Nelle serie che hanno costruito la propria identità intorno alla fragilità del potere, al peso delle verità scomode e alla tensione etica dell’ambiente mediatico, arriva sempre un momento in cui l’ambizione implode su se stessa. The Morning Show giunge a questo punto di rottura in “If Then”, in cui il racconto si concentra quasi interamente su Stella Bak, figura chiave del nuovo corso di UBN e simbolo di un potere conquistato a prezzo di compromessi irreversibili. Dopo stagioni dominate dalla dialettica tra Alex Levy, Bradley Jackson e Cory Ellison, la serie decide di sospendere il consueto gioco di specchi e di rivolgere il proprio sguardo verso una donna che incarna, in maniera drammatica, il fallimento del sogno meritocratico.
SE, UN UOMO, DI RAZZA BIANCA CAUCASICA…
Il mondo digitale e il linguaggio della tecnologia si trasformano qui in metafora del collasso morale. L’intelligenza artificiale su cui Stella ha puntato tutto diventa non soltanto un dispositivo narrativo, ma la personificazione di una hybris che, come spesso accade, si autodistrugge. Il racconto si apre con la protagonista in aeroporto, accompagnata da una voce fuori campo che espone un monologo denso di simbolismi informatici e introspezione esistenziale: l’idea che l’ordine si fondi sulla prevedibilità degli algoritmi, ma che basti spostare un elemento perché tutto precipiti nel caos. È la dichiarazione programmatica di un episodio che assume la forma di un’equazione impazzita, dove logica e sentimento si confondono fino a rendere indistinguibile la linea di confine tra il successo e la perdita di se stessi.
L’episodio, scritto e diretto con l’evidente intenzione di focalizzarsi sull’introspezione, tenta di offrire una radiografia morale del potere femminile all’interno di un sistema strutturalmente bianco e maschile. Stella, prima CEO asiatica di una grande rete d’informazione, si trova a dover gestire un progetto tecnologico fallimentare e un dilemma etico che mina la sua stessa integrità. Il confronto con Mia, uno dei momenti più tesi e significativi della puntata, mette a nudo la contraddizione interna al personaggio: la donna che aveva promesso di “fare le cose diversamente” è ora accusata di aver replicato i medesimi meccanismi di esclusione che un tempo aveva combattuto. In quell’accusa – “Here you are, surrounded by white people and stepping on women of color to stay in that chair. You’re not one of us.” – si condensa così il giudizio morale che la serie rivolge non solo a Stella, ma al sistema che l’ha formata.
D.A. – DEFICIENZA ARTIFICIALE
Greta Lee, tuttavia, riesce a conferire profondità e misura a una scrittura che in più di un’occasione rischia di scadere nel didascalico. La sua interpretazione è un esercizio di vulnerabilità controllata, di dolore trattenuto e di lucidità intellettuale che progressivamente si disgrega. Ogni esitazione, ogni sguardo rivolto al vuoto, traduce l’impossibilità di conciliare ambizione e identità, desiderio di legittimazione e consapevolezza del fallimento. Quando, nel momento più drammatico, il suo alter ego digitale inizia a ripetere frasi estrapolate dalle sue confessioni più intime – “I’m racist and sexist, and I stepped over people who look like me to get where I am.” – l’episodio raggiunge il suo picco di crudeltà simbolica, con l’immagine di un sistema che, privo di qualsivoglia empatia, trasforma la vulnerabilità umana in materiale di pubblico ludibrio.
A differenza di altri episodi più dinamici, “If Then” sacrifica il respiro corale della serie in favore di un monologo esteso, spesso didascalico, che accompagna Stella nella sua discesa morale. Il risultato è un racconto che, pur emotivamente coinvolgente, risulta sbilanciato nella gestione della voce interiore; la narrazione tende a spiegare anziché mostrare, rendendo eccessivamente espliciti i conflitti che sarebbero potuti emergere attraverso il solo linguaggio dell’immagine e del silenzio.
Inoltre, l’idea di far collassare il destino di Stella attraverso il dispositivo dell’intelligenza artificiale è tanto affascinante quanto problematica. Se da un lato offre un commento efficace sulla progressiva disumanizzazione del potere mediatico e sull’illusione dell’autenticità digitale, dall’altro introduce un elemento di prevedibilità che smorza l’impatto drammatico. Lo spettatore intuisce fin dall’inizio che l’IA, descritta come instabile, finirà per tradire la propria creatrice e, in tal senso, l’episodio indulge in un’eccessiva esposizione anticipata del disastro, rendendo la catarsi finale più inevitabile che sorprendente.
È FERNUTA ‘A ZEZZENELLA!
Dal punto di vista tematico, “If Then” tenta di coniugare l’introspezione psicologica con una riflessione sociopolitica sul potere delle minoranze all’interno dei sistemi corporate. Tuttavia, il discorso si fa spesso ridondante, reiterando concetti già esplorati in precedenti stagioni: l’illusione della diversità come strumento di marketing, la fatica del femminile nel conquistare spazi reali di autonomia, la corruzione morale che accompagna ogni ascesa e così via. Ciò che differenzia Stella dagli altri protagonisti è la consapevolezza della propria colpa, una lucidità che la porta non tanto alla redenzione quanto a un’inevitabile resa.
Il momento conclusivo, con la protagonista che sale su un aereo diretta a Napoli, suggella con tono malinconico la fine di un percorso professionale e umano. La sua fuga non ha il sapore della liberazione, ma quello della resa dignitosa di chi comprende di non poter più appartenere al mondo che ha contribuito a edificare.
La sceneggiatura alterna momenti di grande intensità a passaggi più faticosi, dove la ripetizione dei temi e la verbosità del voice-over rallentano il ritmo. È qui che si avverte con maggiore evidenza la distanza tra le ambizioni autoriali e la resa complessiva. L’episodio mira a essere un ritratto spietato della corruzione etica, ma talvolta si perde in spiegazioni superflue e in una retorica dell’autocoscienza che toglie spazio all’emozione.
Sul piano corale, l’episodio indebolisce la presenza degli altri protagonisti, relegati a ruoli marginali o funzionali alla parabola di Stella. Celine Dumont emerge come figura manipolatrice e fredda, ma priva di un reale spessore emotivo; Cory e Alex restano sullo sfondo, quasi simboli di un mondo in cui la rotazione del potere non produce mai rinnovamento, ma solo sostituzione di volti, e tale scelta narrativa, seppur coerente con il focus monografico della puntata, finisce per accentuare una certa monotonia strutturale.
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“If Then” rappresenta un episodio cruciale per The Morning Show, ma non riesce a raggiungere l’equilibrio tra ambizione tematica e solidità drammatica. Pur privo della compattezza dei momenti migliori della serie, l’episodio riesce, grazie alla sua protagonista, a trasformare una caduta personale in un atto di verità. L’uscita di scena di Stella Bak segna la fine di un arco narrativo intenso ma irregolare, in cui l’eccellenza attoriale di Greta Lee emerge come unico elemento di autentica grandezza.
