Un series finale. Quanto è ingrato il compito di un series finale? Un episodio di 40 minuti circa deve, da solo, soddisfare le aspettative degli spettatori che sono arrivati a guardarlo. Il series finale regge quindi sulle sue spalle il peso di tutti gli episodi che l’hanno preceduto. Parliamo di 40 minuti contro centinaia e centinaia di minuti, Sansone contro Golia.
Anzi, è troppo semplice così. Il series finale non corrisponde all’episodio finale. Lo spettatore lascia scorrere i 39 minuti precedenti per arrivare a quel minuto finale che nei suoi 60 secondi contiene la risposta, l’essenza più pura della soddisfazione o insoddisfazione potenziale. Potremmo continuare a scindere ancora quei 60 secondi, fino ad arrivare ad un infinitesima frazione di secondo – che si può ugualmente definire series finale – in cui noi percepiamo la realizzazione delle nostre aspettative. O, peggio ancora, diamo valore alle centinaia e centinaia di minuti spesi a seguire una determinata serie. Diciamo: “la voglio rivedere”, “la consiglierò”. Oppure: “addio per sempre”.
Che scelta si compie alcune volte, da parte dei creatori? Si percorre la scelta più saggia e la più umana: lasciare strade aperte. Non pretendere di essere degli dei che decidono inizio e fine di un percorso (c’è chi ci è riuscito bene, chi forse ha voluto strafare), bensì dimostrare di aver mostrato una frazione, uno squarcio di vita di alcuni personaggi. Personaggi che esistevano prima che noi li iniziassimo a spiare, che teoricamente continuano la loro vita anche dopo che noi li salutiamo. Traduzione: veniamo lasciati di fronte a dei bivi.
Un eterno ritorno. Chi scrive ha voluto più volte parlare di eterni ritorni, per personaggi che non compiono poi chissà che evoluzione (o involuzione). Eventi si ripetono, i cambiamenti che intervengono nel carattere di un personaggio sono incidentali.
Seguendo la spiegazione che i King hanno voluto provare a dare per il finale di serie (la trovate qui), capiamo che alla fine Alicia ha subito la mutazione in ciò che la definiva (il marito, controparte del suo essere good wife). Il cinismo che la avvolge assume tutte le caratteristiche da cui cercava di affrancarsi all’inizio della prima stagione, con quel sonoro schiaffo rifilato a Peter, dopo essersi messa anche lei in pubblica piazza, con un look che lasciava trasparire assai meno confidenza di quella attuale.
Sempre i King lasciano intendere che il tradimento nei confronti di Diane sia incidentale, risultato di una determinazione cieca nel raggiungere un obiettivo specifico: non far condannare il marito. Non far condannare il marito per amore verso di lui, oppure per poter procedere con il divorzio e di conseguenza stare con Jason? Scegliete voi chi preferiate che accolga Alicia con un bicchiere di vino.
Anche la parentesi della figlia che rischia di non andare al college per stare vicino al padre in carcere sembra far propendere il cinismo di Alicia verso una disperazione cieca nel voler chiudere positivamente il processo.
Alicia dimostra così di avere la stoffa di chi passa sopra tutti per raggiungere degli scopi. Non è forse questo il luogo comune affibbiato ai politici? Si apre qui uno dei bivi di cui si parlava prima. Chiunque abbia tifato per un’Alicia politica e non abbia accettato ciò che accadde nella sesta stagione (presente!) non potrà non apprezzare l’idea di Eli.
Alicia è diventata quello che è diventata senza accorgersene, per cause esterne, a malapena ce ne siamo accorti noi. Provate a prendere un episodio qualsiasi delle prime stagioni e guardate il suo aspetto assai differente di quello di questo finale. Forse chi scrive ha uno scarso senso dell’osservazione, ma non siamo di fronte a mutazioni radicali. La personalità è quella, la vita plasma la nostra protagonista senza nessun disegno prestabilito.
Cambiare per non cambiare mai. Le interpretazioni che offre The Good Wife sono così tante e su così distaccati livelli, che ogni rewatch ci fa scoprire nuovi significati. Eli, Peter, Alicia: sono così realmente cambiati da come li abbiamo conosciuti? Eli ha fatto un’evoluzione bellissima, i sensi di colpa che lo hanno divorato nei confronti di Alicia hanno abbattuto il suo amore e rispetto verso la politica. Ma forse più che evoluzione la chiameremmo apertura: verso Alicia, verso Peter, verso la figlia. In realtà Eli è cambiato per non cambiare. La sua natura lo porterà sempre a caccia di nuovi orizzonti, di nuove idee e non importa se questo vuol dire abbandonare Peter al suo destino ancora prima che si compia.
Peter. Il nostro governatore dell’Illinois è il personaggio statico per antonomasia. E’ il tipico character – e marito – che giura di essere cambiato, di non essere stato lui, ma non è cambiato mai. Peter da sette anni a questa parte ha solo finto che la prigione e l’allontanamento dalla sua famiglia lo hanno mutato a tal punto da redimerlo. Non ha smesso mai di tradire la moglie, non ha smesso di essere sotto processo, non ha smesso di anteporre la sua carriera alla sua famiglia, non ha smesso di fingere e di chiedere alla moglie di fingere con e per lui.
E infine Alicia. Qui un’analisi diventa difficile: troppe le cose da tenere a mente, troppe le carte in gioco. Lo abbiamo visto, lo sappiamo, lo abbiamo sempre detto: Alicia è cambiata nel corso degli anni e noi con lei. Ma ne siamo poi così sicuri? Perché in fondo Alicia in questi sette anni è sempre rimasta un po’ una good wife. Si, ha amato Will, ma di nascosto. Si, ha ammesso di non amare più il marito, ma non ha mai divorziato. Si, ha sfruttato il marito per esigenze politiche, ma non lo ha mai umiliato. Si, ha chiesto il divorzio, ma non ha mai aperto nessuna pratica. Alicia ci ha sempre lasciato il velato dubbio, in questi anni, di non aver mai smesso di essere una buona moglie. Ancora oggi, dopo anni di umiliazioni subite dai tradimenti del marito – tradimenti che continuano a uscire fuori come conigli – Alicia è seduta in quell’aula di tribunale, accanto al governatore, lottando con le unghie e con i denti per difenderlo.
Ma ogni dubbio viene fugato nella conferenza finale: Alicia ha dato definitivamente le spalle al marito. Ha fatto quello che non ha fatto sei anni prima, con Will Gardner. Cambiare per non cambiare mai: eppure, stavolta, Peter Florrick è rimasto solo su quel palco.
Eli e la scrittura di una serie. Soffermiamoci a guardare il volto di Eli nella sua ultima apparizione, con il suo sorriso colmo di amore. Iniziamo così a capire quanto importante sia stato questo personaggio e certe trame a lui riservate durante la serie. La scelta di far candidare Alicia a procuratore – uno dei finali di stagione migliori, probabilmente – si conferma svolta fondamentale in un modo di pensare la protagonista.
Abbiamo seguito in tutta questa settima stagione le crisi di coscienza di Eli nei confronti di Alicia e in questo la sua idea finale non può che essere applaudita per coerenza. La fedeltà professionale che all’inizio Eli nutre verso Peter si trasforma in una fedeltà affettiva nei confronti di Alicia. Anche in questo caso un cambiamento incidentale, quasi brusco. Per questo motivo assolutamente umano e realistico.
Will Gardner e il simbolo. Dove The Good Wife ci ha colpiti per realismo e scrittura accurata, ci ha anche elargito sottili rappresentazioni simboliche, utili per comprendere stati e propensioni d’animo. Esistono poi quelle due-tre regole fondamentali di uno show televisivo, come quello di piazzare lì una canzone dalla melodia orecchiabile (in questo abbiamo la versione acustica di questa bella canzone) ad accrescere il senso di chiusura. Ma anche ripescare vecchi volti della serie può rientrare in questo catalogo di leggi non scritte.
Will Gardner era stato strappato via da Alicia e dagli spettatori, salvo presentare negli episodi successivi dei riuscitissimi episodi visionari, a rappresentare il lutto di Alicia. I dialoghi tra Alicia e il ricordo di Will fungono da, appunto, ricordo, oppure da addio? Al di là dell’aspetto nostalgico, occorre chiedersi se Alicia deciderà di seguire la memoria del suo defunto amore. Gli giura amore eterno e ci dimostra che sta per seguire il suo consiglio, eppure la sensazione di un addio definitivo è forte. La Alicia legata a Will sarebbe andata dietro a Jason, quest’ulteriore Alicia forse non è così convinta – una nuova mutazione è dietro l’angolo? La schermata con il dettaglio della chiusura della chiamata con Jason e l’illusione finale sanno di pessimistica visione sul suo futuro sentimentale?
Il cinismo dell’ultima scena. Volendo seguire questa interpretazione ci approcciamo ad una scena finale (quell’infinitesimo di secondo che rappresenta il series finale) che conferma la coerenza del cinismo della serie. Forse, per la prima volta nella storia, ci viene chiusa una serie in faccia con due personaggi principali in aperta – e recente – ostilità (lo schiaffo di Diane, a proposito di simbolismo). Quell’unico momento (simbolico: lasciare la mano del marito per inseguire l’ombra di Jason; reale: il tradimento a Diane) in cui Alicia si prende una libertà che superi la sua etica e il suo decoro, quell’unico momento in cui decide di non essere una good wife, prende uno schiaffo, si sconvolge, si ricompone e torna indietro.
Per fare cosa, non ci è dato saperlo.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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No further.
Verdict 7×21 | 9.19 milioni – 1.0 rating |
End 7×22 | 10.47 milioni – 1.2 rating |
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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.
Complimenti per la recensione. Bellissima.
Ogni scena è stata curata fino al minimo particolare, non lasciando niente al caso: rispettando quindi l'impianto della serie sin dal suo inizio. Negli ultimi minuti, quando dal palco Alicia intravede una sagoma di uomo, sappiamo che si tratta di Jason (è palese che sia J.D. Morgan) ma in realtà anche lì si tratta fondamentalmente di un simbolo, dell'uomo che lei rincorre, sia esso Will o Jason, non importa chi: questa volta ha deciso di seguire la sua strada, sempre dopo aver svolto il suo ruolo da "brava moglie", questa volta però al minimo sindacale.
E' un finale "da capire": non si può essere spettatori occasionali della serie e pretendere di comprendere fino in fondo ogni passaggio, ogni sguardo dei protagonisti. E qui arriviamo ad un altro punto: tutti sublimi, su tutti la Margulies e la Baranski che, nella scena in tribunale con il marito alla sbarra, ha reso una prestazione incomparabile, forse la migliore di tutta la serie per quanto la riguarda.
Non potevamo aspettarci una definizione di ogni cosa, d’altro canto non c’è mai stata: ogni argomento è rimasto sempre in bilico tra più interpretazioni. Quando ho visto Will ho temuto che il tutto virasse su un terreno da soap-opera ma devo ammettere che sono stati grandiosi nel gestire anche questo aspetto e nel renderlo veramente funzionale e credibile rispetto a tutto il resto (senza tralasciare, anche qui, la perfetta resa dell’interazione tra la Margulies e Charles).
L’unica pecca, forse non del finale in sé quanto degli ultimi episodi, è non aver continuato il percorso del personaggio di Lucca che aveva incominciato alla grande e aver sacrificato Cary, relegandolo quasi al ruolo di comparsa. E’ stato anche giusto non far tornare Kalinda, assolutamente in linea con il suo personaggio (abbandonando le beghe da set se è vero che sono esistite).
Un tocco di classe la scelta della canzone, Better: “ti sentirai meglio o
non sentirai proprio nulla”
Uno show degno di tale nome, ci mancherà.
Grazie per le belle parole, condivido ogni singola parola.
Io sono contento che una serie così bella sia finita perché ora sappiamo che non potrà mai scadere.
Tra qualche settimana andrà in onda il podcast sul finale di The Good Wife su http://www.active-media.it. Mi raccomando seguici 🙂