Negli anni ‘10 del 2000 molti show oggi comunemente indicati come “fondamentali” per uno spettatore medio o erano in fase di crescita, o stavano chiudendo il loro cerchio narrativo.
Homeland, Mad Men, Breaking Bad furono le ultime serie tv prima che il “cannibale” Game Of Thrones scendesse in campo e stravolgesse la concorrenza. Però, per dilazione temporale della produzione delle ultime stagioni, la serie HBO non ebbe la possibilità di candidarsi all’edizione degli Emmy del 2017.
Un’occasione ghiotta per chiunque: Better Call Saul (stagione 3), The Crown (stagione 1), House Of Cards (stagione 5), Stranger Things (stagione 1), This Is Us (stagione 1) e Westworld (stagione 1). Eppure a farsi strada, oltre che a vincere, fu The Handmaid’s Tale, prima vera serie tv di livello di Hulu, una piattaforma streaming nata circa 10 anni prima.
Una vittoria che ebbe del clamoroso. Ma che era totalmente giustificata da una prima stagione di pregevolissimo livello.
LA CRUDA REALTÀ DEI FATTI
Per tutti quelli che si aspettavano un finale di serie e di stagione approcciandosi a questo decimo episodio, guardate altrove. Guardate, e magari fermatevi, a “Executions” perché la puntata omonima dello show non ha più nulla da raccontare.
Altro non è, infatti, che un mero episodio interlocutorio in preparazione dello spin-off sequel già confermato da Hulu e già in produzione: The Testaments.
La visione di questi 60 minuti circa, quindi, non aggiunge altro allo show nato dal romanzo di Margaret Atwood, certo ci sono varie scene di commiato, ma la storia è pressoché conclusa e le ultime, concitate, evoluzioni narrative sono racchiuse tutte nel monologo iniziale di Elisabeth Moss dove (con voce fuori campo) racconta i fatti successivi al disastro aereo con cui si era concluso “Executions”.
Sintomatico di uno show che progressivamente si è perso, The Handmaid’s Tale cerca di chiudere il cerchio tornando lì dove tutto era iniziato, nella casa dei Waterford ormai sventrata dalle bombe. Ma la magia è completamente persa, come detto.
Anzi, mostrare le scene iniziali dello show e instillare la curiosità nel pubblico di riguardare rapidamente il primissimo episodio, significa rigirare il coltello nella piaga: la distanza tra pathos, timore e paura è siderale e metterle a confronto oggi fa accapponare la pelle.
E’ veramente rimasto questo, una sequela di primissimi piani fini a se stessi, di quell’incredibile show del 2017 che sembrava poter diventare una serie tv drammatica cardine all’interno della storia delle televisione americana?
MA QUINDI COSA VIENE MOSTRATO IN QUESTO DECIMO EPISODIO?
Se quindi non viene di fatto raccontato nulla in più rispetto al precedente episodio…cosa contiene questa decima puntata?
Molte cose, la maggioranza già note al pubblico o già viste/sentite nel corso delle precedenti stagioni.
Hannah è ancora scomparsa e June, come Luke, la sta ancora cercando.
June è rappresentata attraverso i consueti primissimi piani e alcuni dialoghi da vera bad ass, giusto per ricordare l’animo prorompente del personaggio.
C’è spazio anche per le scuse e i ringraziamenti: June-Serena (l’ennesimo), June-aunt Lydia (necessario perché quest’ultima è una delle protagoniste di The Testaments), June-Emily (tornata giusto per ricordare della sua presenza al pubblico), June-Janine (tratta in salvo per innominato motivo), June-Luke (che si lasciano, ma restano amici come è giusto che sia), June-Holly (un confronto tra madri reiterato).
Ma è un episodio ricolmo anche di ringraziamenti a Dio, che considerata la tematica dello show fanno comunque strano da sentir pronunciati da personaggi come June, catturata, stuprata e torturata in nome di un credo religioso.
La puntata assume la funzione di coro greco, quindi: riflessione, riordino delle idee e preparazione del terreno in vista dello spin-off. Nulla di più. E tutto assume i contorni di un’altra ora rubata al pubblico.
MEGLIO PUNTARE SU THE TESTAMENTS?
Prevedibilità narrativa, dialoghi scritti con lo stampino, ringraziamenti futili, scuse ancora più futili: il senso di questa puntata non viene minimamente percepito se si tiene in considerazione il solo The Handmaid’s Tale.
Si potrebbe forse anche soprassedere se la stagione, nella sua totalità, fosse stata in grado di risollevare il livello narrativo. Ma questa puntata rappresenta la fantomatica ciliegina su una bella torta di sgradevole odore: sottotrame annullate, spostamenti tra Gilead e Canada che ricordano i bei vecchi tempi delle ultime stagioni di Game Of Thrones, personaggi che tradiscono e si sacrificano in maniera arbitraria, buchi di trama e deus ex machina per ogni evenienza. Un buco nell’acqua, c’è ben poco da aggiungere. Forse The Testaments riuscirà ad essere uno spin off migliore della serie originale? Considerate le premesse i dubbi sono molti, ma ora la vera domanda è solo una: il pubblico di The Handmaid’s Tale, dopo 8 anni di manfrina narrativa, si sente emotivamente e psicologicamente pronto a sottoporsi a (probabilmente) altri anni di questo tipo?
Se la risposta è sì: buona fortuna e buona visione.
Se la risposta è no: tranquilli, non vi giudichiamo, anzi capiamo benissimo il vostro cruccio.
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Un finale che non è un finale per uno show che si è perso molto durante questi otto anni di messa in scena. Tutti collegati per The Testaments ora, giusto?
