“This is how our people face death. We walk to the tundra, underneath the sky, and we face death by ourselves. Even the Elders, old, feeble, and minds like children, somehow, they know when the time is near. I suppose I’ll know when it is time.” (Lily H. Tuzroyluke, Sivulliq: Ancestor)
In True Detective, l’ambientazione è da sempre uno degli elementi fondamentali dello show. Scegliere di far svolgere gli eventi in una determinata città, con un certo paesaggio e con una certa comunità non è affatto casuale. Al contrario, nei momenti di rallentamento narrativo, sarà proprio il centro abitato – inteso come un’entità olistica – a venire in soccorso degli sceneggiatori e degli spettatori, fornendo spunti e input che permettono di arricchire il racconto. Nei primi 3 episodi dell’attuale stagione, questo fattore sembra essere ancora più evidente. La città di Ennis è infatti il fulcro centrale della storia. Un luogo in cui il buio si riflette nell’animo di chi vi abita.
ANNIE KOWTOK
In linea con la puntata precedente, anche questo episodio decide di non alzare il ritmo, continuando dunque con una narrazione abbastanza compassata. L’obiettivo, probabilmente, è quello di far entrare lo spettatore pienamente nel mondo in cui si muovono i protagonisti. Una città in cui è sempre notte, dove l’unica attività commerciale ancora esistente è anche la causa delle malattie e delle sofferenze degli abitanti.
In questa situazione di buio, lo show racconta il personaggio di Annie Kowtok come un faro di luce, una figura che cercava di dare un futuro alla comunità di Ennis. Nei primi due episodi, queste attività erano solo raccontate oralmente da altri personaggi. Al contrario, il cold opening di questa puntata la mostra attiva nell’aiutare una donna Inupiat a partorire. Una metafora – neanche troppo velata – sul suo impegno sociale per la prosperità a lungo termine.
Sebbene le vittime della Tsalal siano provenienti dai quattro angoli del mondo, la radice del loro omicidio è locale e va ricercata nei fattori che portarono al brutale assassinio dell’attivista. L’approfondimento sulla figura di Annie Kowtok è dunque molto importante ai fini dell’avanzamento della storyline principale.
LA CITTÀ DI ENNIS
Pur senza avere particolari attività divinatorie, è possibile sostenere con una certa confidenza che Ennis non sia une bella città in cui vivere. Per di più, appare alquanto evidente che ben pochi degli abitanti siano felici di vivere proprio lì, e non altrove, in un’altra parte degli Stati Uniti (o del globo).
Oltre alla depressione economica e al pervasivo inquinamento, Ennis è anche una città che vede una forte tensione tra la comunità Inupiat e gli altri abitanti. In questa puntata, il personaggio interpretato da Jodie Foster incarna fortemente questo scontro.
Liz Danvers è fin troppo esplicita nel suo scherno nei confronti delle tradizioni dei Nativi dell’Alaska. Al di là delle battute – non particolarmente brillanti – rivolte contro l’agente Navarro, occorre sottolineare la sua reazione molto rabbiosa quando ha notato un temporaneo tatuaggio tradizionale kakiniit sul mento di Leah. Considerando che il padre di Leah era un uomo Inupiat, l’evidente insofferenza di Danvers nei confronti di quella comunità può essere il preludio a un approfondimento sul suo passato. Sembra, in altre parole, un comportamento troppo esplicito per essere casuale.
LE INDAGINI
Dal punto di vista delle indagini, l’episodio non ha registrato particolari avanzamenti. Quello che è possibile notare, fino ad ora, è che l’omicidio plurimo sembra quasi essere un elemento di contorno. Pur rappresentando l’evento che ha innescato la reazione a catena oggetto di questa stagione, il focus narrativo non si concentra molto sull’aspetto investigativo in senso stretto.
Non a caso, dopo quasi 48 ore dal ritrovamento dei cadaveri, l’unica pista della polizia riguarda il tatuaggio a spirale di Annie Kowtok e di Raymond Clarke. Questa scelta non è necessariamente negativa, in quanto non tutti i polizieschi devono necessariamente essere delle rivisitazioni delle indagini di Sherlock Holmes. Tuttavia, al tempo stesso, la stasi narrativa può influire negativamente sulla visione dello spettatore. Una volta appurate le tensioni nella comunità e il senso di oppressione e oscurità che avvolge – sia realmente che metaforicamente – la città, che cosa rimane da raccontare?
Un’ipotesi potrebbe essere la scelta di abbracciare pienamente il filone soprannaturale, attribuendo dunque la morte degli scienziati a cause afferenti alla fantascienza. Pur ritenendo apprezzabili gli ammiccamenti che lo show ha da sempre fatto a quel mondo – si pensi alla spirale – i pressanti riferimenti agli spiriti non possono essere l’elemento cardine di True Detective. Occorre dunque trovare un giusto bilanciamento tra le varie anime di questa stagione, al fine di riportare la serie ai livelli che merita.
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Una puntata sicuramente sufficiente, ma il cui giudizio è negativamente influenzato da un’eccessiva stasi narrativa.
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Romano, studente di scienze politiche, appassionato di serie tv crime. Più il mistero è intricato, meglio è. Cerco di dimenticare di essere anche tifoso della Roma.