The Pitt ha iniziato a far discutere ancor prima della messa in onda.
Quando, infatti, si è saputo del varo di una nuova serie medica, scritta e prodotta da R. Scott Gemmill, con Noah Wyle come protagonista, la famiglia di Michael Crichton ha subito fatto causa.
L’accusa era di plagio nei confronti di E.R., l’ormai storico medical drama tratto da un libro di Crichton, sceneggiato da Gemmill, che vedeva tra i protagonisti proprio Noah Wyle, nel ruolo del dottor John Carter.
La giustizia ha dato torto alla famiglia Crichton, come si deduce dalla messa in onda di The Pitt su HBO Max. In effetti, le differenze fra le due serie ci sono e sono marcate, come si procederà subito ad analizzare.
Non è solo questione di cambiare città, da Chicago a Pittsburgh.
UN’ORDINARIA GIORNATA DI LAVORO
La serie si divide in 15 puntate, ognuna delle quali rappresenta, praticamente in tempo reale, un’ora di un turno di servizio per medici e infermieri del Pittsburgh Trauma Center. Non ci sono gli split screen di 24, ma ugualmente i personaggi e lo spettatore non hanno un attimo di tregua.
I casi da seguire si susseguono a ritmo incalzante, come se non bastasse è mattina presto, quindi arriva sempre qualche anziano dalle case di riposo a sovraffollare ulteriormente la zona triage.
Tra i membri del personale, alcuni suggeriscono di essere portatori di una trama orizzontale potenzialmente interessante: ad esempio, si vorrebbe capire perché la dottoressa McKay (Fiona Dourif) abbia il braccialetto elettronico alla caviglia, oppure di chi sia incinta la dottoressa Evans. Fiona Dourif, oltre al già citato Noah Wyle, è forse l’unico volto già noto al vasto pubblico, essendo apparsa in diversi episodi di The Blacklist.
Non mancano poi gli specializzandi appena arrivati, necessari per portare un tocco di freschezza e simpatia con cui stemperare i momenti più duri.
Perché nella serie l’ironia non manca, ma a volte si tinge anche di toni drammatici.
IL SISTEMA SANITARIO STATUNITENSE
Il sarcasmo emerge soprattutto nei dialoghi fra il responsabile di Pronto Soccorso, dottor “Robby” Robinavitch (Noah Wyle) e la responsabile amministrativa, Gloria. Lei non è certo la raffinata e compassionevole signora Sharon Goodwin di Chicago Med, ma neanche l’ospedale in cui lo show è ambientato è un MediCenter ben attrezzato e generosamente finanziato.
The Pitt non è solo l’abbreviazione di Pittsburgh, ma significa anche qualcosa come “La depressione”, “Lo sprofondo”.
Lo showrunner R. Scott Gemmill ha dichiarato apertamente di aver concepito il prodotto con l’intenzione di puntare i riflettori su problemi e difetti del sistema sanitario americano. Primo fra tutti, il problema dell’assicurazione medica, vecchia questione a stelle e strisce di cui non si intravede una soluzione. Chi non ce l’ha è destinato a morire abbandonato sul marciapiede.
Questo, certo, non impedisce agli operatori sanitari di agire con competenza professionale e calore umano. In questo, il dottor Robby è una guida sicura per tutti, anche se porta dentro il profondo dolore per la scomparsa del suo mentore a causa del Covid.
LA SITUAZIONE NON È BUONA
Forse è proprio il clima generale, in sottofondo alle singole vicende, a segnare la differenza più marcata fra E.R. e The Pitt.
I clochard da aiutare restano sempre quelli, le sparatorie e gli incidenti idem, ma la situazione non è buona. Medici e infermieri del Pittsburgh Trauma Center affrontano la loro giornata di lavoro in modo molto meno pimpante e positivo rispetto a quelli del Cook County General. E dire che nel 1994, quando andò in onda il pilot di E.R., la gente l’aveva già capito che nel 2000 l’umanità non sarebbe andata a vivere sulla Luna. Però, magari, c’era ancora una qualche speranza nella magica cifra tonda come spartiacque fra gli orrori del Novecento e un nuovo futuro più positivo. Speranze totalmente deluse.
La pandemia da Covid certo non ha aiutato a risollevare gli animi.
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Per fortuna, lo spettatore non ha tempo per malinconiche riflessioni: chi guarda è subito coinvolto e risucchiato in un vortice dove le emergenze si alternano alle questioni personali e ai momenti buffi senza soluzione di continuità.
Il concept secondo cui è scandita la serie, cioè un episodio = un ora di turno, si rivela interessante. Per questo, almeno per ora, lo show si merita un ringraziamento, al di là dell’avere riportato Noah Wyle in corsia per rendere di nuovo il mondo un posto migliore.
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Casalingoide piemontarda di mezza età, abita da sempre in campagna, ma non fatevi ingannare dai suoi modi stile Nonna Papera. Per lei recensire è come coltivare un orticello di prodotti bio (perché ci mette dentro tutto; le lezioni di inglese, greco e latino al liceo, i viaggi in giro per il mondo, i cartoni animati anni '70 - '80, l'oratorio, la fantascienza, anni di esperienza coi giornali locali, il suo spietato amore per James Spader ...) con finalità nutraceutica, perché guardare film e serie tv è cosa da fare con la stessa cura con cui si sceglie cosa mangiare (ad esempio, deve evitare di eccedere col prodotto italiano a cui è leggermente intollerante).