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The Handmaid’s Tale 4×03 – The CrossingTEMPO DI LETTURA 6 min

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The-Handmaid-s-Tale-4x03Fuga. Cattura. E ancora una volta fuga.
The Handmaid’s Tale si ritrova bloccato all’interno di un loop che sta lentamente rovinando il prodotto episodio dopo episodio, inficiandone la qualità con ogni singola ulteriore ripetizione narrativa.
Dopo essere stata catturata e torturata per un brevissimo lasso di tempo, June è ancora in fuga, insieme a Janine, braccate, pronte ad essere deportate in un campo di lavoro forzato come punizione per quanto commesso ai danni di Gilead.
Mayday” era stata una conclusione sontuosa per una stagione fatta di alti e bassi, ma aveva rappresentato un cambio narrativo molto importante: i Waterford si ritrovavano incriminati in Canada e obbligati a cooperare; i bambini e diverse Martha erano sopraggiunti in aereo in cerca di una nuova casa, fuggendo dall’oppressiva realtà di Gilead; June insieme a molte altre ancelle si dava alla macchia, pur essendo ferita gravemente. La storia si era ribaltata e gli oppressi si ritrovavano, in quel preciso istante, con il coltello dalla parte del manico, pronti a sferrare altri, numerosi, fendenti sul corpo sempre più martoriato di una società che doveva scomparire per poter essere ristabilita la pace.

HANDMAID E LA FUGA MANCATA


Questa quarta stagione aveva (e ha) il compito di recuperare quella fuga, nata in funzione del fatto che June vuole a tutti i costi ricongiungersi con Hannah e trarla in salvo, cercando di evitarle una realtà ancora più violenta dove essere handmaid (e quindi donna pronta a rimanere incinta) non è più garanzia di preservazione.
Il trittico di episodi con cui questa stagione decide di aprire le danze riesce a metà nel raggiungimento di questo obbiettivo: la violenza e la sensazione che “tutto sia concesso” c’è e si vede (le due ancelle gettate nel vuoto dall’alto del palazzo ne sono la rappresentazione), ma si fatica a vedere la luce in fondo al tunnel nella fantomatica missione di recupero di June nei confronti di Hannah. Tra le due c’è l’ennesimo confronto, divise da una parete di vetro, che si conclude con Hannah visibilmente spaventata dalla figura che non riconosce più come sua madre e June inginocchiata che per proteggere la figlia rivela la posizione di tutte le sue compagne.
Cosa debba accadere perché June ed Hannah si riconcilino definitivamente è difficile da dire e quindi tutta la melensa sottotrama della donna bloccata a Gilead per salvare la figlia finisce per diventare tediosa e apparentemente senza fine. Soprattutto perché il nutrito gruppo di persone in suo supporto si è ridotto drasticamente tra “Mayday” e “The Crossing”, visto che è rimasta la sola Janine. Il resto del gruppo o è morto a causa di pallottole varie, o è salito sull’aereo per trarre in salvo i bambini, o è finito investito da un treno in corsa.
Detto ciò, bisogna poi suddividere la recensione parlando delle due scene che fanno storcere il naso verso una sceneggiatura sicuramente non lungimirante: il ponte ed il treno.

IL PONTE


La prima è la scena del ponte dove Nick e June si ritrovano, come due amanti, stretti in un amorevole abbraccio prima di baciarsi appassionatamente.
Considerata la situazione della donna (rapimento, complicità in fuga, duplice omicidio, terrorista) ed il ruolo dell’uomo (comandante ed ex autista dei Waterford ora in Canada pronti a collaborare), una sequenza di questo tipo dovrebbe avere seguiti ben importanti e gravi per Nick, interrogato dalla polizia di Gilead o, quanto meno, tenuto sotto controllo da The Eyes. Nelle prime stagioni, molti dei dialoghi tra Waterford e June venivano vissuti in un silenzio tale da far supporre allo spettatore che ogni singolo individuo di quella società fosse tenuto sotto stretta osservazione da telecamere, intercettazioni ambientali o chissà cos’altro, una sorta di 1984 orwelliano.
Dopo poco più di venti episodi questa ricerca di riservatezza sembra passare totalmente in secondo piano ed ecco quindi che la ricercata numero uno di Gilead bacia vistosamente un Comandante di rilievo all’interno dell’ormai ristretto gruppo al comando.

IL TRENO


La seconda scena è quella relativa al fantomatico “crossing” richiamato dal titolo dove il gruppo di ancelle, fuggite con una logica da far accapponare la pelle (l’autista si ferma nel nulla della campagna per espletare i propri bisogni fisiologici), cerca di superare un passaggio a livello mentre un treno sta sopraggiungendo poco distante. L’autista arriva, abbatte giusto un paio di ancelle, June e Janine riescono ad attraversare illese i binari, le altre rimaste vengono travolte dal treno in corsa (che, tra l’altro, si rivela essere più lungo dei treni merci che passano nelle varie stazioni in Italia).
Il punto più attaccabile è sicuramente la modalità con cui il gruppo fugge indenne dal retro del furgone, dove sedeva una povera Aunt Lydia già bastonata offscreen come confermano i lividi sul volto. Nel finale della prima stagione, June viene costretta a forza sul retro di un furgone per essere scortata alla famigerata falsa-impiccagione di gruppo con cui si aprirà la seconda stagione. In questa sequenza, il furgone che trasporta June viene seguito a poca distanza da altre 2-3 auto di Eyes che rappresentano una vera e propria scorta. Un’ancella trasportata, 2-3 auto di scorta.
Per quale assurdo motivo, invece, in questo episodio un gruppo ben più numeroso di Ancelle non viene minimamente scortato neanche da una singola automobile? Non c’era pericolo di fuga? Eppure il gruppo in questione rappresenta un vero e proprio nucleo terroristico capace di ledere credibilità, forza e potere di Gilead sia al suo interno, sia all’esterno.
Altro elemento insensato è il treno interminabile che nasconde la visibilità di June e Janine all’autista del furgone e che, evidentemente, permetterà alle due di scappare praticamente inosservate evitando la cattura. Sceneggiatura molto semplicistica e oltremodo conveniente.
Fatti notare questi punti dolentissimi che si abbattono come meteoriti sulla qualità della puntata, bisogna comunque far notare l’esistenza di molti elementi positivi: il consueto comparto tecnico d’alto livello; la transizione da individuo a gruppo che investe le handmaid una volta scoperto il loro rifugio; Luke ed il tentativo di affrontare l’assurda quotidianità in cui si ritrova; l’incontro tra Hannah e June e quello tra la donna e Nick.
Tratti positivi che, tuttavia, riescono a pareggiare a fatica la staticità narrativa (con una storia bloccata in un vero e proprio loop), le insensate scelte della sceneggiatura completamente mancanti di logica ed una storia che si aggrappa all’ennesima fuga pronta a diventare l’ennesimo buco nell’acqua come le precedenti.

“We slept in what had once been the gymnasium. We learned to whisper in the semi-darkness. We learned to lipread.
Sarah. Elie. Brianna. Alma. Janine. Moira. June.”

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Comparto tecnico: fotografia e regia (questa volta affidata alla stessa Elisabeth Moss)
  • La scena del ritrovamento delle ancelle ed il loro, glorioso, presentarsi ritte in piedi
  • Parte della storia riguardante il Canada, per quanto abbozzata
  • Waterboarding con croce sull’asciugamano
  • La scena del ponte
  • La scena del treno
  • The Handmaid’s Tale bloccato in un vero e proprio loop
  • June ed Hannah: questa storia avrà mai una conclusione?

 

The Handmaid’s Tale quando era approdata nel 2017 aveva catturato per la narrazione violenta della società di Gilead e per una società distopica tanto oppressiva e claustrofobica. In quella prima stagione, il gruppo di June sarebbe finito penzolante per il muro nel giro di pochissime ore.
Dopo quattro stagioni, invece, tutto sembra diventato più semplice, conveniente e carico di buchi di trama ed insensatezze. Il problema è che siamo solo alla terza puntata ed i colpi di scena sembrano non servire minimamente a riportare a galla lo show.

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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.

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