Ci sono serie che, nonostante un più consistente minutaggio, non riescono minimamente ad avvicinarsi all’obiettivo prestabilito (qualcuno ha detto Invasion?). E poi ci sono serie che, in appena tre episodi, riescono a consegnare agli spettatori una storia completa, organica e dall’altissimo impatto emotivo.
Dopo la riuscita della prima stagione, Time non solo si conferma ma addirittura alza l’asticella, consegnando tre episodi assolutamente perfetti. Un lavoro di sceneggiatura, regia e recitazione da contemplare ed ammirare, con la consapevolezza che esistono ancora prodotti con un grado di storytelling capaci di distruggere ed emozionare rimanendo fedeli alla loro storia.
ACCETTAZIONE
In “Episode 2”, mentre venivano portate avanti le trame dei personaggi di Orla (Jodie Whittaker) e Kelsey (Bella Ramsey), veniva un po’ lasciato in secondo piano il character di Abi (Tamara Lawrance). Una scelta ben ponderata da parte degli autori e che non è sembrata strana neanche agli spettatori. Abi, infatti, era sicuramente il personaggio con il background più “pesante” e, allo stesso tempo, solamente accennato. Sembrava quindi naturale aspettarsi un ultimo episodio incentrato sulla sua storia e il risultato non ha di certo deluso.
Guidato da un’eccellente Tamara Lawrance, Time decide di raccontare la depressione post-partum attraverso un racconto tremendamente minuzioso che sbatte in faccia l’immensa tragedia consumatasi sotto più punti di vista. Dall’assenza del marito, alla totale sopraffazione che sfocia presto in esasperazione e depressione. Il tutto fino all’agghiacciante momento dell’omicidio. Persino il successivo tentativo di suicidio viene mostrato in scena con una coerenza di sensazioni che portano ad immergersi totalmente nei panni di questa donna. Un turbinio di atroci emozioni sviscerate con una semplicità di sceneggiatura quasi disarmante, per un risultato encomiabile.
Il finale di Abi non porta certo con sé perdono o speranza, ma quell’accettazione del dolore che, probabilmente, era l’unica cosa a cui il personaggio poteva ormai aspirare.
SPERANZA
Tutt’altra sensazione invece è quella che si percepisce verso i percorsi di Kelsey e Orla. Seppur entrambe lasciano con una dose di speranza, la gestione delle storyline risulta diversa a causa del messaggio differente che queste vogliono lasciare.
Orla, dopo un maggiore focus ottenuto negli altri episodi, viene messa in secondo piano nel finale, ma non prima di aver confezionato un altro importante messaggio. Con lei, infatti, la serie ha voluto mettere il focus sulle difficoltà nel riuscire a sopravvivere senza alcun sistema di supporto. E la scarcerazione ne è l’ennesima prova, “riconsegnata” alla strada senza neanche un tetto sopra la testa, tanto meno la possibilità di un aiuto nel riavere i propri figli.
Una prospettiva migliore sembra invece essere destinata per Kelsey. La parabola di quest’ultimo episodio ha tenuto lo spettatore con il fiato sospeso per il coinvolgimento emotivo che si è subito sviluppato con le protagoniste. Vedere Kelsey riuscire a staccarsi dalla sua relazione tossica e procedere con la scelta giusta sia dal punto di vista giudiziario che personale, è stato un percorso di crescita delicato e ad alto tasso emotivo.
TIME A CARATTERE ANTOLOGICO: ESPERIMENTO RIUSCITO
La riuscita di Time risulta ancora più sorprendente se si pensa che la parabola (prima discendente e poi, in un modo o nell’altro, in risalita) di queste donne è avvenuta in soli tre episodi. I dubbi che potevano sorgere al momento del rinnovo per una seconda stagione sono stati infatti confutati da appena tre ore di narrazione. La scelta di trasformare Time in una serie a carattere antologico si è rivelata vincente, per uno show che è riuscito a trasmettere uno stesso messaggio di fondo ma con un’ambientazione diversa e, soprattutto, con protagoniste che, in uno stesso difficile contesto, hanno esplorato tre universi sociali ed emotivi opposti arrivando comunque insieme al cuore dello spettatore.
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Appena tre episodi per colpire nel segno. Eccola l’arte delle serie tv.
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Nata con la passione per telefilm e libri, cresciuta con quella per la scrittura. Unirle è sembrata la cosa più naturale. Allegra e socievole finché non trova qualcosa fuori posto, il disordine non è infatti contemplato.
Tra una mania e l'altra, si fa carico di un'estenuante sensibilità che la porta a tifare per lo sfigato di turno tra i personaggi cui si appassiona: per dirla alla Tyrion Lannister, ha un debole per “cripples, bastards and broken things”.