La “Parte 5” della miniserie firmata dal duo Pelicanos-Simon entra fin da subito nel vivo con il primo interrogatorio in cui viene finalmente decretata l’indagine su Jenkins e soci.
Un’indagine mostrata nei minimi particolari, senza tralasciare anche i momenti più quotidiani e banali, cosa che può succedere solo in questo show e non in altri crime-drama simili.
Una scelta stilistica che può essere apprezzata o meno ma che senza dubbio rivela un grande percorso di ricerca pre-scrittura. Si può dire che questo sia il pregio ma anche il difetto principale dello show, che vuole certamente porsi come qualcosa di a sé stante rispetto al resto della serialità, cercando un delicato equilibrio fra una sorta di docu-fiction e un normale police procedural.
PAROLE, PAROLE, PAROLE…
Con la classica sturttura “a flashback” che la caratterizza, infatti, anche questa “Part Five” si muove fra passato, presente e futuro dell’indagine sulla Gun Trace Task Force mostrando, di volta in volta, i vari protagonisti della vicenda e le loro azioni, spesso contrapposte con quanto appena rivelato agli investigatori.
Questo continuo gioco di detto-non detto però funziona molto bene solo con alcuni personaggi rispetto agli altri. Ovviamente, fra tutti, spiccano Wayne Jenkins (Jon Bernthal) e Sean Suiter (Jamie Hector). Quest’ultimo, un character spesso passato in secondo piano nei precedenti episodi, diventa protagonista di parecchie scene interessanti (una su tutte il confronto con un anziano residente di Baltimora) nonché dell’ultima scena dell’episodio, in cui è costretto a fare i conti con la propria coscienza allo specchio.
Questi sono i due momenti veramente intensi di tutta questa “Part Five”. Per il resto la narrazione non rivela nulla di quanto già lo spettatore non sappia e, a dire il vero, troppi dialoghi ed interrogatori hanno solo l’effetto di disorientare fin troppo lo spettatore senza una chiara visione generale di quanto stia succedendo.
POLIZIOTTI BUONI E POLIZIOTTI CATTIVI
Il vero problema dello show è il fatto di lasciare tutte le parti più interessanti (leggasi “d’azione”) ai membri della Task Force. Da un lato questo accento sulle loro azioni ne acuisce l’antipatia, aiutata dal fatto che tutti gli attori sono character ben noti come villain più che come protagonisti positivi. Dall’altra parte però li rende anche, in un certo senso “simpatici”.
Il che non ci vuole molto considerando che, dall’altra parte, i poliziotti che dovrebbero indagare sulle “malefatte” della Task Force appaiono quanto mai freddi e distanti rispetto alla propria indagine.
A parte tutta la storyline legata all’avvocatessa Nicole Steele (Wunmi Mosaku, vera rivelazione dello show), il duo composto dai detective Erika Jensen (Dagmara Dominczyk) e John Sieracky (Don Harvey) appare abbastanza fissato nel cliché da buddy movie degli agenti perennemente cinici e sarcastici. Forse anche un po’ troppo considerando lo humour fuori luogo dell’agente Jensen e la strana scena del clarinetto che dovrebbe (forse) nelle intenzioni degli autori rendere tali character più “umani”, ma che ha il solo effetto di renderli più stranianti, quasi uscissero da una serie di David Lynch.
CRIME DRAMA D’AUTORE
Si tratta di uno stile di scrittura che va “in crescendo”, per cui bisogna avere una discreta pazienza ed un certo gusto per la psicologica cognitiva per poter apprezzare a fondo lo show. D’altra parte di tratta pur sempre di un prodotto HBO, un canale che ha abituato gli spettatori a serie dai contenuti decisamente sperimentali e ricercati.
Anche questo We Own This City rientra in tale categoria, per cui non è decisamente uno show adatto a tutti, almeno non al pubblico mainstream.
Va detto però che l’ultima parte, con la condanna iniziale dei poliziotti e la successiva conferenza stampa (impreziosita proprio dall’espressione tesa di Suitier), basta ed avanza come motivo per procedere nella visione di questo crime drama d’autore. La qualità c’è indubbiamente ma bisogna anche vedere come lo show riuscirà a rendersi più “pop” per riuscire a mantenere salda tale attenzione.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Prosegue l’indagine degli affari interni americani contro la Gun Trace Task Force. E si avvicina il finale di stagione, con gli affari della “banda” che vengono fuori. Eppure gli sceneggiatori continuano a tenere tutto con il freno a mano tirato. Scelta giusta o sbagliata? Purtroppo solo la prossima puntata (ed ultima) saprà confermarlo o meno.
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Laureato presso l'Università di Bologna in "Cinema, televisione e produzioni multimediali". Nella vita scrive e recensisce riguardo ogni cosa che gli capita guidato dalle sue numerose personalità multiple tra cui un innocuo amico immaginario chiamato Tyler Durden!