The Hot Zone: Anthrax chiude questo secondo ciclo narrativo con una doppietta fatta da pedinamenti, intercettazioni, interrogatori e accuse. Si tratta di un’indagine proseguita dal 2001 al 2010, anno in cui venne definitivamente chiusa in cui l’FBI lavorò assiduamente per rintracciare prove e collegamenti per i letali attacchi che portarono alla morte di cinque persone. Le puntate proseguono la linea accusatoria del caso, ma accelerando le tempistiche essendo ormai in dirittura d’arrivo.
L’idea dell’attacco orchestrato da Al-Qaeda viene momentaneamente messo da parte in favore di una accusa mirata al solo territorio statunitense: l’esperto di armi batteriologiche, Steven Hatfill, verrà accusato e scagionato solo dopo anni portando lo scienziato a citare in tribunale anche il The New York Times, chiedendo un risarcimento danni per l’immagine pubblica rovinata dagli articoli a lui dedicata.
Ma, progressivamente, il cerchio si chiude attorno alla figura che viene solitamente ritenuta colpevole degli attacchi (anche se nelle ultime sentenze si è ritenuto impossibile abbia agito effettivamente da solo): Bruce Ivins.
TONY GOLDWYN-BRUCE IVINS
Al personaggio interpretato da Tony Goldwyn viene concesso molto spazio e minutaggio (forse di più dello stesso Daniel Dae Kim), ma l’interpretazione e la somiglianza dell’attore con il vero Ivins lasciano a bocca aperta per la meticolosità: il microbiologo viene restituito in tutta la sua fragilità e semplicità umana. Un plauso all’attore statunitense per il lavoro. Da apprezzare, inoltre, il focus che The Hot Zone cerca di dare all’intero racconto. L’obbiettivo non è quello di costruire attorno a Bruce un piano accusatorio completo, quanto piuttosto di portare all’attenzione del pubblico determinati fatti noti evidenziando delle evidenti lacune all’interno della gestione delle risorse umane in un apparato tanto complesso come quello della sicurezza nazionale statunitense.
Bruce aveva degli evidenti problemi di salute mentale tanto da essere costretto a cure e visite psichiatriche per combattere depressione, ansia e paranoia. Tutti elementi noti alle persone che lavoravano con Ivins, ma che non avevano impedito a Bruce di poter entrare in stresso contatto con elementi potenzialmente mortali per l’uomo come, per l’appunto, l’antrace. Forse un check sui precedenti dell’uomo e sul suo stato di salute non avrebbe cambiato nulla, ma almeno avrebbe tolto quell’incertezza che l’uomo si portò con sé nella tomba.
Sì, perché Ivins morì di overdose da Tylenol e codeina (apparentemente suicidio) nel luglio 2009 senza dare possibilità alcuna all’FBI di provare la sua effettiva colpevolezza nell’invio delle lettere.
L’11 SETTEMBRE 2001 A FARE DA SFONDO
Parallelamente al caso di Ivins e degli attacchi all’antrace, particolare attenzione riceve anche il personaggio dell’agente Matthew Ryker, interpretato da Daniel Dae Kim. Sulle sue spalle grava la speranza di riuscire a trovare un valido colpevole sul suolo americano per impedire al Governo di dichiarare guerra ad Al-Qaeda e procedere con l’invasione dell’Afghanistan.
Ryker continua ad essere scosso dalle forti emozioni che gli provoca l’evocativo ricordo dell’11 settembre, fattore che lo rende soggiogabile sia durante gli interrogatori (perde le staffe con Ivins), sia durante le indagini (costretto ad abbandonare l’ufficio per riprendere fiato sopraffatto dai ricordi). Un lato umano che colpisce lo spettatore e che facilita l’empatia con il personaggio. Ad influire, sicuramente, anche il fattore 11 settembre ed il sapiente utilizzo di flashback evocativi.
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L’inconcludenza del caso finisce per rendere inconcludente la serie stessa, ma in realtà The Hot Zone: Anthrax presenta al meglio l’intero caso e l’accusa rivolta ad Ivins mai effettivamente comprovata fino alla fine. Lo show si ritrova a dover accelerare le tempistiche anche per via dell’esiguo numero di puntate a disposizione, ma la stagione può ritenersi ben migliore della precedente. Ed il fattore 11 settembre riesce sempre e comunque a colpire nel segno e nel profondo, sia esso un mero espediente narrativo, sia esso il focus primario della storia.
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.