Senza scrupoli, arroganti, devoti solo al denaro e alla fama: questi sono i supereroi nati dalla penna di Garth Ennis e dalle matite di Darick Robertson, ora approdati nel piccolo schermo grazie ad Amazon ed Eric Kripke (già padre di Supernatural) con l’attenta supervisione del duo Seth Rogen ed Evan Goldberg, già dietro l’altro progetto di Ennis più noto con il nome di Preacher. La trasposizione, sulla carta, poteva essere fatta già anni fa ma, come è stato già possibile appurare, non è così facile adattare un fumetto basato su stupri, violenze sessuali e sangue gratuito, specie su canali generalisti come ABC o The CW. Poteva essere fatto ma avrebbe chiaramente subito censure, cosa che a quanto pare (e fortunatamente) non sembra essere accaduta in questo pilot. La magia dei cable network e delle piattaforme streaming.
Giusto per fare una breve prefazione per i neofiti, The Boys è nato con l’intento di dare una prospettiva differente ai supereroi ed al mondo che li guarda, sia perché Ennis ha letto fumetti sin da quand’era piccolo ed era quindi abituato anche a 15 anni di lavoro nella DC Comics, sia perché il progetto è stato concepito durante il secondo mandato di George W. Bush e nel 2005 diverse aziende stavano già approfittando dei benefit concessi da quell’amministrazione. Combinando le due cose, insieme ad un po’ di sana cattiveria e sangue tipica di Garth Ennis, si è arrivati alla nascita di questo progetto. Non c’è quindi da sorprendersi se i supereroi sono tutti molto simili a quelli della DC (The Deep è chiaramente Aquamam, A-Train è l’omologo di Flash, Homelander è il Superman di questo universo e così via) ma il focus è totalmente su qualcos’altro.
The Deep: “Look, you’re gorgeous. I’m not talking about sex, just a little bit of pole-smoking.”
Starlight: “Whoa, whoa, whoa.”
The Deep: “Hey, wait, wait, wait, wait, wait. It’s just a question of how bad you want to be in The Seven.”
Starlight: “Excuse me?”
The Deep: “Whoa, whoa, whoa, whoa. “Hey, hey, hey. Hey. Take it easy. Settle down. We’re just, we’re just talking. And look, I know that you’re powerful. I get it. Your powers are no joke.
The thing is I am number two around here. So, like, if I say so, you know, you’d be out of here. Especially since you attacked me.”
Starlight: “I what?!”
The Deep: “Yeah. Look. I mean, Iowa’s sweetheart, the Defender of Des Moines, just went psycho on the Deep. I mean, that that could put you out of the business.“
Il modo in cui è stato impostato “The Name Of The Game” è perfetto per introdurre gli spettatori, abituati a storie di supereroi buoni e sempre disposti a salvare il prossimo a discapito della loro stessa vita, ad una realtà in cui solo la facciata corrisponde a quanto visto in ogni serie Marvel e DC. Il duplice punto di vista a questo nuovo universo (dal punto di vista umano Hughie, dal punto di vista supereroistico Starlight) è perfetto per rappresentare a 360° la sensazione di stupore mista a frustrazione che prova il pubblico.
Il linguaggio schietto (ma falso, visti i risvolti) aiuta ad enfatizzare ancora di più la farsa totale su cui è costruito il business dei supereroi, nonché Vought International, ed è piuttosto interessante notare la trasparenza con cui certi temi vengano trattati: i supereroi vengono “acquistati” da una città tramite un contratto, non sono solo semplici cittadini ma sono più vicini alla tipologia del giocatore di NBA o di calcio che va dove viene più pagato. Ed il monopolio della Vough International è abbastanza palese in tal senso.
A-Train: “You want to hear something crazy? I ran so fast through this bitch that I swallowed one of her molars.“
Tutto è estremamente distorto e l’opposto di ciò che sembra in questa “The Name Of The Game” ma è anche fatto così di proposito. L’umorismo molto nero che accompagna quasi ogni battuta è perfetto per una serie come questa e aiuta anche ad alleggerire i toni spesso altisonanti della storia. Kripke è molto bravo a gestire tale presentazione e concede il giusto spazio a tutti senza mai far rallentare il ritmo che si mantiene sempre abbastanza elevato. Gli amanti del fumetto potranno lamentare una mancata presentazione dei veri protagonisti di questa storia (i “ragazzi”) ma fa anche parte di una scelta tecnica che rende giustizia al personaggio di Karl Urban. Detto ciò, ora c’è tutto il tempo per rimediare a questo che, comunque, non è assolutamente un punto a sfavore di quest’ottimo pilot.
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The Name Of The Game 1×01 | ND milioni – ND rating |
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.