La nuova miniserie targata HBO è giunta al giro di boa e, al momento, solo una cosa è certa: We Own This City, ideata dal duo Pelecanos-Simon, non è la serie che si sperava.
Con questo non si vuole screditare un prodotto televisivo che, oggettivamente, risulta essere per certi versi più che gradevole ed intrigante, tuttavia, le aspettative erano decisamente più alte, forse addirittura esagerate, ma: la coppia di creatori, i protagonisti, la produzione ed il cast facevano presagire qualcosa di più grande. Fatto che certifica che non è sempre tutto oro ciò che luccica e che realizzare trailer accattivanti è quasi un’arte.
“Hang on, let me finish. You know, we could’ve died today, right? Walk into that shop motherfucking heads blown off. That risk sure as shit ain’t worth what I bring home every two weeks, man. Fuck that. My babies can’t eat no fucking medal, Sean. A folded flag because I take a bullet for a city that don’t give two fucks about us. What do we do this for? This is a lot.”
A TRUE STORY OF CRIME
Nonostante si sia giunti al terzo episodio non si può che continuare ad apprezzare la sigla di apertura dello show che rimane imprescindibile per la visione della serie. Una intro forte, tagliente ed emozionante che prepara ogni volta psicologicamente lo spettatore alle dure immagini che vedrà. Infatti, al contrario della grande maggioranza delle opening, non vengono presentati i protagonisti misti a scene della serie, il focus è interamente dedicato alla vera protagonista del racconto: la città di Baltimora e le ingiustizie che la permangono.
Nonostante lo show di Pelecanos-Simon non sia perfetto, viene dato atto che riesce a fare qualcosa che è tutt’altro che semplice, partendo proprio dalla citata sigla: coinvolgere emotivamente il pubblico. Per ogni ora di puntata più e più volte si viene colpiti allo stomaco provando un senso di rabbia e disgusto verso i poliziotti protagonisti. Le ingiustizie e le angherie risultano insopportabili, così come il comportamento della Gun Trace Task Force. Ci si immedesima nei cittadini e si prova un senso di impotenza e terrore ogni qual volta che si vedono delle sirene lampeggiare.
Questo accade in quanto le vicende vengono costruite in modo lento e dettagliato, probabilmente per dare l’impressione più reale possibile dello svolgimento degli eventi, infatti, con molta lentezza, i nomi dei vari e numerosi character iniziano ad essere associati a dei volti e a dei comportamenti ben precisi.
La costruzione dei protagonisti si può dire ottima, in quanto sono ben raccontati, eppure un numero minore di personaggi coinvolti avrebbe aiutato maggiormente alla comprensione degli eventi, anche se è intuibile il motivo di tale scelta, cioè rappresentare il complesso e intrecciato decadimento della polizia di Baltimora.
NEL MEZZO DELLA TEMPESTA
Non è una metafora per parlare della vicenda, bensì per discutere del trattamento riservato al pubblico che, come accennato poc’anzi, viene catapultato in una miriade di eventi e personaggi. Nelle scorse recensioni si è discusso della difficoltà di seguire gli eventi, cosa che non è cambiata nemmeno in “Part Three”. Solo con la forza di volontà del pubblico si può considerare migliore dei due appuntamenti precedenti, in quanto in quasi 180 minuti di episodi si sono assimilati i concetti fondamentali. Ecco che si ha acquisito familiarità con il viaggio negli inferi di Jenkins (interpretato da uno strepitoso Jon Bernthal), così come l’assurda glorificazione di Hersl. Si riesce ad apprezzare l’approfondito su Suiter e il cliffhanger del suo background, così come il minuzioso lavoro dell’FBI che diventa sempre più complesso ed importante.
Tutto molto bello ed interessante, ma con soli sei episodi a disposizione, la sensazione è di essere un punching ball. Difatti si inizia a pensare che la scelta di optare per sei puntata sia stata azzardata e probabilmente con qualche episodio in più l’effetto sarebbe stato quello che ci si aspettava nel trailer. Ci sono ancora altri tre capitoli a disposizione per We Own This City per migliorare, anche se il treno per essere una delle migliori serie del 2022 oramai è stato perso.
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Giunti a metà dell’opera, We Own This City ha ancora molto altro da raccontare sperando di abbandonare il Save Them All.
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Detto anche Calendario Umano, si aggira nel sottobosco dei prodotti televisivi e cinematografici per trovare le migliori serie e i migliori film da recensire. Papà del RecenUpdate e Genitore 2 dei RecenAwards, entra in tackle in pochi ma accurati show per sfogarsi e dire la propria quando nessuno ne sente il bisogno.