“But it’s written in the starlight and every line in your palm/ We’re fools to make war on our brothers in arms.” (Dire Straits-Brothers In Arm)
Con START, decimo episodio di una sesta stagione perfetta, si conclude il meraviglioso spy thriller creato da Weisberg e Fields, ambientato negli Stati Uniti durante la Guerra Fredda. Questi settanta minuti finali sono segnati dalla voce di Mark Knopfler, cantante dei Dire Straits, che con la loro “Brothers in Arms” accompagnano lo spettatore nei momenti più struggenti della puntata. Uno show mai banale che ha tenuto il colpo di scena più atteso per il gran finale, sviluppando la narrazione in modo peculiare, senza addentrarsi eccessivamente nei dettagli ma, allo stesso tempo, spiegando tutto tramite poche ma importanti immagini simboliche.
Sono due i grandi eventi che fanno da contorno alla storia, sia a livello politico che a livello simbolico: i trattati di pace tra Gorbachev e Bush senior e l’incredibile arrivo di McDonald’s in Russia. Infatti il 31 luglio 1991 Mikhail Gorbachev e George H.W. Bush firmarono lo Strategic Arms Reduction Treaty (START), l’accordo internazionale per la riduzione delle armi nucleari. Cinque mesi dopo ci fu il crollo dell’Unione Sovietica, anche se simbolicamente era già venuta meno con il crollo del muro di Berlino del 1989. Nel frattempo, il 31 gennaio 1990, il primo McDonald’s aveva aperto a Pushkin Square a Mosca, l’inizio della fine di un’era. Alcune immagini e dialoghi dell’episodio fanno riferimento a questi particolari eventi senza tuttavia nominarli mai, visto che la narrazione si concentra esclusivamente sulla vita, ormai stravolta, della famiglia Jennings, preferendo un’impostazione più familiare ed intima rispetto agli scenari internazionali della Guerra Fredda.
Per i coniugi Jennings la prima grande tragedia si realizza nell’abbandono di Henry, in un episodio privo di violenza ma basato esclusivamente su sguardi e dialoghi, con il ruolo di Stan che viene magistralmente invertito da temibile pericolo ad ancora di salvezza e unica opportunità di fuga, privilegiando le relazioni umane sviluppatesi negli anni ai doveri che ambo le parti devono seguire per servire lealmente i propri Paesi. Un character, quello dell’agente Beeman, che ha avuto diverse relazioni ambigue con personaggi del calibro di Nina, Marta ed infine Oleg ed è destinato a continuare questa tradizione visto l’irrisolto enigma riguardante la vera identità di Renee. Non è un caso, allora, che Il cuore dell’episodio si concentri intorno alla lunga e tesissima sequenza del garage, un confronto atteso da 74 episodi e che si conclude in modo del tutto inaspettato: un lungo dialogo di ben dodici minuti in cui, per la prima volta, i personaggi principali della serie lasciano cadere le rispettive maschere e iniziano a parlarsi senza alcun filtro. Infatti, il rapporto costruitosi negli anni tra Stan e Philip ha creato tra i due uomini un legame sincero ed indissolubile, ultimo barlume di felicità per Mischa. Un uomo psicologicamente distrutto, alle prese con il fallimento della sua agenzia di viaggio e la constatazione di una profonda sofferenza, dovuta ai suoi sentimenti ambivalenti circa la sua lealtà alla Russia, ed una non troppo celata ammirazione della società americana.
Gli stati d’animo dei personaggi vengono descritti egregiamente senza l’utilizzo di dialoghi: la tristezza e il senso di smarrimento di Stan, Philip che guarda sconsolato una famiglia americana che cena da Mc Donald, emblema di un’unità familiare ormai persa, i traumi passati e presenti di Elizabeth, la decisione di Paige di rimanere negli Stati Uniti, il tutto viene narrativamente sviluppato senza parole e con in sottofondo una delle canzoni più famose degli U2, “With or Without You”. Dopo una nona puntata che si è contraddistinta per i numerosi colpi di scena e cambiamenti di fronte, la famiglia Jennings viene infine distrutta e separata, ma Philip ed Elizabeth rimangono insieme e tornano in Russia, scossi ma in qualche modo ancora uniti. Mischa e Nadezhda sono salvi ma completamenti soli, in un luogo che vent’anni prima chiamavano casa, ma che ora gli appare sconosciuto.
Una complessità narrativa che unita ad eccelse interpretazioni dei vari componenti del cast, hanno fatto si che The Americans in questi anni sia stato un prodotto difficilmente raggiungibile qualitativamente parlando. Menzione speciale meritano gli autori, i quali attraverso una scrittura ed una messa in scena lenta ma complessa ed equilibrata, non hanno mai perso la loro eleganza, privilegiando la complicata dimensione famigliare dei Jennings agli importati eventi internazionali, presenti sì ma sempre sullo sfondo e anzi spesso utilizzati per l’evoluzione dei diversi personaggi. Non sarebbe giusto parlare di finale aperto, nonostante molte questioni non vengano spiegate ne narrativamente concluse, ma globalmente ogni aspetto dell’intricato mosaico sviluppatosi nelle precedenti cinque stagioni trova un giusta collocazione. Uno show che anche in questa ultima stagione ha mantenuto il suo stile, senza forzare gli eventi e i tempi di narrazione, privilegiando l’introspezione psicologica alle scene di azione. E’ proprio questo il grande merito della serie targata FX, la quale nonostante le tematiche affrontate non è mai scaduta nella violenza fine a se stessa, ma al contrario ha ricercato sempre una profondità narrativa e psicologica che ne fanno una delle migliori serie dell’ultimo decennio.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Jennings,Elizabeth 6×09 | 0.73 milioni – 0.2 rating |
START 6×10 | 0.92 milioni – 0.2 rating |
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Venera due antiche divinità: Sergio Leone e Gian Maria Volontè.
Lostiano intransigente, zerocalcariano, il suo spirito guida è un mix tra Alessandro Barbero e Franco Battiato.