualmente presente con un dramma in costume dal titolo Tom Jones, anche sulla piattaforma Now Tv e al cinema con Talk To Me, film rivelazione che i critici hanno definito come “uno degli horror più paurosi del decennio”.
La prestazione nel pilot è in linea con tutto il resto dello spettacolo. Una recitazione senza retorica, picchi di dramma o esagerato umorismo. Una performance pacata, come pacato e discreto è il modo in cui tratta tutto lo spettacolo questo ingombrante disturbo alimentare.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Ancora una volta Netflix presenta un buon teen drama. Il cambio di passo nella rappresentazione degli adolescenti è evidente e Everything Now si discosta, come stile, sia dal pittoresco Sex Education che dall’eccessivo Elite, e con una scrittura più sobria presenta al pubblico una talentuosa Sophie Wilde.
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Membro Onorario della Generazione X. Dal 1994 si aggira nei corridoi dell'archivio degli X-Files senza trovare l'uscita. Da piccola fingeva di avere la febbre per rimanere a casa da scuola a guardare gli episodi di Hazzard. Capisce poco di Cinema ma ci prova.